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«Non sappiamo se la civiltà che lo collocò esiste ancora. Dobbiamo presumere che creature i cui ritrovati continuano a funzionare dopo tre milioni di anni siano in grado di creare una società altrettanto duratura. E dobbiamo anche presumere, finché le prove non dimostreranno il contrario, che possano essere ostili. Si è sostenuto spesso che una società progredita deve essere benevola, ma noi non possiamo esporci a rischi.

«Per di più, come la storia del nostro stesso mondo ha dimostrato tante volte, le razze primitive spesso non sono riuscite a sopravvivere all’incontro con civiltà superiori. Gli antropologi parlano di “choc culturale”; potremo essere costretti a preparare l’intero genere umano a un simile choc. Ma fino a quando non sapremo qualcosa delle creature che visitarono la Luna, e presumibilmente anche la Terra, tre milioni d’anni fa, non potremo mai cominciare a fare alcun preparativo.

«La sua missione, pertanto, è assai più di un viaggio di scoperta. È un’esplorazione… una ricognizione di territori ignoti e potenzialmente pericolosi. Il gruppo agli ordini del dottor Kaminski era stato specificamente addestrato per questo genere di lavoro; ora lei dovrà cavarsela da solo…

«In ultimo… il suo specifico obiettivo. Sembra incredibile che forme di vita progredite possano esistere su Saturno, o possano mai essersi evolute su una qualsiasi delle sue lune. Avevamo progettato di esplorare l’intero sistema, e speriamo ancora che lei possa attuare un programma semplificato. Ma per il momento dovremo forse concentrarci sull’ottavo satellite… Giapeto. Quando giungerà il momento della manovra terminale, decideremo se lei dovrà avere il rendezvous con questo straordinario oggetto celeste.

«Giapeto è unico nel sistema solare… lei lo sa già, naturalmente, ma, come tutti gli astronomi degli ultimi trecento anni, probabilmente vi avrà pensato ben poco. Mi consenta quindi di ricordarle che Cassini, il quale scoprì Giapeto nel 1671, osservò altresì che esso era sei volte più luminoso su un lato della propria orbita che sull’altro.

«È questa una differenza straordinaria, e nessuno ha mai saputo darne una spiegazione soddisfacente. Giapeto è così piccolo, ha un diametro di circa milletrecento chilometri, che anche nei telescopi lunari si riesce a malapena a scorgerne il disco. Sembra però che su uno degli emisferi esista un punto brillante e curiosamente simmetrico, il quale potrebbe avere qualche rapporto con il TMA-1. Io penso a volte che Giapeto abbia lampeggiato verso di noi come un eliografo cosmico per trecento anni, e che noi siamo stati troppo stupidi per capirne il messaggio…

«Sicché ora lei conosce il suo vero obiettivo, e può rendersi conto dell’importanza vitale di questa missione. Ci auguriamo tutti che possa ancora fornirci alcuni dati per un annuncio preliminare; il segreto non può essere mantenuto all’infinito.

«Per il momento non sappiamo se sperare o temere. Non sappiamo se, sulle lune di Saturno, lei troverà il bene o il male… oppure soltanto rovine mille volte più antiche di Troia.»

PARTE V

LE LUNE DI SATURNO

31. SOPRAVVIVENZA

Il lavoro è il rimedio più efficace dopo qualsiasi spavento, e Bowman aveva ora lavoro a sufficienza per tutti i suoi compagni di viaggio perduti. Il più rapidamente possibile, incominciando dagli impianti vitali senza i quali lui e l’astronave sarebbero periti, doveva rendere di nuovo la Discovery completamente operativa.

Il mantenimento della vita aveva la precedenza assoluta. Molto ossigeno era andato perduto, ma le riserve continuavano a essere sufficienti per un solo uomo. La regolazione della pressione della temperatura era quasi completamente automatica, e soltanto di rado si presentava la necessità dell’intervento di Hal. Gli apparecchi di controllo a Terra potevano ora svolgere molti dei compiti più importanti del calcolatore ucciso, nonostante l’inevitabile ritardo prima che potessero reagire a nuove situazioni. Ogni inconveniente negli impianti di mantenimento della vita, tranne un grave squarcio nelle pareti esterne dell’astronave, avrebbe impiegato ore per rendersi manifesto, e vi sarebbe stato un lungo preavviso.

