Rumata tacque un momento per riprendersi e finì, calmo: «Per concludere, non ci vorrà molto perché ad Arkanar non resti più una sola persona intelligente. Proprio come nel possedimento del Sacro Ordine dopo il massacro di Barkan».
Kondor fissò Rumata con gli occhi scuri, stringendo le labbra. «Non mi piace quello che le sta succedendo, Anton» disse.
«Ci sono molte cose che non piacciono neppure a me, Aleksandr Vassilevic»
rispose Rumata. «Per esempio non mi va il fatto che abbiamo le mani legate, il modo in cui abbiamo affrontato il problema. Non mi va che l’abbiamo definito ‘il problema della procedura incruenta’. Perché per quanto mi riguarda questo equivale a una giustificazione scientifica dell’inerzia! Conosco tutti i vostri argomenti. E ho approfondito le nostre teorie. Ma in simili situazioni le teorie non funzionano, quando gli esseri umani sono attaccati da bestie feroci con i metodi tipici della dittatura più ottusa. Tutto sta andando a pezzi, a rotoli. A cosa ci servono le ricchezze e la conoscenza? E sempre troppo tardi».
«Anton» lo interruppe Kondor «si calmi. Le credo, quando dice che la situazione di Arkanar è critica. Ma sono anche convinto che non potrebbe proporre una sola soluzione costruttiva».
«È vero. Non posso proporre soluzioni concrete. Ma mi è sempre più difficile controllarmi di fronte alla crescente corruzione fisica e morale».
«Anton, su questo pianeta siamo ormai in duecentocinquanta. Dobbiamo mantenere il massimo autocontrollo, ed è difficile per tutti. I più esperti di noi vivono qui da ventidue anni. Siamo venuti solo come osservatori e nient’altro. E proibito intervenire, in qualunque modo. Immagini un vero e proprio divieto di intervento.
Non avremmo il diritto di salvare Budach neanche se lo vedessimo massacrare sotto i nostri occhi».
«Non c’è bisogno che mi parli come se fossi un bambino».
«Ma lei è impaziente come un bambino. E qui dovrà dimostrare molta pazienza».
Rumata rise amaramente.
«E mentre noi esercitiamo la pazienza e aspettiamo» disse «impegnati a discutere continuamente su come comportarci, queste belve attaccano la gente tutti i giorni, in ogni momento».
«Anton, nell’universo esistono migliaia di altri pianeti che non abbiamo ancora visitato, dove la storia segue il suo corso».
«Ma noi è qui che siamo venuti!»
«Sì. Non per dar sfogo alla nostra legittima ira, ma piuttosto per aiutare queste creature. Se è inadatto al suo compito, allora se ne vada! Torni a casa! Dopotutto non è un ragazzino, sapeva già cosa l’aspettava».
Rumata non rispose. Il viso di Kondor si distese; durante quelle ultime parole sembrava invecchiato di molti anni. Lentamente andò all’altra estremità del tavolo, prese la sua spada e se la portò dietro come un bastone. Poi scosse la testa tristemente, impercettibilmente; soltanto il naso sembrava essersi mosso.
«Posso capire» disse. «Anch’io ci sono passato. A volte questa sensazione d’impotenza, la mia inanità, mi sembravano la cosa più orribile. Uomini dal carattere più debole sono addirittura impazziti e sono stati rimandati indietro a curarsi. Ho impiegato quindici anni per capire qual è la cosa più terribile. È il perdere la propria umanità, Anton, indurirsi l’anima trascinandola nel fango. Qui noi siamo dèi, e dobbiamo essere più saggi degli dèi che questi uomini si sono creati a loro immagine.
Ma la nostra strada corre sull’orlo dell’abisso. Un passo falso e cadi nel pantano, e per tutta la vita non riuscirai a ripulirti. Nella Storia della discesa, Goran di Irukan ha scritto: ‘Quando Dio discese dai Cieli ed emerse dalle paludi di Pitan per mostrarsi al Suo popolo, ecco, i Suoi piedi erano coperti di fango’«.
«Non molto tempo fa Goran è stato mandato al rogo per quella frase» osservò Rumata cupamente.
