«Dottor Floyd, spero che lei possa udirmi. Sono il professor Chang… Ricorda? Ci conoscemmo nel 2002… al congresso U. A.I. di Boston.»
In un lampo, assurdamente, i pensieri di Floyd vennero a trovarsi un miliardo di chilometri lontani. Egli rammentava vagamente quel ricevimento, dopo la seduta conclusiva del Congresso dell’Unione Astronomica Internazionale… l’ultimo al quale avessero partecipato i cinesi prima della Seconda Rivoluzione Culturale. E a questo punto rammentò molto chiaramente Chang… un astronomo ed esobiologo piccoletto e gioviale, con una abbondante riserva di barzellette. Adesso però non stava scherzando.
«… come enormi trecce di alghe marine bagnate che strisciassero sul ghiaccio. Lee è tornato di corsa sull’astronave a prendere una macchina fotografica… io sono rimasto per osservare e riferire via radio. La cosa si muoveva talmente adagio che avrei potuto facilmente batterla in velocità. Ero di gran lunga più entusiasta che allarmato. Credevo di sapere che genere di creatura fosse — avevo veduto fotografie delle foreste di fuchi al largo della California — ma mi sbagliavo completamente.
«… potevo rendermi conto che la creatura si trovava in difficoltà. Non era possibile che riuscisse a sopravvivere ad una temperatura inferiore di centocinquanta gradi a quella del suo ambiente normale. Mentre avanzava veniva immobilizzata dal gelo… frammenti se ne staccavano come se fossero stati di vetro — ma continuava ad avanzare ugualmente verso l’astronave, una nera onda di marea man mano più lenta.
«Continuavo ad essere talmente sorpreso che non riuscivo a pensare con chiarezza e non potevo immaginare che cosa stesse cercando di fare…»
«È possibile in qualche modo metterci in comunicazione con lui?» bisbigliò Floyd, in tono incalzante.
«No, è troppo tardi. Europa verrà a trovarsi presto dietro a Giove. Dovremo aspettare che non sia più eclissata.»
«… si stava arrampicando sull’astronave e formava una sorta di galleria di ghiaccio mentre avanzava. Forse questa galleria serviva da isolamento contro il freddo… così come le termiti si proteggono dalla calura del sole con i loro piccoli corridoi di fango.
«… tonnellate di ghiaccio sull’astronave. Le antenne radio si sono spezzate per prime. Poi ho veduto gli appoggi di atterraggio cominciare a incurvarsi… tutto al rallentatore, come in un sogno.
«Soltanto quando l’astronave ha cominciato a cadere mi sono reso conto di quello che la creatura stava cercando di fare… ma ormai era troppo tardi. Avremmo potuto salvarci… se soltanto avessimo spento quelle lampade.
«Forse si tratta di un fototropo il cui cielo biologico è innescato dalla luce solare che filtra attraverso il ghiaccio. O può darsi che sia attratto dalla luce come le falene dalle candele. I nostri riflettori dovevano essere più vividi di qualsiasi cosa mai veduta su Europa.
«Poi l’astronave è andata in pezzi. L’ho veduta spaccarsi e si è formata una nube di cristalli di ghiaccio mentre l’umidità si condensava. Tutte le luci si sono spente, tranne una che oscillava all’estremità di un cavo, un paio di metri sopra la superficie.
«Non so che cosa sia accaduto immediatamente dopo. Ricordo per prima cosa che mi trovavo in piedi sotto la luce, accanto ai rottami dell’astronave, con uno spolverìo impalpabile di neve fresca tutto attorno. Potevo vedere con grande chiarezza le mie orme; dovevo essere arrivato di corsa sin lì; forse era trascorso soltanto un minuto, o due al massimo…
«La pianta — continuavo a pensare alla cosa come a una pianta — era immobile. Mi domandavo se fosse stata danneggiata dall’impatto; grosse parti di essa, spesse come il braccio di un uomo — si erano spezzate, simili a rami rotti.
«Poi il tronco ha ricominciato a muoversi. Si è scostato da quel che restava dell’astronave, strisciando verso di me. Mi sono reso conto allora, con certezza, che la cosa era sensibile alla luce: mi trovavo immediatamente sotto la lampada da mille watt, che aveva smesso di oscillare.
