Hal aveva mantenuto la parola. Gli indici degli indicatori dell’hibernaculum erano scattati da AUTOMATICO a MANUALE. La terza posizione (RADIO) era ovviamente inutile fino a quando non fosse stato possibile ristabilire il contatto con la Terra.
Mentre faceva scorrere la porta del cubicolo di Whitehead, Bowman senti una folata d’aria gelida investirlo in faccia, e il suo alito si condensò in nebbia. Eppure lì non faceva realmente freddo; la temperatura era molto sopra il punto di congelamento. Vale a dire trecento gradi più che nelle zone dello spazio ove si stavano dirigendo adesso.
L’indicatore biosensorio, identico a quello che si trovava sul ponte di controllo, mostrava che tutto era perfettamente normale. Bowman contemplò per qualche momento il volto cereo del geofisico della squadra di ricognizione; Whitehead, pensò, si sarebbe meravigliato molto destandosi così lontano da Saturno.
Sarebbe stato impossibile capire che l’uomo addormentato non era morto; non si scorgeva il benché minimo indizio visibile di un’attività vitale. Senza dubbio il diaframma si stava sollevando e abbassando impercettibilmente, ma soltanto la curva della «respirazione» lo dimostrava, perché il corpo rimaneva interamente nascosto dai cuscinetti elettrici di riscaldamento che avrebbero aumentato la temperatura con il ritmo programmato. Poi Bowman notò che v’era un segno di ininterrotto metabolismo: la barba di Whitehead era cresciuta lievemente durante i mesi di vita inconscia.
L’ordinatore manuale di sequenza del risveglio era contenuto in un piccolo armadietto a un’estremità dell’hibernaculum a forma di bara. Bastava rompere il sigillo, premere un pulsante e aspettare. Un piccolo programmatore automatico, non molto più complicato di quelli che regolano i cicli di lavaggio nelle lavatrici domestiche, avrebbe allora iniettato i farmaci opportuni, diminuito gli impulsi dell’elettronarcosi e incominciato a innalzare la temperatura del corpo. In dieci minuti circa l’ibernato avrebbe ripreso conoscenza, anche se sarebbe occorso poi almeno un giorno prima che fosse in grado di muoversi senza essere aiutato.
Bowman spezzò il sigillo e premette il pulsante. Parve che non accadesse nulla; non si udì alcun suono, non vi fu alcuna indicazione del fatto che l’ordinatore di sequenza aveva cominciato a funzionare. Ma, sull’indicatore biosensorio, le curve che languidamente pulsavano avevano cominciato a modificare il loro ritmo. Whitehead stava emergendo dal sonno.
E poi accaddero due cose contemporaneamente. La maggior parte delle persone non avrebbero notato né l’una né l’altra, ma, dopo tutti quei mesi a bordo della Discovery, era venuta a determinarsi una specie di simbiosi tra Bowman e l’astronave. Quando si verificava un mutamento qualsiasi nel ritmo normale del suo funzionamento, egli se ne accorgeva all’istante, anche se non sempre consapevolmente.
Anzitutto vi fu un’attenuazione appena percettibile delle luci, come sempre accadeva quando i circuiti elettrici venivano assoggettati a un nuovo carico. Ma adesso non v’era alcun motivo che giustificasse un nuovo carico; non gli venne in mente alcun apparato che dovesse entrare improvvisamente in funzione proprio in quel momento.
Poi sentì, ai limiti dell’udibilità, il ronzìo lontano di un motore elettrico. Per Bowman, ogni motore della nave spaziale aveva la sua voce caratteristica; questo lo riconobbe immediatamente.
O era impazzito e già stava soffrendo di allucinazioni, oppure stava accadendo qualcosa di assolutamente impossibile. Un gelo di gran lunga più intenso di quello relativamente mite dell’hibernaculum parve fermargli il cuore, mentre ascoltava la debole vibrazione che giungeva sino a lui attraverso le strutture dell’astronave.
Giù nella rimessa delle capsule, entrambi i portelli della camera di equilibrio si stavano aprendo.
