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I loro menus erano stati studiati con tanta cura quanto ogni altro aspetto della missione. Il cibo, quasi tutto congelato ed essiccato, era invariabilmente ottimo e prescelto tenendo presente la necessità di incomodarli il meno possibile. I pacchetti dovevano soltanto essere aperti e inseriti nella piccola cucina automatica, che emetteva un segnale sonoro ripetuto a cottura avvenuta. Assaporavano bevande e cibi che avevano lo stesso sapore e, fattore altrettanto importante, lo stesso aspetto del succo d’arancia, delle uova (cucinate in tutti i modi), delle bistecche, delle costate, degli arrosti, della verdura fresca, della frutta assortita, dei gelati, e persino del pane appena tolto dal forno.

Dopo pranzo, dalle 13.00 alle 16.00, Bowman faceva un giro lento e meticoloso della nave spaziale, o di quelle parti di essa che erano accessibili. La Discovery era lunga quasi centoventi metri da un’estremità all’altra, ma il piccolo universo occupato dal suo equipaggio era contenuto interamente nella sfera larga dodici metri del guscio a pressione.

Lì si trovavano tutte le apparecchiature per il mantenimento della vita, e lì era situato il ponte di controllo, il cuore operativo dell’astronave. Sotto di esso veniva un piccolo «garage spaziale» munito di tre camere d’equilibrio, attraverso le quali capsule motorizzate, grandi appena quanto bastava per contenere un uomo, potevano salpare nel vuoto se si presentava la necessità di un’attività extraveicolare.

La regione equatoriale della sfera a pressione (la sezione, per così dire, dal Capricorno al Cancro) racchiudeva un tamburo in lenta rotazione del diametro di undici metri e mezzo. Poiché compiva una rivoluzione ogni dieci secondi, questa giostra o centrifuga produceva una gravità artificiale pari a quella della Luna. Essa bastava a impedire l’atrofia fisica che sarebbe conseguita alla completa assenza di peso, e permetteva inoltre che le normali funzioni della vita si svolgessero in condizioni normali o quasi normali.

La giostra conteneva pertanto la cucina, la sala da pranzo e gli impianti igienici. Soltanto lì era prudente preparare e maneggiare bevande calde… pericolosissime nelle condizioni di assenza di peso, durante le quali si può essere gravemente ustionati da globuli galleggianti d’acqua bollente. Anche le difficoltà del radersi erano risolte: non potevano esservi peli senza peso sparsi nell’aria, con il pericolo di danneggiare l’equipaggiamento elettrico e di minacciare la salute.

Intorno all’orlo della giostra erano disposti cinque piccoli cubicoli, arredati da ciascun astronauta a seconda dei suoi gusti e contenenti i suoi oggetti personali. Soltanto quelli di Bowman e di Poole erano attualmente occupati, mentre i futuri occupanti delle altre tre cabine riposavano entro i loro sarcofaghi elettronici, nel reparto adiacente.

La rotazione del tamburo poteva essere fermata, se necessario; quando ciò accadeva, il suo momento angolare doveva essere immagazzinato in un volano, per essere riutilizzato al momento della ripresa della rotazione. Ma di norma il tamburo veniva lasciato girare a velocità costante, in quanto era abbastanza facile entrare nella grossa giostra in lenta rotazione passando, sostenendosi ad appigli, lungo un’asta attraverso la regione a zero g nel suo centro. Trasferirsi sulla sezione in movimento era semplice e automatico, dopo un po’’ di esperienza, come salire su una scala mobile.

Il guscio sferico a pressione formava l’estremità di una leggera struttura a forma di freccia lunga più di cento metri. La Discovery, come tutti i veicoli destinati a una profonda penetrazione nello spazio, era troppo fragile e troppo poco aerodinamica per poter entrare in un’atmosfera, o per sfidare il campo gravitazionale di qualsiasi pianeta. Era stata montata in orbita intorno alla Terra, collaudata nel corso di un primo volo translunare, e infine controllata in orbita intorno alla Luna. Era una creatura del puro spazio… e ne aveva tutto l’aspetto.

