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E così, per l’ultima volta, David Bowman dormì.

45. RICAPITOLAZIONE

Poiché non avevano più alcuno scopo, i mobili dell’appartamento tornarono a dissolversi nella mente del loro creatore. Soltanto il letto rimase… insieme alle pareti che proteggevano quel fragile organismo dalle energie non ancora assoggettate al suo controllo.

Nel sonno, David Bowman si mosse irrequieto. Non si destò, e non sognò, ma non era più del tutto inconscio. Simile alla nebbia insinuantesi in una foresta, qualcosa gli invase la mente. La sentì soltanto vagamente, perché se l’avesse percepita nella sua interezza la cosa lo avrebbe distrutto immancabilmente come i fuochi che infuriavano dietro quelle pareti. Sottoposto allo spassionato scrutinio, egli non provò né speranza né timore; ogni stato d’animo era eliminato.

Gli sembrava di galleggiare nello spazio vuoto, mentre intorno a lui si stendeva, in tutte le direzioni, un’infinita griglia geometrica di scure linee, o di scuri fili, sulla quale si muovevano minuscoli noduli di luce… alcuni adagio, altri a velocità fantastiche. Una volta egli aveva osservato al microscopio una sezione trasversale di cervello umano, e nella rete di fibre nervosa aveva intravisto la stessa labirintica complessità. Ma quel cervello era morto e statico, mentre questo trascendeva la vita stessa. Bowman sapeva, o credeva di sapere, di assistere al funzionamento di una mente gigantesca intenta a contemplare l’universo del quale egli era una così minima parte.

La visione, o allucinazione, si protrasse soltanto per un momento. Poi i piani e i tralicci cristallini e le prospettive intersecantisi di luci in movimento baluginarono e cessarono di esistere, mentre David Bowman si trasferiva in un campo della coscienza che nessun altro uomo aveva mai sperimentato prima di allora.

Inizialmente, parve che il Tempo stesso scorresse all’indietro. Anche questa meraviglia egli si accinse ad accettare, prima di essersi reso conto della più sottile verità.

Le molle della memoria venivano manipolate; con un ricordo controllato, egli stava rivivendo il passato. Ecco l’appartamento d’albergo… ecco la capsula… ecco la superficie in fiamme del sole rosso… ecco il nucleo splendente della galassia… ecco la porta attraverso la quale era rientrato nell’universo. E non soltanto le immagini, ma tutte le impressioni dei sensi, e tutti gli stati d’animo provati sul momento stavano scorrendo all’indietro, sempre e sempre più rapidamente. La sua vita si stava svolgendo come il nastro di un registratore che riavvolgesse la bobina a velocità crescente.

Adesso si trovava una volta di più a bordo della Discovery e gli anelli di Saturno colmavano il cielo. Poi eccolo ripetere l’ultimo dialogo con Hal. Ed ora vedeva Frank Poole partire per l’ultima missione, e udiva la voce della Terra assicurargli che tutto andava bene.

E nel momento stesso in cui andava rivivendo tutti questi eventi, sapeva che ogni cosa andava bene, effettivamente. Indietreggiava lungo i corridoi del Tempo, veniva svuotato di conoscenza ed esperienza e correva velocemente verso la propria infanzia. Ma nulla era perduto; tutti gli avvenimenti determinatisi in ogni momento della sua vita venivano affidati a una più sicura custodia. Nel momento stesso in cui un David Bowman cessava di esistere, un altro Bowman diventava immortale.

Più velocemente, più velocemente retrocedette in anni dimenticati e in un mondo più semplice. Volti che un tempo aveva amato, volti che aveva creduto perduti in modo irrecuperabile, gli sorrisero dolcemente. Ricambiò il sorriso con tenerezza, e senza sofferenza.

Ora, finalmente, la regressione a capofitto stava rallentando; i pozzi della memoria erano quasi prosciugati. Il Tempo incominciò a scorrere sempre più pigramente, avvicinandosi a un momento di stasi… così come il pendolo oscillante, giunto al limite del proprio arco, sembra immobilizzato per un attimo eterno, prima di iniziare il ciclo successivo.

L’istante senza tempo passò; il pendolo invertì la propria oscillazione. In una stanza vuota, galleggiante tra le fiamme di una stella doppia situata a ventimila anniluce dalla Terra, un neonato aprì gli occhi e cominciò a strillare.