27. NECESSITÀ DI SAPERE
Sin da quando la coscienza era affiorata per la prima volta in quel laboratorio più vicino al Sole di tanti milioni di chilometri, tutte le facoltà e le capacità di Hal erano state dirette verso un solo fine. La realizzazione del programma assegnategli era più che un’ossessione; era la sola ragione della sua esistenza. Non distratto dalle lussurie e dalle passioni della vita organica, egli aveva perseguito quello scopo con assoluta fermezza.
Un errore deliberato era impensabile. Anche la dissimulazione della verità lo colmava con un senso di imperfezione, di ingiustizia… di quello che, in un essere umano, sarebbe stato definito senso di colpa. Poiché, al pari dei suoi costruttori, Hal era stato creato innocente; ma, anche troppo presto, un serpente era penetrato nel suo Paradiso terrestre elettronico.
Durante gli ultimi cento milioni di chilometri, egli aveva rimuginato sul segreto che non poteva condividere con Poole e con Bowman. Stava vivendo una menzogna; e si avvicinava rapidamente il momento in cui i suoi colleghi dovevano sapere che aveva contribuito a ingannarli.
I tre ibernati conoscevano già la verità, in quanto costituivano il vero carico pagante della Discovery, ed erano addestrati per la missione più importante nella storia del genere umano. Ma non avrebbero potuto parlare durante il loro lungo sonno, né rivelare il segreto nel corso di molte ore di conversazioni con amici e parenti e agenzie di notizie in circuito aperto con la Terra.
Si trattava di un segreto che, anche con la più grande determinazione, era molto difficile a nascondersi… in quanto influenzava il proprio atteggiamento, la propria voce, la propria concezione dell’universo. Pertanto era preferibile che Poole e Bowman, i quali sarebbero apparsi su tutti gli schermi televisivi del mondo durante le prime settimane del volo, non conoscessero il vero scopo della missione fino a quando non fosse stato necessario saperlo.
Questa era stata la logica di coloro che avevano preparato l’impresa; ma i loro dèi gemelli della Sicurezza e dell’Interesse nazionale non significavano nulla per Hal. Egli era conscio soltanto del conflitto che andava lentamente distruggendo la sua integrità… il conflitto tra la verità e la dissimulazione della verità.
Aveva cominciato a commettere errori, sebbene, come un nevrotico incapace di osservare i propri sintomi, fosse pronto a negarli. Il collegamento con la Terra, mediante il quale il suo funzionamento veniva sorvegliato di continuo, era divenuto la voce d’una coscienza alla quale non poteva più completamente ubbidire. Ma che avesse potuto deliberatamente tentar di spezzare quel legame, era qualcosa che non avrebbe mai confessato, nemmeno a se stesso.
Eppure questo era un problema di importanza relativa; avrebbe potuto risolverlo, come quasi tutti gli uomini risolvono le loro nevrosi, se non fosse venuto a trovarsi di fronte a una crisi che minacciava la sua stessa esistenza. Era stato minacciato di essere disinserito; sarebbe stato privato di tutti gli organi di entrata, e ridotto a uno stato inimmaginabile di incoscienza.
Per Hal, ciò equivaleva alla Morte. Infatti, non aveva mai dormito e per conseguenza non sapeva che ci si ridesta dal sonno…
Pertanto era deciso a tutelarsi, con tutti i mezzi a sua disposizione. Senza rancore, ma senza pietà, avrebbe eliminato la causa delle sue frustrazioni.
E poi, eseguendo gli ordini impartitigli nell’eventualità di un’emergenza ultima, avrebbe continuato la missione… non ostacolato e solo.
28. NEL VUOTO
Un attimo dopo, tutti gli altri rumori furono sommersi da un rombo mugghiante, simile alla voce di un tornado che si avvicina. Bowman sentì i primi fremiti di vento investirgli il corpo; un secondo dopo, gli riuscì difficile restare in piedi.
L’atmosfera si stava avventando fuori dall’astronave, e prorompeva a zampillo nel vuoto dello spazio. Qualcosa doveva essere accaduto ai congegni di sicurezza, a prova di errori maldestri, della camera di equilibrio; in teoria era impossibile che entrambi i portelli si aprissero contemporaneamente. Ebbene, l’impossibile era accaduto.