Eppure adesso GuardalaLuna rimase immobile a guardarli, titubando, avanzando e indietreggiando incerto, mentre veniva sferzato da impulsi che non riusciva a capire. Poi, come in sogno, cominciò a cercare al suolo… pur non essendo in grado di spiegare che cosa anche se fosse stato capace di esprimersi. Avrebbe riconosciuto la cosa non appena l’avesse veduta.
Era un sasso pesante, appuntito, lungo circa quindici centimetri, e, sebbene non si adattasse perfettamente alla sua mano, poteva andare. Facendo oscillare il braccio, interdetto dal peso improvvisamente accresciuto della mano, provò una sensazione piacevole di potenza e di autorevolezza. Incominciò a muoversi verso il facocero più vicino.
Era un animale giovane e stupido, anche in base all’esiguo metro dell’intelligenza dei facoceri. Pur avendo osservato GuardalaLuna con la coda dell’occhio, lo prese sul serio soltanto di gran lunga troppo tardi. Perché avrebbe dovuto sospettare quelle creature innocue d’una qualsiasi cattiva intenzione? Continuò a strappare erba fino a quando il sasso appuntito non lo privò del suo barlume di coscienza. Gli altri componenti del branco continuarono a pascolare senza allarmarsi, perché l’uccisione era stata fulminea e silenziosa.
Tutti gli altri uominiscimmia del gruppo si erano fermati a guardare, e ora si raccolsero intorno a GuardalaLuna e alla sua vittima con ammirato stupore. Di lì a poco uno di essi raccattò l’arma imbrattata di sangue e prese a vibrarla sul facocero morto. Gli altri lo imitarono con tutti i bastoni e i sassi che riuscirono a trovare, finché la loro preda non fu maciullata.
Poi si annoiarono; alcuni si allontanarono, mentre gli altri rimanevano esitanti intorno alla carogna irriconoscibile… e il futuro del mondo dipendeva dalla loro decisione. Passò un intervallo di tempo sorprendentemente lungo prima che una delle femmine che allattavano incominciasse a leccare il sasso insanguinato che aveva tra le dita.
E occorse ancora più tempo prima che GuardalaLuna, nonostante tutto ciò che gli era stato mostrato, si rendesse realmente conto di non dover mai più soffrire la fame.
4. IL LEOPARDO
Le armi e gli utensili che secondo il programma dovevano impiegare erano abbastanza semplici, e ciò nonostante avrebbero potuto cambiare il mondo e fare degli uominiscimmia i suoi padroni. L’arma più primitiva era il sasso tenuto nella mano, che moltiplicava di parecchie volte la potenza di un colpo. Veniva poi la clava d’osso, che consentiva di colpire più da lontano e poteva servire da difesa contro le zanne o gli artigli di animali famelici.
Ma occorrevano loro altri mezzi, poiché i denti e le unghie non potevano smembrare rapidamente niente di più grosso di un coniglio selvatico. Fortunatamente, la natura aveva fornito loro gli utensili perfetti, che richiedevano soltanto l’astuzia di raccattarli.
Anzitutto v’era un rozzo, ma effìcientissimo coltello, o sega, di un modello che avrebbe risposto bene allo scopo per i successivi tre milioni di anni. Si trattava semplicemente della mascella inferiore di un’antilope, con i denti ancora al loro posto; non vi sarebbero stati perfezionamenti sostanziali fino alla scoperta del ferro. V’era poi un punteruolo, o un pugnale, sotto forma di un corno di gazzella, e infine un attrezzo per raschiare, ricavato dalla mascella completa, o quasi completa, di ogni piccolo animale.
La clava, la sega fatta di denti, il pugnale ricavato da un corno, il raschietto d’osso… queste erano le invenzioni meravigliose che occorrevano agli uominiscimmia per sopravvivere. Ben presto avrebbero riconosciuto in esse quei simboli del potere che rappresentavano, ma molti mesi dovevano trascorrere prima che le loro goffe dita avessero acquisito la capacità, o la volontà, di servirsene.