«Immagini una quercia — meglio ancora un fico del Bengala, con i suoi molteplici tronchi e le innumerevoli radici, che, appiattito dalla gravità, cerchi di strisciare al suolo. La cosa era arrivata a circa cinque metri dalla luce, poi ha cominciato a dilatarsi fino a formare un circolo perfetto intorno a me. Presumibilmente era quello il limite della sua tolleranza… il punto nel quale la fotoattrazione si tramutava in ripugnanza. In seguito, per svariati minuti, non è accaduto più nulla. Mi domandavo se la creatura fosse morta… trasformata finalmente in ghiaccio compatto.
«Poi ho veduto che grandi gemme si stavano formando su molti dei rami. Era come guardare una ripresa cinematografica di fiori che sbocciano. In effetti credevo che si trattasse di fiori… ognuno di essi era grande quanto la testa di un uomo.
«Membrane delicate, mirabilmente colorate, hanno cominciato a spiegarsi. Anche in un momento simile mi è accaduto di pensare che nessuno — nessun essere vivente — aveva mai potuto vedere prima di allora colori come quelli; non erano esistiti fino a quando noi avevamo portato su questo mondo i nostri riflettori… le nostre lampade fatali.
«Viticci, stami, che oscillavano debolmente… Mi sono avvicinato al muro vivente disposto tutto intorno a me, così da poter vedere che cosa stesse accadendo esattamente. Né allora, né in alcun altro momento la creatura mi aveva minimamente impaurito. Ero certo che non fosse malevola… se pure era cosciente.
«V’erano decine e decine di grandi fiori, in vari momenti del processo con il quale i fiori sbocciano. A questo punto mi hanno ricordato farfalle che stessero appena emergendo dalla crisalide con le ali afflosciate e ancora deboli; mi stavo avvicinando sempre e sempre più alla verità.
«Ma i fiori stavano gelando… morivano con la stessa rapidità con la quale andavano formandosi. Poi, uno dopo l’altro hanno cominciato a staccarsi e a cadere; guizzavano qua e là, per qualche momento, come pesci tolti dall’acqua… e infine mi sono reso esattamente conto di quello che erano… si trattava di pinne, o del loro equivalente. Erano la fase larvale, in grado di nuotare liberamente, della creatura. Probabilmente essa trascorre gran parte della sua esistenza radicata sul fondo del mare, poi manda la sua mobile progenie in cerca di nuovo territorio. Proprio come i coralli degli oceani terrestri.
«Mi sono inginocchiato per osservare più da vicino una delle piccole creature. Gli splendidi colori si stavano sbiadendo, adesso, e si tramutavano in un marrone opaco. Alcuni petali si erano staccati, divenendo fragili frammenti di ghiaccio. Ma la creatura continuava a muoversi debolmente e, quando mi avvicinavo, cercava di sottrarsi. Mi domandavo come potesse sentire la mia presenza. Poi mi sono accorto che tutti gli stami — cosi li avevo denominati — avevano puntini di un vivido azzurro alla sommità. Sembravano minuscole stelle di zaffiro — o gli occhi azzurri su un pettine di mare — sensibili alla luce, ma incapaci di formare vere immagini. Mentre li osservavo, il luminoso azzurro è scomparso, gli zaffiri si sono tramutati in pietre opache…
«Dottor Floyd, non mi rimane più molto tempo. Ma ho quasi terminato.
«Mi sono reso conto, allora, di quello che dovevo fare. Il cavo di quella lampada da mille watt arrivava sin quasi alla superficie del ghiaccio. Gli ho dato alcuni strattoni e la luce si è spenta con una pioggia di scintille.
«Mi sono domandato se non fosse troppo tardi. Per qualche minuto, infatti, non è accaduto nulla. Mi sono avvicinato allora al muro di rami intricati intorno a me e gli ho sferrato calci.
«Adagio, la creatura ha cominciato a districarsi e a indietreggiare verso il canale. V’era luce in abbondanza… potevo vedere perfettamente ogni cosa. Ganimede e Callisto splendevano nel cielo… Giove era una falce enorme e sottile… e sul lato della notte, sfavillavano luci aurorali all’estremità del flusso magnetico tra Giove e Io. Potevo fare a meno di servirmi del piccolo riflettore montato sul casco della tuta.