«E vero, l’hanno bruciato vivo. Ma sono cose che non ci riguardano. Sono qui da quindici anni. Non vedo più la Terra neppure in sogno. Qualche tempo fa, rovistando fra vecchie carte, ho trovato la foto di una donna, e non sono riuscito a ricordare chi fosse. Qualche volta sono sopraffatto dall’orrore, perché in realtà non sono più un membro dell’Istituto ma un esponente delle istituzioni locali, il giudice supremo della Repubblica Mercantile. Per me è questa la cosa più terribile: adeguarsi al proprio ruolo. Dentro di noi l’animale selvaggio lotta con il comunardo. E mentre tutti incitano l’animale il comunardo è solo… La Terra è lontana mille anni e mille parsec». Tacque. Si accarezzò le ginocchia. «Così è, Anton» riprese dopo un po’, con maggiore decisione. «Quindi restiamo comunardi!»
«Non capisce» pensò Anton-Rumata. «E perché dovrebbe, in fondo? È fortunato.
Non conosce il Terrore Grigio o Don Reba. Tutto quel che ha visto su questo pianeta negli ultimi quindici anni rientra nel modello della teoria di base. E se gli parlo della dittatura, degli Sturmovik Grigi, della militanza sempre più aggressiva della borghesia, mi accusa di fare giochi di parole: ‘Non giocate con la terminologia, Anton! In questo campo la confusione genera risultati pericolosi!’ E completamente incapace di capire che il livello medio di bestialità medievale corrisponde al buon tempo andato, su Arkanar. Per lui Don Reba è un altro Richelieu, un politico astuto e lungimirante che difende l’assolutismo dagli eccessi del feudalesimo. Sono l’unico su questo pianeta a vedere l’ombra terribile che si staglia su tutto. Ma non riesco a capire da dove venga quest’ombra, e perché. E come posso convincerlo, quando gli leggo in volto che preferirebbe rimandarmi sulla Terra per farmi curare?» «Come sta il nobile Synda?» chiese.
Kondor smise di scrutarlo, mormorando: «Benissimo, grazie». Poi aggiunse: «Dobbiamo finalmente affrontare il fatto che né lei, né io, né nessuno di noi vedrà mai il risultato del nostro lavoro. Noi non siamo fisici, ma storici. La nostra unità di misura non è il secondo, è il secolo. E qui non abbiamo il compito di seminare, ma solo di preparare il terreno. E quegli emissari della Terra, quei… fanatici che arrivano di tanto in tanto… Preferirei che andassero all’inferno, quegli zelanti…»
Rumata fece un sorriso di circostanza, e si aggiustò senza motivo gli stivali.
Zelanti. Proprio.
Dieci anni prima Stepàn Orlovskij, alias Don Kapada, comandante delle truppe dei balestrieri di Sua Altezza Imperiale, aveva ordinato ai suoi uomini di tirare sui soldati dell’Imperatore mentre torturavano pubblicamente diciotto streghe estoriane. Aveva ucciso di sua mano il giudice supremo imperiale e due dei suoi assistenti, ma alla fine era stato trucidato dalle lance della guardia del corpo imperiale. Agonizzante, aveva incitato gli spettatori della tortura: «Ricordate che siete esseri umani! Difendetevi, uccideteli, non abbiate paura di loro!» Ma la sua voce era stata sopraffatta dalle urla della folla inferocita, che gridava: «Bruciate le streghe! Bruciatele vive!» E quasi contemporaneamente Karl Rosenblum, uno degli storici più eminenti, studioso delle rivolte contadine in Francia e in Germania, alias Pani-Pas, mercante di lane, aveva fomentato un’insurrezione tra i contadini muriani. Aveva assalito e conquistato due città, ed era stato ucciso da una freccia alla schiena mentre tentava di fermare il saccheggio. Salvato da un elicottero, era ancora vivo ma non poteva parlare. I suoi grandi occhi azzurri esprimevano ancora dolore e meraviglia, e le lacrime gli scorrevano sulle guance esangui…
E, poco prima dell’arrivo di Rumata sul pianeta, il cospiratore più potente, confidente del Tiranno di Kaisan (alias Geremia Duranoce, specialista di riforme sulla Terra), con una congiura di palazzo aveva preso il potere e tentato di instaurare l’Età dell’Oro nel giro di due mesi. Aveva rifiutato decisamente di rispondere alle proteste dei paesi vicini e della Terra, si era guadagnato la dubbia reputazione di pazzo, aveva stroncato otto tentativi di restaurazione. Alla fine era stato catturato da un commando dell’Istituto che lo aveva portato con un sottomarino in una base vicino al Polo Sud.