«Si dà il caso che Aleksandr Vassilevic sia un dogmatico per eccellenza. Quindi, se la teoria di base non contempla i Grigi… In quindici anni di studio, amico mio, non ho mai incontrato una simile eccezione’. In altre parole, le orde Grigie esistono solo nella mia mente. E se me le sono sognate significa solo che sono stressato, sotto pressione, che dovrebbero rimandarmi a casa per un periodo di riposo. ‘Va bene, Don Rumata, prometto di occuparmene personalmente e di comunicarvi le mie scoperte. Nel frattempo, però, datemi la vostra parola: niente eccessi, prego…’ E Pavel, che da ragazzo chiamavo Pashka. Adesso è uno scienziato, un esperto, un cervello pieno di informazioni. Si è immerso completamente nello studio della storia dei due pianeti e ha verificato che il fenomeno delle orde Grigie rappresenta l’avvenimento più comune nel rapporto tra la borghesia e i Baroni. ‘A proposito, tra qualche giorno verrò a trovarti. Per essere sincero, l’incidente con Budach mi secca, quando ci penso.
Grazie! E questo è tutto! Mi occuperò io del caso Budach, anche se non servo più a molto.
«L’eruditissimo Dottor Budach. Un grande medico, cittadino leale di Irukan. Il Duca stava per farlo cavaliere, poi ha cambiato idea e ha preferito incarcerarlo. Il migliore specialista di droghe curative dell’Impero. Autore del ramosissimo trattato Delle erbe e altre piante, quali enti in forme misteriose causino dolore, gioia o tranquillità; dei fluidi salivari e corporali dei rettili ragni e della scrofa Y, che dispone di dette caratteristiche e di molte altre ancora. Indubbiamente una persona non comune, un vero gigante dello spirito, allo stesso tempo umanista ed eccentrico squattrinato. I suoi beni consistevano solo in un sacco pieno di libri. Ma chi ha bisogno di te, dottor Budach, in questo paese di ignoranti che nuotano in un pantano sanguinoso fatto di cospirazioni e avidità?
«Supponiamo che tu sia vivo e sia ad Arkanar. Naturalmente potresti essere caduto in mano ai barbari, che devastano periodicamente le campagne scendendo dalle loro piazzeforti sulla montagna. Se così fosse, allora Don Kondor potrebbe mettersi in contatto con il nostro amico Schumtuletidovodus, specialista di storia delle culture antiche, che adesso lavora come sciamano alle dipendenze di un capitano che ha un nome di quarantacinque sillabe. Ma se fossi ad Arkanar, prima di tutto potresti essere stato catturato dalle bande di Waga Koleso. No, non proprio catturato; ti avrebbero solo portato con loro perché avrebbero considerato il tuo compagno il miglior bottino, il tuo amico, un signore che si è giocato tutto il patrimonio. In ogni caso non ti ucciderebbero. Waga Koleso è troppo avido.
«C’è un’altra possibilità, però. Che qualche idiota di barone ti prenda tra le sue grinfie. Senza cattive intenzioni, solo per noia, per una forma perversa di ospitalità.
Solo perché vorrebbe bere in compagnia di un nobile ospite. Allora manda le sue schiere a rapirti e a portarti al castello. In questo caso saresti in un salone puzzolente ad aspettare che i signori siano ubriachi fradici e se ne vadano. Però non ti succederebbe niente di male.
«Ma sarebbe tutt’altra faccenda con il resto dell’esercito contadino di Don Ksi e Pert Posvonocnik, che dopo la sconfitta si è ritirato nel villaggio di Nido Marcio, segretamente finanziato dal nostro Don Reba, nel caso dovessero sorgere complicazioni nei suoi rapporti con i baroni. Quei contadini non hanno pietà: meglio non pensarci. E poi c’è Don Satarina, un aristocratico bisbetico di centodue anni, naturalmente arteriosclerotico. Mantiene il feudo di famiglia con i duchi di Irukan e cattura, quando ne ha la forza, tutto quello che attraversa il confine irukano. È molto pericoloso. Quando subisce l’influenza di Cholezistit, è capace di dare ordini dalle conseguenze così disastrose che le chiese non fanno neppure in tempo a recuperare i cadaveri.