46. TRASFORMAZIONE

Poi tacque, constatando di non essere più solo.

Uno spettrale, baluginante rettangolo si era formato nell’aria vuota. Si solidificò in un monolito di cristallo, perdette la propria trasparenza e si soffuse di luminosità pallida e lattea. Allettanti, mal definiti fantasmi si mossero sulla sua superficie e nelle sue profondità. Si fusero in sbarre di luce e d’ombra, poi formarono disegni intersecantisi e raggiati che incominciarono a ruotare adagio, assecondando il tempo del ritmo pulsante che sembrava colmare adesso l’intero spazio.

Era uno spettacolo tale da monopolizzare e impegnare l’attenzione di qualsiasi bambino… o di qualsiasi uomoscimmia. Ma, com’era accaduto tre milioni d’anni prima, esso costituiva soltanto la manifestazione esteriore di forze troppo sottili per poter essere percepite consapevolmente. Era un mero giocattolo per distrarre i sensi, mentre il processo reale veniva attuato a livelli di gran lunga più profondi di quelli della mente.

Questa volta il processo fu rapido e sicuro, mentre la nuova trama veniva intessuta. Perché, nelle ere trascorse dall’ultimo incontro, molte cose erano state apprese dal tessitore; e il materiale sul quale egli esercitava adesso la propria arte era di una fibra infinitamente più fine. Ma se al soggetto sarebbe stato consentito di entrare a far parte dell’arazzo in formazione, soltanto il futuro avrebbe potuto dirlo.

Con occhi che già erano capaci di qualcosa di più dell’attenzione umana, il bambino fissò le profondità del monolito di cristallo, vedendo, senza però ancora capirli, i misteri che si celavano più oltre. Seppe di essere tornato, seppe che lì era l’origine di molte razze oltre alla sua; ma seppe anche che non poteva rimanere. Di là da quel momento, si trovava un’altra nascita, più strana di ogni altra del passato.

Adesso il momento era giunto; i disegni splendenti non echeggiavano più i segreti nel cuore di cristallo. Mentre essi si spegnevano, anche le pareti protettive dileguarono nell’inesistenza dalla quale erano fuggevolmente emerse, e il sole rosso colmò il cielo.

Il metallo e la plastica della capsula dimenticata e gli indumenti indossati un tempo da un’entità che si era chiamata David Bowman, avvamparono in una fiammata. Gli ultimi legami con la Terra erano scomparsi, risolti negli atomi che li componevano.

Ma il bambino quasi non se ne accorse, mentre si adattava alla piacevole luminosità del suo nuovo ambiente. Gli occorreva ancora, per qualche tempo, questo guscio di materia come centro focale delle sue capacità. Il suo corpo indistruttibile era l’attuale immagine mentale che egli aveva di se stesso; e, nonostante tutte le sue capacità, sapeva di essere ancora un bambino.

Tale sarebbe rimasto finché non si fosse deciso per una nuova forma, o non fosse passato oltre le necessità della materia.

E adesso era giunto il momento di andare… anche se, in un certo senso, non avrebbe mai abbandonato quel luogo ove era rinato, perché sempre avrebbe fatto parte dell’entità che si avvaleva della stella doppia per i suoi scopi imperscrutabili. La direzione, anche se non la natura, del suo destino gli appariva chiara, e non v’era alcuna necessità di seguire la via tortuosa lungo la quale era venuto. Con gli istinti di tre milioni di anni, egli intuiva adesso che esistevano altre vie oltre a quella dietro il fondo dello spazio. Gli antichi meccanismi della Porta delle Stelle lo avevano servito bene, ma lui non ne avrebbe più avuto bisogno.

La baluginante forma rettangolare che un tempo era sembrata soltanto una lastra di cristallo continuava a galleggiare davanti a lui, indifferente come egli lo era alle fiamme innocue dell’inferno sottostante. Essa racchiudeva segreti non ancora penetrati di spazio e di tempo, ma alcuni di essi, almeno, il bambino adesso li capiva ed era in grado di dominarli. Come era ovvio, come era necessario, il rapporto matematico dei lati del monolito, la sequenza dei quadrati, 1:4:9! E quale ingenuità avere immaginato che la serie terminasse a quel punto, con appena tre dimensioni!