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Alternando le minacce alle promesse, Halvorsen riuscì a liberarsi della sua decisa figliola e condusse Floyd nell’ufficio. L’ufficio dell’amministratore aveva una superficie di pochi metri quadrati appena, ma riusciva a contenere tutte le suppellettili e tutti i simboli della condizione sociale di un capo di dipartimento il cui stipendio raggiungeva i cinquantamila dollari annuì. Fotografie con dedica di importanti uomini politici, compresi il Presidente degli Stati Uniti e il segretario generale delle Nazioni Unite, ornavano una parete, mentre altre fotografie con dedica di famosi astronauti ne rivestivano quasi completamente un’altra.

Floyd affondò in una comoda poltrona di cuoio, e gli fu offerto un bicchierino di xères, prodotto dai laboratori biochimici lunari. «Come stanno andando le cose, Ralph?» domandò Floyd, sorseggiando il vino dapprima con circospezione e poi con approvazione.

«Non troppo male», rispose Halvorsen. «Però, c’è qualcosa che sarebbe bene lei sapesse, prima di recarsi laggiù.»

«Di che si tratta?»

«Be’, presumo che si potrebbe definirlo un problema di morale», sospirò Halvorsen.

«Oh?»

«Non è ancora grave, ma arriverà presto alla gravità.»

«Il veto sulle comunicazioni», disse Floyd con voce neutra.

«Per l’appunto», rispose Halvorsen. «I miei collaboratori incominciano a esserne molto innervositi. In fin dei conti, hanno quasi tutti le famiglie sulla Terra; probabilmente i loro cari crederanno che siano morti tutti quanti di pestilenza lunare.»

«Me ne dispiace», disse Floyd, «ma nessuno è riuscito a escogitare un pretesto migliore, e fino a questo momento ha funzionato. A proposito… ho incontrato Moisevic sulla Base Spaziale, e persino lui l’ha bevuta.»

«Be’, ciò dovrebbe far gioire i servizi segreti.»

«Non troppo… ha saputo del TMA-1; le voci stanno incominciando a diffondersi. Ma non possiamo assolutamente diramare alcun comunicato fino a quando non avremo saputo che cos’è il dannato oggetto e se dietro di esso non vi siano i nostri amici cinesi.»

«Il dottor Michaels ritiene di aver trovato la soluzione. Muore dalla voglia di dirtelo.»

Floyd vuotò il bicchiere. «Ed io muoio dalla voglia di ascoltarlo. Andiamo.»

11. ANOMALIA

La conferenza ebbe luogo in una vasta sala rettangolare che avrebbe potuto contenere facilmente cento persone. Era attrezzata con i più recenti ritrovati ottici ed elettronici e avrebbe avuto l’aspetto di una sala per conferenze modello, se non fosse stato per i numerosi manifesti, calendari di pinup, avvisi e dipinti dilettanteschi che lasciavano capire come essa fosse altresì il centro della vita culturale locale. Floyd rimase particolarmente colpito da una collezione di cartelli, ovviamente riuniti con amorevole cura, e sui quali si leggevano avvertimenti come:

SI PREGA DI NON CALPESTARE L’ERBA… VIETATO IL PARCHEGGIO NEI GIORNI PARI… DÉFENSE DE FUMER… PER LA SPIAGGIA… ATTRAVERSAMENTO DI BESTIAME… CUNETTE… e VIETATO DARE CIBO AGLI ANIMALI.

Se si trattava di cartelli autentici, e senz’altro sembravano esserlo, averli trasportati dalla Terra doveva essere costato un piccolo patrimonio. V’era in essi una sfida commovente; in un mondo ostile, gli uomini riuscivano ancora a scherzare sulle cose che erano stati costretti ad abbandonare e delle quali i loro figli non avrebbero mai sentito la mancanza.

Un gruppo di quaranta o cinquanta persone stava aspettando Floyd, e tutti si alzarono educatamente, mentre lui entrava dietro l’amministratore. Salutando con cenni del capo varie facce familiari, Floyd bisbigliò ad Halvorsen: «Gradirei dire qualche parola prima della conferenza.»

Sedette poi in prima fila, mentre l’amministratore saliva sulla pedana e volgeva lo sguardo sugli ascoltatori.

