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Hal era stato addestrato in modo perfetto per questa missione, come i suoi colleghi umani… e aveva una capacità pensante parecchie volte superiore alla loro poiché, oltre alla propria rapidità intrinseca, non dormiva mai. Il suo compito essenziale era quello di controllare i sistemi per il mantenimento della vita, accertando continuamente la pressione dell’ossigeno, la temperatura, eventuali fughe d’aria, la radiazione e tutti gli altri fattori interdipendenti ai quali erano legate le vite del fragile equipaggio umano. Egli poteva apportare le complesse correzioni di rotta, ed eseguire le necessarie manovre di volo quando occorreva cambiare direzione. Inoltre poteva sorvegliare gli ibernati intervenendo con le necessarie regolazioni delle condizioni dell’ambiente e distribuendo le piccole quantità di fluidi endovena che li mantenevano in vita.

Le prime generazioni di calcolatori avevano ricevuto i dati per mezzo di tastiere delle glorificate macchine per scrivere, rispondendo mediante telescriventi rapide e indicatori visivi. Hal era in grado di fare anche questo quando si rendeva necessario, ma quasi tutte le sue comunicazioni con i compagni di viaggio avvenivano per il tramite della parola parlata. Poole e Bowman potevano conversare con Hal come se si fosse trattato di un essere umano, ed egli rispondeva in un perfetto inglese idiomatico che aveva imparato durante le fuggevoli settimane della sua fanciullezza elettronica.

Se Hal potesse effettivamente pensare, era un interrogativo che il matematico inglese Alan Turing aveva risolto sin dagli anni Quaranta. Secondo Turing, se si poteva condurre una lunga conversazione con una apparecchiatura elettronica, sia mediante una macchina per scrivere, sia mediante un microfono, senza riuscire a distinguere tra le sue risposte e quelle che avrebbe potuto dare un uomo, quell’apparecchiatura pensava, in base a ogni definizione ragionevole del termine. Hal sarebbe riuscito a superare facilmente l’esame di Turing.

Non era escluso che potesse giungere il momento in cui Hal avrebbe assunto il comando della nave spaziale. In caso di emergenza, qualora nessuno rispondesse ai suoi segnali, avrebbe tentato di svegliare i membri addormentati dell’equipaggio mediante stimoli elettrici e chimici. In assenza di una loro reazione, si sarebbe collegato per radio alla Terra per avere ulteriori ordini.

E poi, se non vi fosse stata alcuna risposta dalla Terra, avrebbe adottato quei provvedimenti che riteneva necessari per salvaguardare la nave spaziale e continuare la missione… il cui vero scopo egli solo conosceva, e che i suoi colleghi umani non avrebbero mai potuto supporre.

Poole e Bowman si erano più volte riferiti spiritosamente a se stessi come a custodi o guardiani a bordo di un’astronave che, in realtà, poteva proseguire da sola. Sarebbero rimasti stupefatti e non poco indignati scoprendo quanta verità conteneva questa spiritosaggine.

17. CONSUETUDINI DELLA CROCIERA

La guida giornaliera della nave spaziale era stata progettata con somma cura e, almeno teoricamente, Bowman e Poole sapevano che cosa avrebbero fatto in ogni momento delle ventiquattr’ore. Facevano turni di dodici ore di guardia e dodici ore di riposo, sostituendosi a vicenda, senza mai dormire contemporaneamente. L’ufficiale di servizio rimaneva sul ponte di controllo, mentre l’altro ufficiale provvedeva alla manutenzione in genere, ispezionava la nave spaziale, provvedeva alle varie incombenze delle quali si presentava senza posa la necessità, oppure riposava nel suo cubicolo.

Sebbene Bowman fosse nominalmente il comandante in questa fase della missione, nessun osservatore estraneo avrebbe potuto dedurlo. Lui e Poole si sostituivano in tutto e per tutto nei compiti, nel grado e nelle responsabilità ogni dodici ore. Ciò li manteneva entrambi al culmine dell’addestramento, riduceva al minimo le possibilità di attriti e li aiutava ad avvicinarsi alla meta del cento per cento di perfezione.

