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«Certamente non può più tornare a casa» pensò. «E non può assolutamente restare qui. Se dovesse capitarle qualcosa…» Aveva il presentimento che sarebbe successo. A quel pensiero gli corsero i brividi per la schiena.

«Dormi?» chiese Kyra.

Lui sobbalzò e aprì la mano con cui le aveva stretto spasmodicamente il mignolo.

«No» rispose, mezzo addormentato. «Che altro hai fatto?»

«Ho messo in ordine le tue stanze. C’era una confusione terribile. Ho trovato un libro, un’opera di Padre Gur. Parla di un nobile principe che ama una fanciulla bella ma primitiva della regione delle montagne. Lei è completamente selvaggia e lo ritiene un dio, ma lo ama con tutto il cuore. Poi li separano e lei muore di dolore».

«È un bel libro» disse Rumata.

«Ho anche pianto. Ho continuato a pensare che parlasse di noi, di te e di me».

«Sì, parla di persone come noi. E in generale di tutti gli esseri umani che si amano.

Solo che nessuno ci separerà».

«Per lei la Terra sarebbe il luogo più sicuro» pensò Rumata. «Ma come farebbe a vivere senza di me? E come farei io, qui da solo? Potrei chiedere ad Anka di diventarti amica. Ma come farò io a restare qui senza di te? No, andremo sulla Terra, ma insieme! Guiderò io l’astronave, e tu starai seduta accanto a me, e ti spiegherò tutto. Così non avrai paura. Così amerai subito la Terra. Così non avrai mai nostalgia di casa. Questo pianeta non è affatto la tua casa. La tua casa ti ha respinta. E sei nata mille anni prima del tuo tempo. Tesoro mio, così buona, così cara, così generosa e pronta a sacrificarti… persone come te sono nate in tutte le epoche della storia sanguinosa dei nostri pianeti. Anime pure e candide, che non capiscono la crudeltà e non conoscono l’odio. Vittime. Vittime inutili. Ancora più inutili del poeta Gur o di Galileo. Perché le persone come te non lottano. Per lottare bisogna odiare, ed è proprio quello che non sai fare…» Rumata si addormentò di nuovo. In sogno vide Kyra in piedi sul bordo di un tetto, in Russia, con un degravitatore allacciato alla cintura. Anka, con tono allegro e scherzoso, l’incitava sull’orlo di un abisso immenso…

«Rumata» disse Kyra. «Ho paura!»

«Di cosa, cara?»

«Stai sempre zitto, sempre zitto. Ho una sensazione strana…»

Lui la strinse a sé.

«Va bene, cara, allora parlerò, e tu ascoltami bene. Lontano, molto lontano, oltre la grande foresta, c’è un castello dall’aria sinistra e inaccessibile. Là vive il barone Pampa, un uomo allegro, felice e buono, il miglior barone di tutta Arkanar. Ha una moglie, una donna bella e gentile che lo ama quando è sobrio, ma non può sopportarlo quando è ubriaco…»

S’interruppe e ascoltò attentamente. Dalla strada veniva il rumore di molti scarponi, il vociare degli uomini, il nitrito dei cavalli.

«Sembra che sia qui, eh?» disse una voce roca sotto le loro finestre.

«Già».

«Alt!» I tacchi dei molti scarponi risuonarono sui gradini della scala esterna, e poco dopo dei pugni bussarono al portone. Kyra, spaventata, si strinse a Rumata.

«Aspetta, cara» disse lui gettando via le coperte.

«Sono venuti per me» mormorò Kyra. «Lo sapevo che sarebbero venuti».

Rumata si liberò dal suo abbraccio e corse alla finestra.

«Nel nome del Signore!» gridavano da sotto. «Aprite, se dovremo sfondare la porta sarà peggio per voi!»

Rumata scostò appena la tenda e la luce ondeggiante delle torce riempì la stanza.