I generatori elettrici e i sistemi di navigazione e di propulsione dell’astronave erano intatti… e degli ultimi due, in ogni caso, Bowman non avrebbe avuto bisogno ancora per mesi, fino a quando non fosse giunto il momento del rendezvous con Saturno. Anche da grande distanza, senza l’ausilio di un calcolatore a bordo, la Terra avrebbe ancora potuto dirigere questa operazione. Le rettifiche finali dell’orbita sarebbero state alquanto tediose, a causa della costante necessità di controlli, ma questa non poteva essere considerata una difficoltà grave.

Il compito di gran lunga peggiore era consistito nel vuotare le bare che ruotavano entro il tamburo. Fortunatamente, pensava Bowman con gratitudine, i componenti della squadra di ricognizione erano stati suoi colleghi, ma non intimi amici. Si erano addestrati insieme soltanto per alcune settimane; rievocando la cosa, adesso, egli si rendeva conto che anche questa aveva costituito in vasta misura una prova di compatibilità.

Dopo aver finalmente chiuso gli hibernacula vuoti, si sentì alquanto simile a un predone di tombe egizie. Ora Kaminski, Whitehead e Hunter avrebbero raggiunto tutti Saturno prima di lui… ma non prima di Frank Poole.

Chissà perché, egli traeva una strana e bieca soddisfazione da questa certezza.

Non tentò di accertare se il resto dell’impianto di ibernazione funzionasse ancora a dovere. Anche se, in ultimo, la sua vita sarebbe potuta dipendere da esso, era questo un problema che poteva aspettare fino a quando l’astronave non fosse entrata nella sua orbita finale. Prima di allora sarebbero potute accadere molte cose.

Era addirittura possibile, sebbene non avesse ancora esaminato attentamente la situazione delle provviste, che con un severo razionamento egli potesse restare in vita, senza ricorrere all’ibernazione, fino all’arrivo dei soccorsi. Ma se sarebbe riuscito a sopravvivere psicologicamente, oltre che fisicamente, era tutta un’altra questione.

Cercò di evitare di pensare a questi problemi a lunga scadenza e di concentrarsi sulle cose immediate ed essenziali. Pian piano, ripulì l’astronave, si accertò che gli impianti di bordo continuassero a funzionare senza inconvenienti, esaminò le difficoltà tecniche con la Terra e si limitò a un minimo di ore di sonno. Soltanto a intervalli, durante le prime settimane, riuscì a riflettere a lungo sul grande mistero verso il quale stava ora correndo inesorabilmente… sebbene esso non fosse mai lontano dai suoi pensieri.

Infine, mentre la nave spaziale si riadagiava una volta di più, lentamente, in una routine automatica, che però richiedeva pur sempre la sua costante sorveglianza, Bowman ebbe il tempo di studiare le informazioni e i rapporti inviatigli dalla Terra. Più e più volte ascoltò le registrazioni eseguite quando il TMA-1 aveva salutato l’alba per la prima volta dopo tre milioni di anni. Osservò le sagome con le tute spaziali muoversi intorno al monolito, e quasi sorrise del loro ridicolo panico allorché esso aveva lanciato il proprio segnale alle stelle, paralizzando le radio con la pura potenza della sua voce elettronica.

A partire da quel momento, la nera lastra era rimasta inerte. L’avevano riseppellita; poi, con cautela, esposta nuovamente al Sole… senza che vi fosse alcuna reazione. Non era stato fatto alcun tentativo di tagliarla, in parte per ragioni di cautela scientifica, ma anche per il timore delle possibili conseguenze.

Il campo magnetico che aveva portato alla scoperta del monolito era svanito nel momento stesso di quell’urlo radiofonico. Forse, stando alle teorie di alcuni esperti, esso era stato generato da un’enorme corrente circolante, che scorreva in un superconduttore e aveva così conservato la propria energia nel corso dei millenni e delle ere, fino al momento in cui si era resa necessaria. Che il monolito contenesse qualche sorgente interna di energia sembrava certo; l’energia da esso assorbita durante la breve esposizione ai raggi solari non poteva spiegare la potenza del segnale.