La giornata di Bowman incominciava alle 06.00, ora dell’astronave: le Effemeridi astronomiche universali del tempo. Se per caso Bowman avesse tardato, Hal disponeva di tutta una serie di segnali sonori e di carillon per ricordargli il suo dovere, ma non erano mai stati impiegati. A titolo di prova, Poole aveva una volta staccato l’allarme; Bowman si era ugualmente alzato come un automa all’ora prevista.

Il suo primo gesto ufficiale della giornata consisteva nel portare avanti di dodici ore il cronometro principale dell’ibernazione. Se questa operazione fosse stata omessa due volte di seguito, Hal avrebbe presunto che tanto lui quanto Poole si trovavano nell’incapacità di agire e si sarebbe affrettato ad adottare i necessari provvedimenti di emergenza.

Bowman faceva anzitutto la propria toletta ed esercizi isometrici prima della colazione e della lettura mattutina dell’edizione elettronica del World Times. Sulla Terra, non aveva mai letto il giornale attentamente come adesso; anche le più insignificanti notizie sui pettegolezzi mondani e sulle più fuggevoli voci politiche, sembravano di un interesse assorbente mentre balenavano sullo schermo.

Alle 07.00, sostituiva ufficialmente Poole nel ponte di controllo, portandogli dalla cucina un tubo di caffè da spremere. Se, come accadeva solito, non v’era alcunché da riferire e nessun provvedimento da adottare, si accingeva a controllare tutte le indicazioni degli strumenti ed eseguiva tutta una serie di prove aventi lo scopo di individuare possibili guasti. Entro le 10.00 aveva terminato e si dedicava a un periodo di studio.

Bowman aveva studiato per più di metà della sua vita e avrebbe continuato a studiare finché non fosse andato a riposo. Grazie alla rivoluzione del ventesimo secolo per quanto concerneva le tecniche relative all’istruzione e alle informazioni, egli possedeva già la cultura equivalente a due o tre lauree e, quel che più contava, riusciva a ricordare il novanta per cento di quanto aveva imparato.

Cinquant’anni prima, sarebbe stato considerato uno specialista in astronomia applicata, cibernetica e sistemi propulsivi nello spazio… eppure egli tendeva a negare, con autentica indignazione, di essere qualcosa del genere. Gli era sempre stato impossibile accentrare il proprio interesse esclusivamente su un argomento; nonostante le tetre ammonizioni dei suoi insegnanti, aveva voluto a tutti i costi laurearsi in astronautica generale… una facoltà dal programma vago e nebuloso, destinata a coloro il cui quoziente di intelligenza era inferiore a 130 e che non avrebbero mai brillato nella loro professione.

La sua decisione era stata giusta; proprio quel rifiuto di specializzarsi lo aveva reso eccezionalmente idoneo al suo compito attuale. Press’a poco nello stesso modo, Frank Poole, che a volte, in modo spregiativo, si autodefiniva «tecnico generico di biologia spaziale», era stato una scelta ideale come suo vice. I due uomini, se necessario con l’aiuto della vasta riserva di informazioni di Hal, erano in grado di far fronte a qualsiasi difficoltà potesse probabilmente determinarsi durante il viaggio, finché avessero fatto in modo che le loro menti rimanessero all’erta e ricettive, rinfrescando continuamente le nozioni impresse nella memoria.

Così, per due ore, dalle 10.00 alle 12.00, Bowman si impegnava in un dialogo con un ripetitore elettronico, controllando la sua cultura generale, o assimilando nozioni specifiche per questa missione. Studiava senza posa i piani della nave spaziale, i diagrammi dei circuiti, le carte astronomiche relative al viaggio, oppure tentava di assimilare tutto ciò che si sapeva su Giove, Saturno e le loro vaste famiglie di lune.

A mezzogiorno si ritirava in cucina e affidava la nave spaziale ad Hal durante i preparativi del pranzo. Anche lì era sempre pienamente in contatto con gli eventi, poiché il minuscolo salotto con sala da pranzo conteneva un duplicato del Quadro Indicatore Situazione, e Hal poteva chiamarlo con un solo attimo di preavviso. Poole gli faceva compagnia durante questo pasto, prima di concedersi il suo periodo di sei ore di sonno, e di solito seguivano uno dei normali programmi televisivi trasmessi loro dalla Terra.