Davanti alla casa si muoveva un gruppo abbastanza consistente di cavalieri incappucciati, gente sinistra vestita di nero. Rumata guardò rapidamente di sotto, poi esaminò l’intelaiatura della finestra. Era fissata solidamente al muro. Da basso stavano cercando di sfondare la porta principale. Il giovane frugò nel buio in cerca della spada e sfondò i vetri con l’elsa. Sulla strada cadde una pioggia di cocci tintinnanti.

«Ehi, voi!» gridò. «Che cosa volete? Siete stanchi di vivere?»

I colpi cessarono.

«Combinano sempre guai» dissero delle voci. «Il padrone è in casa…»

«E che ci importa?»

«Non lo sai? Con la spada in mano è imbattibile…»

«Avevano detto che stanotte sarebbe stato via e non sarebbe tornato prima dell’alba».

«Paura?»

«No, no, non abbiamo paura. È solo che non abbiamo ordini riguardo a lui. Non abbiamo l’ordine di ucciderlo…»

«Lo legheremo, lo picchieremo e poi lo incateneremo mani e piedi! Ehi, chi sta spingendo con le lance, laggiù?»

«Se solo non ci spaccasse la testa…»

«No, non aver paura. Dicono che ha la strana abitudine di non uccidere nessuno».

«Vi sgozzerò come cani» minacciò Rumata con una voce terribile.

Kyra si strinse dietro a lui. Il cuore le batteva all’impazzata, Rumata lo sentiva. Di sotto si sentivano urlare i comandi: «Buttate giù la porta, fratelli! In nome del Signore!»

Rumata si voltò e guardò Kyra negli occhi. Lei lo guardava come poco prima, con la paura e la speranza negli occhi. Nelle sue pupille asciutte si riflettevano le torce.

«Andiamo, piccola» le disse teneramente. «Non avrai paura di quelle canaglie? Vai a vestirti. Non ha senso restare qui». Indossò velocemente la maglia di metalloplast.

«Li caccerò via e poi ce ne andremo. Andremo al castello del barone Pampa».

Lei si avvicinò alla finestra per guardare. Sul viso le passavano punti di luce rossastra. Da sotto venne il rumore del legno che si rompeva, del metallo che si schiodava.

Il cuore di Rumata sembrava scoppiare, pieno d’ansia e d’amore per lei. «Li caccerò via come cani rognosi» pensò. Si chinò per prendere la seconda spada, ma quando si rialzò, Kyra non era più davanti alla finestra. Si aggrappava alle tende, e scivolava lentamente a terra.

«Kyra!»

La freccia di una balestra le aveva trapassato la gola, un’altra era conficcata nel petto. La prese tra le braccia e la mise sul letto, posandola dolcemente sulle coperte.

«Kyra…» disse piano. Lei gemette appena e le membra le si afflosciarono. «Kyra» ripeté. Lei non rispose. Per un momento restò chino su di lei, poi prese le spade, scese lentamente le scale fino all’entrata e aspettò che il portone cedesse sotto i loro colpi…

Epilogo

«E poi?» chiese Anka. Pashka abbassò gli occhi, si batté il palmo della mano sul ginocchio, si chinò e raccolse una fragola selvatica accanto ai suoi piedi. Anka aspettò.

«Poi…» mormorò. «Per la verità, nessuno sa con certezza che cosa è successo dopo, Anka. Non aveva con sé la trasmittente, e dopo che la sua casa è stata bruciata e rasa al suolo, ai Controlli hanno capito che le cose stavano andando male, e hanno subito mandato ad Arkanar una squadra speciale d’emergenza. Hanno lanciato sulla città una buona quantità di gas soporifero, per ogni eventualità. Prima hanno cercato la casa. Ma poiché era stata rasa al suolo sono rimasti confusi, non sapevano dove pescarlo. Ma poi hanno visto…»

Esitò per un momento, imbarazzato.

«Be’, hanno visto le tracce che aveva lasciato».

Pashka tacque di nuovo e cominciò a mettersi in bocca una fragola dopo l’altra.