Una caratteristica del monolito, curiosa, ma forse del tutto priva di importanza, aveva dato luogo a innumerevoli controversie. Il monolito era alto 3,34 metri, largo un metro e mezzo, spesso trentotto centimetri. Quando le sue dimensioni erano state misurate con la massima precisione, si era constatato che avevano l’esatto rapporto di 1:4:9, i quadrati dei primi tre numeri interi. Nessuno era stato in grado di proporre una spiegazione plausibile di tale particolarità, ma difficilmente poteva trattarsi di una coincidenza, perché le proporzioni avevano resistito fino al limite delle più precise misurazioni. Era umiliante pensare che tutta la tecnologia della Terra non riusciva a foggiare nemmeno un blocco inerte, di qualsiasi materiale, con una precisione così fantastica. A suo modo, questo sfoggio passivo eppure arrogante di perfezione geometrica era impressionante quanto tutti gli altri attributi del TMA-1.
Bowman ascoltò inoltre, con un interessamento stranamente distaccato, le tardive scuse del Controllo Missione per il proprio piano. Le voci provenienti dalla Terra sembravano avere un’intonazione difensiva; poteva immaginare le recriminazioni che dovevano infuriare in quel momento tra coloro che avevano progettato la spedizione.
Essi disponevano di alcuni validi argomenti, naturalmente, compresi i risultati di uno studio segreto del Dipartimento della Difesa, il Progetto BARSOOM, eseguito dalla Harvard School of Psychology nel 1989. Nel corso di questo esperimento di sociologia controllata, a vari campioni statistici della popolazione era stato assicurato che il genere umano aveva stabilito contatti con esseri extraterrestri. Molti dei soggetti sottoposti all’esperimento, con l’ausilio di farmaci, dell’ipnosi e di effetti visivi, avevano l’impressione di essersi effettivamente incontrati con creature provenienti da altri pianeti, per cui le loro reazioni potevano essere considerate autentiche.
Alcune di queste reazioni erano state violentissime; esisteva, a quanto sembrava, un substrato profondo di xenofobia in numerosi esseri umani sotto ogni altro aspetto normali. Tenuto conto dei precedenti dell’umanità in fatto di linciaggi, pogrom e analoghe piacevolezze, la cosa non avrebbe dovuto stupire nessuno; ciò nonostante, gli ideatori dello studio erano rimasti profondamente turbati, e i risultati non erano stati mai resi pubblici. Le cinque diverse ondate di panico causate nel ventesimo secolo dalle trasmissioni radiofoniche della Guerra dei mondi di H. G. Wells avvaloravano anch’esse le conclusioni dello studio…
Nonostante questi argomenti, Bowman si domandava a volte se il pericolo dello choc culturale fosse la sola giustificazione dell’estrema segretezza della missione. Alcune allusioni durante le sue conversazioni con il Controllo Missione lasciavano capire che il blocco Stati UnitiURSS sperava di avvantaggiarsi a essere il primo a stabilire contatti con esseri extraterrestri intelligenti. Dall’attuale punto di vista di Bowman, che vedeva la Terra come una fioca stella quasi perduta nel bagliore solare, considerazioni del genere sembravano parrocchiali fino al ridicolo.
Si interessava assai di più, anche se a questo proposito molta acqua era ormai passata sotto i ponti, alla teoria suggerita per spiegare il comportamento di Hal. Nessuno sarebbe mai potuto essere certo della verità, ma il fatto che uno dei 9000 del Controllo Missione fosse stato travolto da un’identica psicosi, e venisse ora assoggettato a una terapia, lasciava capire che la spiegazione era giusta. Lo stesso errore non sarebbe più stato commesso; e il fatto che i costruttori di Hal non fossero riusciti a capire appieno la psicologia della loro stessa creazione dimostrava quanto sarebbe potuto essere difficile stabilire comunicazioni con esseri realmente diversi.