«Poi c’è l’ultima possibilità. Non è la più pericolosa, ma è la più probabile: la Pattuglia Grigia di Don Reba. Gli Sturmovik. Saresti potuto incappare in loro per puro caso, Budach, e allora la tua unica speranza sarebbe stata il sangue freddo e la prontezza di spirito del tuo compagno. Ma se Don Reba fosse interessato a te personalmente? Perché Don Reba a volte dimostra interessi inaspettati… Le sue spie potrebbero avergli riferito che stavi attraversando Arkanar, e allora ecco che invia uno dei suoi distaccamenti al comando di un ufficiale Grigio pieno di zelo. E questo cretino di basso rango potrebbe essere responsabile della tua fine nella Torre della Gioia…» Rumata diede un altro strattone al cordone, spazientito. La porta della camera si aprì con un cigolio fastidioso e nella stanza entrò un ragazzo magro, dall’aria cupa. Si chiamava Uno, e la sua vita avrebbe potuto essere un buon tema per una ballata. Si fermò sulla soglia, inchinandosi profondamente, strisciando le scarpe rotte sul pavimento, e andò verso il letto. Sul comodino appoggiò un vassoio con alcune lettere, una tazza di caffè e una crosta di pane raffermo, che doveva servire a rafforzare e a pulire i denti. Rumata lo guardò, molto infastidito.
«Di’ un po’, quand’è che olierai quella porta cigolante?»
Il ragazzo taceva e fissava il pavimento. Rumata scostò il copriletto, si sedette sulla sponda del letto e prese il vassoio.
«Ti sei lavato stamattina?» chiese.
Il ragazzo si appoggiava prima su un piede e poi sull’altro; senza rispondere, cominciò a girare per la stanza e a raccattare i vestiti sparsi sul pavimento.
«Mi sembra di averti chiesto se stamattina ti sei lavato» ripeté Rumata, aprendo la prima lettera.
«L’acqua non lava i peccati» brontolò sottovoce il ragazzo. «Quindi perché mai dovrei lavarmi, signore?»
«Che cosa ti ho detto dei microbi?» disse Rumata.
Il ragazzo appoggiò con cura i pantaloni verdi del padrone sullo schienale di una poltrona, poi con il pollice vi segnò sopra un cerchio per scacciare gli spiriti maligni.
«Stanotte ho pregato tre volte. Cosa potevo fare di più?»
«Imbecille» disse Rumata, e cominciò a leggere la lettera.
Era di Donna Okana, una dama di compagnia, l’ultima favorita di Don Reba. Lo invitava ad andarla a trovare quella sera stessa, e si firmava «languente d’amore per voi». Il poscritto diceva molto chiaramente che cosa si aspettava da quell’appuntamento galante. Rumata era imbarazzato. Arrossì. Guardando di sfuggita il ragazzo, mormorò: «Questo è davvero troppo…» Doveva pensarci su. Andarci sarebbe stato disgustoso, ma non andarci sarebbe stato stupido. Donna Okana era molto ben informata. Sorseggiò velocemente il caffè e mise in bocca la crosta.
L’altra busta era di carta pesante. Il sigillo era manomesso. Ovviamente la lettera era stata aperta. Veniva da Don Ripat, un tenente della Milizia Grigia arrivista e senza scrupoli, che si informava della sua preziosa salute, esprimeva la propria fiducia nella vittoria imminente della Causa e pregava di posporre il pagamento del suo debito citando varie circostanze sfavorevoli. «Va bene, va bene» brontolò Rumata mettendo da parte la lettera per riprendere in mano la busta ed esaminarla con grande interesse. Oh sì, ora lavoravano più accuratamente, molto più accuratamente.
La terza lettera conteneva la sfida a duello a causa di una certa Donna Pifa, ma lo scrivente era pronto a ritirarla se Don Rumata avesse testimoniato che lui non aveva avanzato pretese su Donna Pifa. La lettera era tipica: il testo base scritto da un calligrafo, e gli spazi bianchi riempiti goffamente e con molti errori con i nomi e le date del caso.
Rumata posò la lettera, grattandosi le punture di zanzara sulla mano sinistra.
«Voglio lavarmi. Porta il necessario!»
Il ragazzo sparì dietro la porta, ritornando subito con una tinozza di legno che trascinò sul pavimento, traballando per lo sforzo. Poi uscì di nuovo dalla stanza e tornò trascinando una vasca vuota e un grosso mestolo.