Rapidamente come si era avventata fuori dal firmamento verso di loro, Europa si lasciò indietro l’astronave. Hal aveva controllato e ricontrollato l’orbita della Discovery con infinita cura e non si rendevano necessarie ulteriori modifiche della velocità fino al periodo del massimo avvicinamento. Eppure, anche sapendo questo, era un mettere i nervi a dura prova osservare quel globo gigantesco che andava dilatandosi di minuto in minuto. Si stentava a credere che la Discovery non stesse piombando direttamente su di esso, e che l’immenso campo gravitazionale del pianeta non li stesse attraendo giù verso la distruzione.
Era giunto il momento di lanciare le sonde atmosferiche che, si sperava, avrebbero resistito abbastanza a lungo per ritrasmettere qualche dato dal di sotto della coltre di nubi di Giove. Due tozze capsule a forma di bomba, racchiuse in scudi di calore destinati a essere consumati dall’attrito, vennero dolcemente spinte in orbite che, per le prime migliaia di chilometri, si discostavano appena da quella della Discovery.
Ciò nonostante si allontanarono adagio; e ora, infine, anche senza l’ausilio di strumenti, fu possibile vedere quello che Hal aveva asserito. L’astronave si trovava in un’orbita di quasisfioramento, e non di collisione; avrebbe mancato anche l’atmosfera di Giove. La differenza, questo sì, era di appena poche centinaia di chilometri: un mero nulla, trattandosi di un pianeta il cui diametro era di centosessantamila chilometri, ma bastava.
Giove colmava ormai l’intero firmamento; era così enorme che né la mente né lo sguardo riuscivano più ad afferrarlo e sia l’una sia l’altro avevano rinunciato al tentativo. Se non fosse stato per la straordinaria varietà di colori, i rossi e i rosa, i gialli e i salmone e persino gli scarlatti, dell’atmosfera sotto di loro, Bowman avrebbe potuto credere di sorvolare una cappa di nubi sulla Terra.
E ora, per la prima volta nel corso dell’intero viaggio, stavano per perdere il Sole. Per quanto scialbo e rimpicciolito, esso era stato il costante compagno della Discovery dal momento in cui essa si era allontanata dalla Terra, cinque mesi prima. Ma adesso l’orbita dell’astronave stava affondando nell’ombra di Giove; presto sarebbe passata sopra il lato del pianeta sul quale regnava la notte.
Milleseicento chilometri più avanti la fascia del crepuscolo si stava scaraventando verso di loro; dietro l’astronave, il Sole calava rapidamente nelle nubi gioviane. I suoi raggi si aprirono a ventaglio lungo l’orizzonte come due corna fiammeggianti incurvate all’ingiù, poi si contrassero e si spensero nel bagliore fuggevole d’una cromatica radiosità. La notte era discesa.
Eppure, l’immenso mondo sottostante non era completamente buio. Sembrava immerso in una fosforescenza che andava divenendo più luminosa di minuto in minuto, man mano che i loro occhi si abituavano alla scena. Fiochi fiumi di luce scorrevano da un orizzonte all’altro, come scie luminose di navi su qualche mare tropicale. Qua e là si raccoglievano in pozze di fuoco liquido, tremolanti a causa di vasti sommovimenti sottomarini che scaturivano dal cuore segreto di Giove. Lo spettacolo ispirava una tal meraviglia reverenziale che Poole e Bowman avrebbero potuto contemplarlo per ore; era, tutto ciò, si domandarono, semplicemente il risultato di forze chimiche ed elettriche, laggiù in quel calderone ribollente… o forse si trattava del sottoprodotto di qualche fantastica forma di vita? Erano, questi, interrogativi che gli scienziati avrebbero ancora potuto dibattere quando il secolo appena all’inizio si fosse avvicinato al suo termine.
Mentre sprofondavano sempre e sempre più nella notte gioviana, il bagliore sotto di essi continuò ad aumentare costantemente. Una volta Bowman aveva sorvolato il Canada settentrionale al culmine di un’aurora boreale; il paesaggio coperto di neve era apparso squallido e brillante come questo. E quella desolazione artica, egli rammentò a se stesso, era di almeno cento gradi più calda delle regioni sopra le quali si stavano adesso avventando.