Immediatamente dietro il guscio a pressione si raggruppavano quattro grandi serbatoi di idrogeno liquido e più indietro ancora, formando una lunga ed esile «V», si trovavano le pinne irradianti che disperdevano il calore superfluo del reattore nucleare. Venate da un delicato ricamo di tubazioni per il liquido di raffreddamento, sembravano le ali di una enorme libellula e, sotto certi punti di vista, facevano sì che la Discovery somigliasse fuggevolmente a una nave a vela dei tempi antichi.

All’estremità della «V», e a novanta metri dal compartimento dell’equipaggio, v’erano l’inferno schermato del reattore e il complesso di elettrodi focalizzanti attraverso i quali sfuggiva la sostanza stellare incandescente della propulsione al plasma. Essa aveva svolto il proprio lavoro alcune settimane prima, costringendo la Discovery ad allontanarsi dall’orbita di parcheggio intorno alla Luna. Ora il reattore si limitava a ticchettare, generando energia elettrica per i servizi dell’astronave, e le grandi pinne irradianti, che divenivano incandescenti assumendo un color rossociliegia quando la Discovery accelerava sotto la massima spinta, erano scure e fredde.

Anche se occorreva un’escursione nello spazio per esaminare questa parte dell’astronave, esistevano strumenti e remote telecamere che fornivano indicazioni complete sulle sue condizioni. Bowman riteneva ormai di conoscere intimamente ogni centimetro quadrato delle pinne irradianti e dei pannelli, e ogni tratto di tubazione a essi collegato.

Entro le 16.00 terminava l’ispezione, e faceva un rapporto verbale particolareggiato al Controllo Missione, parlando finché quest’ultimo non incominciava ad accusare ricevuta. Allora spegneva la trasmittente di bordo, ascoltava quanto la Terra aveva da dire, e rispondeva a ogni eventuale domanda. Alle 18.00 Poole si destava e lo sostituiva.

Gli rimanevano allora sei ore libere, da impiegare come più gli piaceva. A volte continuava gli studi, oppure ascoltava musica o guardava film. Per la maggior parte del tempo vagava a suo piacimento tra l’inesauribile biblioteca elettronica dell’astronave. Aveva finito con l’essere affascinato dalle grandi esplorazioni del passato… il che era abbastanza comprensibile, tenuto conto delle circostanze. A volte navigava con Pitea fuori dalle colonne d’Ercole, lungo le coste di una Europa che stava appena emergendo dall’età della pietra, e si avventava tra le gelide nebbie dell’Artico. Oppure, duemila anni dopo, inseguiva con Anson i galeoni di Manila, salpava con Cook lungo i pericoli ignoti della grande barriera corallina e compiva, con Magellano, la prima circumnavigazione della Terra. Incominciò inoltre a leggere l’Odissea, che, tra tutti i libri esistenti, gli parlava più vividamente attraverso gli abissi del tempo.

Per distrarsi, poteva sempre impegnare Hal in un gran numero di giochi semimatematici, compresi la dama e gli scacchi. Se Hal ce la metteva tutta, poteva vincere qualsiasi partita; ma questo sarebbe stato negativo per il morale. E così, lo avevano programmato in modo che vincesse soltanto il cinquanta per cento delle volte, e i suoi compagni di gioco umani fingevano di non saperlo.

Le ultime ore della giornata di Bowman erano dedicate alle pulizie generali e a lavori vari, ai quali seguiva la cena alle ore 20.00, di nuovo con Poole. Quindi, per un’ora circa, egli poteva fare o ricevere qualsiasi telefonata dalla Terra.

Come tutti i suoi colleghi, Bowman era scapolo; non sarebbe stato giusto mandare uomini ammogliati in una missione di simile durata. Sebbene numerose donne avessero promesso di aspettare fino al termine della spedizione, la promessa non era stata presa sul serio da nessuno. All’inizio, sia Poole sia Bowman avevano fatto telefonate personali alquanto intime una volta alla settimana, sebbene la consapevolezza che molte orecchie dovevano ascoltarle, all’estremità del collegamento con la Terra, tendesse a inibirli. Ma già, per quanto il viaggio fosse appena cominciato, la passione e la frequenza delle conversazioni con le loro ragazze sulla Terra avevano cominciato a diminuire. Essi se lo erano aspettato; si trattava di uno degli inconvenienti del modo di vivere degli astronauti, come lo era stato un tempo per i marinai.