«Signore e signori», cominciò Halvorsen, «non ho bisogno di dirvi che questa è un’occasione molto importante. Siamo felici di ospitare il dottor Heywood Floyd. Lo conosciamo tutti per fama, e molti di voi lo conoscono personalmente. Ha appena compiuto un volo speciale dalla Terra sin qui, e, prima della conferenza, desidera dirci qualche parola. Dottor Floyd…»

Floyd salì sulla pedana tra un battimani di cortesia, osservò i presenti con un sorriso e disse: «Grazie… volevo soltanto dire questo: il Presidente mi ha pregato di comunicarvi la sua gratitudine per l’importante lavoro da voi svolto, che speriamo il mondo intero possa presto conoscere e apprezzare. So benissimo», continuò con cautela, «che alcuni di voi… forse quasi tutti… sono ansiosi di veder eliminare l’attuale velo di segretezza; non sareste scienziati se la pensaste diversamente.»

Intravide per un momento il dottor Michaels, le cui fattezze erano atteggiate a un lieve cipiglio che poneva in risalto una lunga cicatrice sulla gota destra… presumibilmente la conseguenza di qualche incidente nello spazio. Il geologo, egli lo sapeva bene, aveva protestato vigorosamente contro quella che definiva «questa assurdità tipo ladri e poliziotti».

«Ma vorrei ricordarvi», continuò Floyd, «che questa è una situazione del tutto eccezionale. Dobbiamo essere assolutamente certi dei fatti; se commettiamo errori in questo momento, potrebbe non presentarsi una seconda opportunità… quindi, vi prego, pazientate ancora un poco. Questo è anche il desiderio del Presidente. Non mi rimane altro da dire. E ora sono pronto ad ascoltare il vostro rapporto.»

Tornò al suo posto, e l’amministratore disse: «Grazie infinite, dottor Floyd», poi fece un cenno alquanto brusco al direttore scientifico. Il dottor Michaels si avvicinò alla pedana e le lampade si attenuarono e si spensero.

Una fotografia della Luna apparve sullo schermo. Al centro esatto del disco si trovava l’anello bianco e brillante di un cratere, dal quale si apriva a raggiera un impressionante ventaglio di raggi. Sembrava, né più né meno, che qualcuno avesse lanciato un sacco di farina sulla superficie lunare, e che la farina si fosse sparpagliata in tutte le direzioni.

«Questo è Tycho», disse Michaels, indicando il cratere centrale. «Su questa fotografia scattata verticalmente, Tycho figura ancor più vistoso di quando è veduto dalla Terra; in quest’ultimo caso si trova piuttosto vicino all’orlo della Luna. Ma, osservato da questo punto di vista, cioè guardandolo direttamente dall’altezza di milleseicento chilometri, potete constatare come domini un intero emisfero.»

Lasciò che Floyd osservasse meglio quella veduta non familiare di un oggetto familiare, poi continuò: «Durante lo scorso anno, abbiamo eseguito un rilevamento magnetico della regione, da un satellite a bassa quota. Esso è stato completato soltanto il mese scorso, ed eccone il risultato… la mappa che ha dato l’avvio a tutte le complicazioni.»

Un’altra immagine apparve sullo schermo; sembrava una carta a curve di livello, sebbene indicasse soltanto l’intensità del campo magnetico e non le altezze sul livello del mare. Per la maggior parte, le linee erano grosso modo parallele e bene intervallate; ma in un angolo della carta divenivano a un tratto compresse l’una contro l’altra, formando una serie di cerchi concentrici… simili alla struttura di un nodo in un pezzo di legno.

Anche allo sguardo di un profano appariva evidente che qualcosa di strano era accaduto al campo magnetico lunare in quella regione; e a grandi lettere, in fondo alla carta, si leggevano le parole: ANOMALIA MAGNETICA DI TYCHO N. UNO (TMA-1). Stampigliata sull’angolo in alto a destra della carta figurava la parola SEGRETO.

«A tutta prima ritenemmo che potesse trattarsi di un affioramento di rocce magnetizzate, ma tutte le prove geologiche contrastavano con questa ipotesi. E nemmeno un grosso meteorite di nichel e ferro avrebbe potuto dar luogo a un campo magnetico così intenso. Fu deciso pertanto di andare a dare un’occhiata.

«Il primo gruppo non scoprì nulla… soltanto il solito terreno livellato, sepolto sotto uno strato molto sottile di polvere lunare. Gli uomini affondarono una sonda al centro esatto del campo magnetico per procurarsi una “carota” da analizzare. A sei metri di profondità, la sonda si fermò. Il gruppo di rilevamento cominciò a scavare… un’impresa tutt’altro che facile con le tute spaziali, posso assicurarvelo.