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15. LA FUGA DAL GIGANTE

Quando Floyd giunse sul ponte di osservazione volle essere discreto e tardò di qualche minuto dopo Zenia — Giove sembrava già lontano. Ma questa doveva essere un’illusione basata sulla sua conoscenza dei fatti, anziché la prova fornitagli dagli occhi. Erano appena emersi, infatti, dall’atmosfera gioviana e il pianeta continuava a colmare una metà del cielo.

E adesso — come previsto — si trovavano ad essere suoi prigionieri. Durante l’ultima ora incandescente si erano di proposito liberati della velocità in eccesso che li avrebbe condotti fuori dal sistema solare e tra le stelle. Adesso stavano percorrendo una ellisse — una classica orbita Ohmann — che li avrebbe portati avanti e indietro tra Giove e l’orbita di Io, trecentocinquantamila chilometri più in alto. Se non avessero riacceso i propulsori — o non avessero potuto riaccenderli — la Leonov avrebbe continuato a oscillare tra questi limiti, completando una rivoluzione ogni diciannove ore. Sarebbe divenuta la più vicina delle lune gioviane — anche se non per molto tempo. Ogni volta, sfiorando l’atmosfera del pianeta, avrebbe perduto quota fino a scaraventarsi, lungo una spirale, verso la distruzione.

A Floyd non era mai realmente piaciuta la vodka, ma si unì agli altri, senza riserve di sorta, brindando trionfalmente ai progettisti dell’astronave, e ringraziando inoltre Sir Isacco Newton. Poi Tanya rimise con decisione la bottiglia nell’apposito armadio; rimanevano infatti ancora moltissime cose da fare.

Sebbene se lo fossero aspettato tutti, ognuno di loro trasalì udendo l’improvviso scoppio soffocato delle cariche esplosive, e il sussulto della separazione. Pochi secondi dopo, un grande disco, ancora incandescente, apparve galleggiando alla vista, mentre ruotava adagio su se stesso e si allontanava dall’astronave.

«Guardate!» gridò Max. «Un disco volante! Qualcuno ha sottomano una macchina fotografica?»

Vi fu una chiara nota di isterico sollievo nella risata che seguì a queste parole. Venne interrotta da una frase di Tanya, pronunciata in tono più serio.

«Addio, fedele scudo antitermico! Hai funzionato in modo meraviglioso!»

«Ma quale sperpero!» commentò Sascia. «Ne rimanevano almeno un paio di tonnellate. Pensate a tutto il carico in più che avremmo potuto trasportare!»

«Se questa è valida e prudenziale ingegneria russa» ribatté Floyd «allora l’approvo. Sono di gran lunga preferibili alcune tonnellate di troppo ad un solo milligrammo in difetto.»

Tutti approvarono questi nobili sentimenti mentre lo scudo espulso si raffreddava, divenendo dapprima giallo, poi rosso e infine nero come lo spazio circostante. Scomparve alla vista quando distava appena pochi chilometri, anche se, di quando in quando, l’improvviso riapparire di una stella eclissata ne rivelava la sua presenza.

«Controllo preliminare dell’orbita completato» disse Vasili. «Ci troviamo, per dieci metri al secondo, fuori dal vettore giusto. Mica male per un primo tentativo.»

La notizia causò un sommesso sospiro di sollievo e, pochi minuti dopo, Vasili fece un altro annuncio.

«Cambiamo posizione per correzione traiettoria; delta di sei metri al secondo. Spinta di venti secondi tra un minuto.»

Si trovavano ancora così vicini a Giove da rendere impossibile credere che l’astronave stesse orbitando intorno al pianeta; sembrava si trovassero su un aereo in volo ad alta quota, appena emerso da un mare di nubi. Non si aveva alcuna sensazione delle proporzioni; era facile immaginare che stessero allontanandosi rapidamente da qualche tramonto terrestre, tanto erano familiari i rossi, i rosa e i cremisi scorrenti sotto di loro.

Ma anche questa era un’illusione; nulla, lì, poteva avere una qualsiasi analogia con la Terra. Quei colori erano intrinseci e non presi a prestito dal sole al tramonto. Gli stessi gas dell’atmosfera gioviana erano assolutamente alieni — metano e ammoniaca e una pozione da streghe di idrocarburi, rimestata entro un pentolone colmo di idrogeno ed elio. Non esisteva una sola traccia di ossigeno libero, il respiro della vita umana.

