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Era vero, e risaputo, che i marinai trovavano compensi in altri porti; purtroppo, non esistevano isole tropicali piene di brune fanciulle di là dall’orbita della Terra. I medici spaziali, naturalmente, avevano affrontato questo problema con il loro consueto entusiasmo; la farmacia della nave conteneva surrogati adeguati, anche se non affascinanti.

Poco prima del cambio, Bowman faceva il suo ultimo rapporto e si accertava che Hal avesse trasmesso tutti i nastri relativi alla strumentazione per quanto concerneva la navigazione di quel giorno. Poi, se ne aveva voglia, passava un paio d’ore o leggendo o guardando un film; e a mezzanotte si addormentava… di solito senza dover ricorrere all’aiuto dell’elettronarcosi.

L’attività di Poole era un’immagine speculare della sua, e i due turni si susseguivano l’uno all’altro senza attriti. Entrambi gli uomini erano completamente occupati, e troppo intelligenti e bene adattati per poter litigare, e il viaggio si era assestato in una comoda routine del tutto priva di eventi, nella quale il trascorrere del tempo era indicato soltanto dai numeri che cambiavano sui quadranti degli orologi digitali.

La più grande speranza del piccolo equipaggio della Discovery era che nulla potesse mai guastare questa pacifica monotonia in futuro.

18. ATTRAVERSO GLI ASTEROIDI

Correndo, una settimana dopo l’altra, simile a un tram sui binari della sua orbita assolutamente predeterminata, la Discovery passò accanto all’orbita di Marte e proseguì verso quella di Giove. A differenza di tutti i vascelli che solcavano i cieli o i mari della Terra, non richiedeva nemmeno un minimo intervento sui comandi. La sua rotta era fissata dalle leggi della gravitazione universale; non esistevano secche non segnate sulle carte né scogliere pericolose contro le quali avrebbe potuto infrangersi. Né v’era il benché minimo pericolo di collisioni con un’altra astronave, in quanto nessuna astronave, per lo meno costruita dall’uomo, si trovava in alcun punto tra essa e le stelle infinitamente remote.

Ciò nonostante, lo spazio nel quale stava adesso penetrando era tutt’altro che vuoto. Dinanzi alla Discovery si trovava una «terra di nessuno» minacciata dalle traiettorie di oltre un milione di asteroidi, meno di diecimila dei quali seguivano orbite determinate esattamente dagli astronomi. Soltanto quattro avevano un diametro superiore ai centosessanta chilometri; gli altri, nella grande maggioranza, erano soltanto macigni giganteschi, scaraventati senza meta attraverso lo spazio.

Al riguardo non si poteva far nulla; sebbene anche il più piccolo di essi potesse distruggere completamente la nave spaziale, qualora avesse dovuto urtarla a una velocità di decine di migliaia di chilometri all’ora, la probabilità di un simile evento era trascurabile.

In media, esisteva un solo asteroide in uno spazio cubico avente un milione e mezzo di chilometri di lato; che la Discovery potesse per caso trovarsi nello stesso punto e allo stesso momento era quello che meno preoccupava il suo equipaggio.

L’ottantaseiesimo giorno dovevano venirsi a trovare nel punto più vicino a uno degli asteroidi noti. Non aveva alcun nome, ma semplicemente il numero 7794, ed era un frammento roccioso del diametro di cinquanta metri individuato dall’Osservatorio lunare nel 1997, e immediatamente dimenticato, tranne che dai pazienti calcolatori dell’Ufficio Pianeti Minori.

Nel momento in cui Bowman era montato in servizio, Hal gli aveva prontamente ricordato l’incontro imminente; era improbabile, del resto, che potesse essersi dimenticato del solo evento previsto nel corso dell’intero viaggio. La traiettoria dell’asteroide contro le stelle, e le sue coordinate al momento del massimo avvicinamento erano già apprese sugli schermi indicatori. Figuravano inoltre, già elencate, le osservazioni da compiere o da tentare; sarebbero stati occupatissimi quando l’asteroide 7794 fosse passato fulmineamente davanti a loro, a soli millequattrocento chilometri di distanza e a una velocità relativa di centoventimila chilometri orari.