«Il segnale della Terra si sta attenuando rapidamente», annunciò Hal. «Entriamo nella prima zona di diffrazione.»
Se lo erano aspettato… anzi, era uno degli scopi della missione, in quanto l’assorbimento delle onde radio avrebbe fornito dati preziosi sull’atmosfera di Giove. Ma adesso che si erano effettivamente lasciati indietro il pianeta, e che esso impediva le comunicazioni con la Terra, sentirono una solitudine improvvisa e schiacciante. Il silenzio radio, si sarebbe protratto soltanto per un’ora; poi sarebbero usciti dallo schermo di Giove e avrebbero potuto ristabilire i contatti con il genere umano. Quell’ora, comunque, sarebbe stata una delle più lunghe della loro vita.
Pur essendo relativamente giovani, Poole e Bowman erano veterani d’una dozzina di viaggi spaziali, ma ora si sentivano come novizi. Stavano tentando qualcosa per la prima volta; mai prima di allora una nave spaziale aveva viaggiato a quella velocità, o sfidato un campo gravitazionale così intenso. Un minimo errore di navigazione in quel momento critico, e la Discovery si sarebbe lanciata sempre più velocemente verso gli estremi limiti del sistema solare, di là da ogni speranza di soccorso.
I minuti scorrevano lenti. Giove era adesso una parete verticale di fosforescenza che si stendeva all’infinito sopra di loro… e l’astronave saliva perpendicolarmente accanto alla superficie luminosa. Nonostante la certezza che la loro velocità era di gran lunga troppo grande perché anche la gravità di Giove potesse catturarli, si stentava a credere che la Discovery non sarebbe divenuta un satellite di quel mondo mostruoso.
Infine, molto più avanti, si vide un balenare di luce all’orizzonte. Stavano emergendo dall’ombra e si dirigevano verso lo spazio illuminato dal Sole. E, quasi nello stesso momento, Hal annunciò: «Sono in contatto radio con la Terra. E sono inoltre lieto di dire che la manovra di perturbazione è stata completata con successo. La durata del viaggio fino a Saturno sarà di contosessantasette giorni, cinque ore e undici minuti.»
Meno di un minuto di differenza con le previsioni; il volo era stato attuato con precisione impeccabile. Simile a una palla su un tavolo da biliardo cosmico, la Discovery era rimbalzata sul campo gravitazionale in movimento di Giove, aumentando il proprio momento dopo l’impatto. Senza ricorrere ad alcun carburante era riuscita a accrescere la propria velocità di parecchie migliaia di chilometri all’ora.
Eppure non vi era stata alcuna violazione delle leggi della meccanica; la natura pareggia sempre i propri registri, e il momento di Giove era diminuito esattamente di tanto quanto aveva guadagnato la Discovery. Il pianeta era stato rallentato, ma, essendo la sua massa un sestilione di volte più grande di quella della nave, il mutamento della sua orbita rimaneva di gran lunga troppo piccolo per poter essere percepito. Non era ancora giunta l’epoca in cui l’uomo avrebbe potuto lasciare il proprio segno sul sistema solare.
Mentre la luce aumentava rapidamente intorno a loro, e il Sole rimpicciolito si alzava una volta di più nel cielo del pianeta, Poole e Bowman si sporsero silenziosamente l’uno verso l’altro e si scambiarono una stretta di mano.
Anche se quasi non riuscivano a crederlo, la prima parte della loro missione era stata felicemente compiuta.
20. IL MONDO DEGLI DÈI
Ma non avevano ancora finito con Giove. Molto più indietro, le due sonde lanciate dalla Discovery stavano prendendo contatto con l’atmosfera.
Di una di esse non si doveva sapere più nulla; presumibilmente era entrata nell’atmosfera con un angolo troppo acuto, bruciando prima di poter trasmettere qualsiasi dato. La seconda fu più fortunata: volò attraverso gli strati superiori dell’atmosfera gioviana, poi rimbalzò ancora una volta nello spazio. Come era stato previsto, aveva perduto tanta velocità, nell’incontro, da ricadere lungo una grande ellisse. Due ore dopo, rientrò nell’atmosfera sul lato del pianeta illuminato dalla luce del giorno… spostandosi alla velocità di centododicimila chilometri all’ora.