Le nubi marciavano dall’uno all’altro orizzonte disposte lungo file parallele, deformate da occasionali turbini e vortici. Qua e là getti di gas più luminosi interrompevano la disposizione geometrica, e Floyd scorse inoltre l’orlo scuro di un gorgo immenso, di un maelstrom di gas che affondava fino ad insondabili profondità gioviane.

Cominciò a cercare con lo sguardo la Grande Macchia Rossa, poi, rapidamente, rimproverò se stesso per aver avuto un’idea così stupida. Tutto lo sconfinato paesaggio di nubi che poteva vedere là sotto costituiva appena una minima percentuale dell’immensità della Macchia Rossa; sarebbe stato come pretendere di scorgere i contorni degli Stati Uniti da un minuscolo aereo in volo a bassa quota sopra il Kansas.

«Correzione completata. Ci troviamo adesso su un’orbita di intercettazione con Io. Arrivo previsto: tra ore otto e cinquantacinque minuti.»

Meno di nove ore per salire da Giove e incontrarci con qualsiasi cosa ci stia aspettando, pensò Floyd. Ci siamo sottratti al gigante… ma esso rappresentava un pericolo che conoscevamo e al quale potevamo prepararci. Quel che si trova adesso davanti a noi è assoluto mistero.

E, dopo essere riusciti a sopravvivere a tale sfida, dovremo tornare una volta di più verso Giove. Ci occorrerà la forza del pianeta per rimandarci sani e salvi sulla Terra.

16. LINEA PRIVATA

«… Pronto, Dimitri. Qui è Woody, sto per passare sul Tasto Due tra quindici secondi… Pronto, Dimitri… moltiplica i Tasti 3 e 4, estrai la radice cubica, aggiungi pi al quadrato e serviti dell’integrale più approssimato come Tasto Cinque. A meno che i vostri computer siano un milione di volte più veloci dei nostri — e ho la certezza assoluta che non lo sono — nessuno riuscirà a decifrare questo codice, dalla tua parte o dalla mia. Potrà darsi però che tu debba dare qualche spiegazione; in ogni modo sei abile in queste cose.»

«A proposito, le mie fonti, di norma eccellenti, mi hanno informato dell’insuccesso dell’ultimo tentativo per persuadere il vecchio Andrei a rassegnare le dimissioni; ne desumo che la vostra delegazione non ha avuto più fortuna delle altre e che continuate a trovarvi sulla sella lui come Presidente. Mi sto facendo venire le convulsioni a furia di ridere; gli sta bene all’Accademia. So che ha più di novant’anni… e che sta diventando, be’, un po’’ cocciuto. Ma da me non otterrai alcun aiuto, anche se sono il massimo esperto del mondo — anzi del sistema solare — per quanto concerne l’eliminazione indolore degli scienziati anziani.

«Lo crederesti che continuo ad essere lievemente brillo? Abbiamo ritenuto di meritare un piccolo festeggiamento dopo essere riusciti con successo nell’appon… nell’appan… maledizione, nell’appuntamento con la Discovery. A proposito, abbiamo due nuovi membri dell’equipaggio cui dare il benvenuto a bordo. Chandra non crede nell’alcool — rende troppo umani — ma Walter Curnow può senz’altro fare anche la sua parte. Soltanto Tanya è rimasta assolutamente padrona di sé, proprio come ci si poteva aspettare.

«I miei colleghi americani mi sto esprimendo come un uomo politico, che Dio mi aiuti sono emersi dall’ibernazione senza alcuna difficoltà, ed entrambi non vedono l’ora di mettersi al lavoro. Dovremo tutti agire rapidamente; il tempo scorre veloce, non solo, ma la Discovery sembra trovarsi in un pessimo stato. Abbiamo stentato a credere ai nostri occhi quando abbiamo veduto il suo immacolato scafo bianco di un color giallo malaticcio.

«La causa di questo è Io, naturalmente. L’astronave è discesa a spirale fino a tremila chilometri di distanza dalla Luna e, ogni pochi giorni, uno dei vulcani scaraventa nello spazio alcuni megatoni di zolfo. Anche se tu hai veduto le riprese cinematografiche, non puoi realmente immaginare che cosa significhi restare sospesi sopra quell’inferno; sarò ben contento quando potremo allontanarci, anche se ci dirigeremo verso qualcosa di assai più misterioso… e forse di gran lunga più pericoloso.