Quando Bowman chiese ad Hal di mettere in funzione lo schermo telescopico, su quest’ultimo apparve un tratto di firmamento punteggiato di rare stelle. Non si vedeva nulla che somigliasse a un asteroide, tutte le immagini, anche con il massimo ingrandimento, erano soltanto punti luminosi senza alcuna dimensione.

«Dammi il reticolo bersaglio», chiese Bowman. Immediatamente apparvero quattro fioche e sottili linee, inquadrando una minuscola e «anonima stella. Egli fissò il reticolo per lunghi minuti, domandandosi se Hal non potesse aver commesso un errore; poi vide che il puntino luminoso si stava muovendo, con una lentezza tale da essere appena percettibile, contro lo sfondo delle stelle. Poteva trovarsi ancora a ottocentomila chilometri di distanza… ma il suo movimento indicava che, in base al metro delle distanze cosmiche, era così vicino da poter quasi essere toccato.

Quando Poole raggiunse Bowman sul ponte di controllo sei ore più tardi, il 7794 era centinaia di volte più brillante, e si stava muovendo così rapidamente contro lo sfondo che non si poteva più dubitare della sua identità. E non era più un puntino luminoso, ma aveva incominciato ad apparire come un disco chiaramente visibile.

Fissarono quel ciottolo di passaggio nel cielo con le stesse emozioni di marinai che, nel corso di una lunga traversata, rasentano una costa sulla quale non potranno mai sbarcare. Pur essendo ben consci che il 7794 era soltanto un frammento di roccia senz’aria e senza vita, non riuscirono a far sì che il loro stato d’animo venisse influenzato da tale certezza. Era la sola materia solida che avrebbero incontrato da questa parte di Giove… lontano ancora trecentoventi milioni di chilometri.

Attraverso il telescopio a grande potenza videro che l’asteroide era molto irregolare, e girava lentamente intorno a se stesso. A volte sembrava una sfera appiattita, a volte somigliava a un mattone dalla forma grossolana; il suo periodo di rotazione era di poco più di due minuti.

Esistevano chiazze variegate d’ombra e di luce distribuite apparentemente a caso sulla sua superficie, e spesso esso scintillava come una finestra lontana mentre piani o affioramenti di materiale cristallino balenavano al sole.

Stava correndo davanti a loro a quasi quarantotto chilometri al secondo; avevano appena pochi frenetici minuti di tempo per osservarlo da vicino. Le macchine fotografiche automatiche scattarono decine di istantanee, gli echi di ritorno del radar di navigazione vennero accuratamente registrati per una futura analisi… e rimase appena il tempo per una singola sonda d’urto.

La sonda non conteneva alcuno strumento; nulla avrebbe potuto sopravvivere a una collisione a quelle velocità cosmiche. Era semplicemente un piccolo frammento metallico, lanciato dalla Discovery lungo una traiettoria che avrebbe intersecato quella dell’asteroide.

Mentre i secondi che precedevano l’urto trascorrevano ticchettanti, Poole e Bowman aspettarono con crescente tensione. L’esperimento, sebbene semplice in linea di principio, metteva alla prova fino all’estremo limite la precisione del loro equipaggiamento. Stavano mirando un bersaglio del diametro di cinquanta metri, dalla distanza di migliaia di chilometri…

Sulla parte in ombra dell’asteroide vi fu un’improvvisa, abbacinante esplosione di luce. Il minuscolo frammento metallico aveva colpito a velocità meteorica; in una frazione di secondo, tutta la sua energia si era trasformata in calore. Uno sbuffo di gas incandescente era stato eruttato per qualche istante nello spazio; a bordo della Discovery le macchine fotografiche registravano le righe dello spettro che rapidamente andavano dileguandosi. Sulla Terra gli esperti le avrebbero analizzate, cercando gli indizi significativi degli atomi ardenti. E così, per la prima volta, si sarebbe determinata la composizione della crosta di un asteroide.