Bowman non stentava a credere alla teoria del dottor Simonson, secondo il quale un inconscio senso di colpa, causato dai conflitti del suo programma, aveva indotto Hal a tentar di interrompere il collegamento con la Terra. E amava credere, sebbene anche questo non potesse mai essere dimostrato, che Hal non aveva avuto alcuna intenzione di uccidere Poole. Egli si era limitato a tentar di distruggere la prova; poiché non appena fosse risultato che l’elemento AE-35, giudicato difettoso, funzionava regolarmente, la sua menzogna sarebbe stata rivelata. In quel momento, come ogni goffo criminale impigliato in una rete sempre più fitta di inganni, egli si era lasciato prendere dal panico.
E il panico era una cosa che Bowman capiva meglio di quanto avrebbe voluto, in quanto lo aveva conosciuto due volte in vita sua. La prima volta da ragazzo, quando un cavallone lo aveva travolto e per poco non era affogato; la seconda volta come uomo spaziale in allenamento, quando un indicatore difettoso lo aveva persuaso che la sua riserva di ossigeno si sarebbe esaurita prima di consentirgli di mettersi al sicuro.
Entrambe le volte, egli aveva quasi perduto il controllo di tutti i suoi processi logici superiori; ed era stato lì lì per diventare un fascio frenetico di impulsi casuali, Entrambe le volte era riuscito a vincersi, ma sapeva abbastanza bene che ogni uomo, in determinate circostanze, poteva essere reso disumano dal panico.
Se questo poteva accadere a un uomo, poteva accadere anche ad Hal; e, con tale certezza, l’odio e la sensazione di tradimento che il calcolatore gli ispirava incominciarono a dileguarsi. Tutto ciò, in ogni modo, apparteneva a un passato che era stato lasciato completamente in ombra dalla minaccia, e dalla promessa, dell’ignoto futuro.
32. A PROPOSITO DELLE CREATURE EXTRATERRESTRI
A parte i pasti frettolosi nel tamburo ruotante (per fortuna i distributori principali del cibo non erano stati danneggiati) Bowman viveva in pratica sul ponte di controllo. Faceva brevi pisolini sul sedile e poteva così individuare ogni inconveniente non appena i primi indizi apparivano sugli schermi indicatori. Attenendosi alle istruzioni impartitegli dal Controllo Missione, aveva improvvisato numerosi sistemi di emergenza che funzionavano tollerabilmente bene. Sembrava addirittura possibile che riuscisse a sopravvivere fino all’arrivo della Discovery a Saturno… una mèta, che, naturalmente, l’astronave avrebbe raggiunto con lui vivo o morto a bordo.
Sebbene avesse poco tempo per le osservazioni celesti e il firmamento dello spazio non costituisse per lui una novità, la consapevolezza di quanto si trovava laggiù, di là dai finestrini, faceva sì che gli riuscisse difficile a volte concentrarsi anche sul problema della sopravvivenza. Direttamente di fronte a lui, così come l’astronave era attualmente orientata, si stendeva la Via Lattea, con le sue nubi di stelle tanto strettamente stipate da stordire la mente. Vi erano le ardenti nebbie del Sagittario, quei brulicanti sciami di soli che in eterno sottraevano agli sguardi umani il cuore della galassia. V’era la sinistra ombra nera detta «Sacco di carbone», quel foro nello spazio in cui nessuna stella splendeva. E vi era Alfa del Centauro, il più vicino di tutti i soli estranei… la prima tappa oltre il sistema solare.
Sebbene meno splendente di Sirio e di Canopo, era Alfa del Centauro ad attrarre gli occhi e i pensieri di Bowman ogni volta che egli guardava fuori nello spazio. Poiché quell’immutabile punto di luce, i cui raggi avevano impiegato quattro anni per raggiungerlo, aveva finito con il simboleggiare i dibattiti segreti che infuriavano in quel momento sulla Terra, e i cui echi arrivavano di quando in quando fino a lui.
Nessuno dubitava che dovesse esservi qualche rapporto tra il TMA-1 e il sistema di Saturno, ma difficilmente qualsiasi scienziato sarebbe stato disposto ad ammettere che le creature dalle quali era stato eretto il monolito avessero avuto laggiù le loro origini. Come dimora di vita, Saturno era ancor più ostile di Giove, e le sue tante lune erano congelate da un inverno eterno, con trecento gradi sotto lo zero. Solamente una di esse, Titano, possedeva una atmosfera; e si trattava di uno strato sottile di metano velenoso.