Forse, col tempo, sarebbero potuti pervenire di loro iniziativa al grandioso e brillante concetto di adoperare armi naturali come attrezzi artificiali. Ma le probabilità erano tutte contro di loro, e anche adesso rimanevano innumerevoli possibilità di insuccesso nelle epoche a venire.
Agli uominiscimmia era stata offerta la loro prima occasione. Non ve ne sarebbe stata una seconda; ora avevano in pugno, letteralmente, il proprio avvenire.
Le lune continuarono a crescere e a calare; piccoli vennero al mondo e talora vissero; vecchi di trent’anni, deboli e sdentati, morirono; il leopardo imponeva il proprio pedaggio la notte; gli Altri lanciavano minacce ogni giorno dalla riva opposta del torrente… e la tribù prosperava.
Nel corso di un solo anno, GuardalaLuna e i suoi compagni erano cambiati in modo quasi irriconoscibile.
Avevano imparato bene la lezione; ora riuscivano a maneggiare tutti gli strumenti ch’erano stati loro rivelati. Il ricordo stesso della fame andava dileguandosi dalla loro mente; e sebbene i facoceri stessero diventando diffidenti, esistevano gazzelle e antilopi e zebre a innumerevoli migliaia sulle pianure. Tutti questi animali e altri erano caduti preda degli apprendisti cacciatori.
Adesso che non erano più quasi storditi dall’inedia, gli uominiscimmia avevano tempo sia per i piaceri, sia per i primi rudimenti del pensiero. Il loro nuovo sistema di vita veniva ormai accettato con noncuranza, ed essi non lo collegavano in alcun modo con il monolito ancora ritto accanto alla pista che conduceva al torrente. Se per caso si fossero soffermati a considerare la situazione, avrebbero forse potuto vantarsi di essere riusciti a migliorare la loro situazione con i propri sforzi: in realtà, avevano già dimenticato ogni altro modo di vivere.
Ma nessuna utopia è perfetta, e questa presentava due inconvenienti. Il primo consisteva nel leopardo razziatore, la cui passione per gli uominiscimmia sembrava essere divenuta ancor più irresistibile adesso che erano meglio nutriti. Il secondo consisteva nella tribù all’altro lato del torrente; gli Altri, infatti, erano riusciti in qualche modo a sopravvivere, rifiutandosi caparbiamente di morire di fame. Il problema del leopardo venne risolto in parte dal caso, in parte in seguito a un errore grave, quasi fatale, anzi, di GuardalaLuna. Eppure, sul momento la sua idea era sembrata così brillante da indurlo a danzare di gioia, e forse difficilmente si sarebbe potuto rimproverarlo per aver ignorato le conseguenze.
Alla tribù toccavano ancora di quando in quando giornate sfavorevoli, sebbene esse non ne minacciassero più la sopravvivenza stessa. Un giorno, verso il crepuscolo, essa non era riuscita a uccidere alcuna preda; si scorgevano già le caverne, mentre GuardalaLuna guidava gli stanchi e malcontenti compagni verso i rifugi. E là, quasi sulla soglia delle caverne, trovarono uno dei rari e preziosi doni della natura.
Un’antilope adulta giaceva sulla pista. Aveva una zampa, anteriore fratturata, ma le rimaneva ancora abbastanza spirito combattivo e gli sciacalli che l’accerchiavano si tenevano a rispettosa distanza dalle sue corna simili a pugnali. Potevano permettersi di aspettare; sapevano che il momento opportuno sarebbe giunto.
Ma si erano dimenticati di avere dei concorrenti, e indietreggiarono con ringhi irosi quando gli uominiscimmia arrivarono. Anche questi ultimi circondarono con circospezione l’antilope, tenendosi di là dalla portata di quelle corna pericolose; poi andarono all’attacco con clave e sassi.
Non fu un attacco molto efficiente e coordinato. Prima che la povera bestia fosse liberata dalla morte, la luce era quasi scomparsa… e gli sciacalli stavano ritrovando il coraggio. GuardalaLuna, combattuto fra la paura e la fame, si rese conto a poco a poco che tutte quelle fatiche sarebbero potute essere vane. Era troppo pericoloso trattenersi lì ancora a lungo.