II piccolo compressore d’aria che Bobby aveva trovato tra i rottami nel garage, stava ora scoppiettando con regolarità, dopo che avevano stentato ad avviarlo. Ogni pochi secondi tossicchiava ed emetteva una nube di fumo azzurrognolo, ma non accennava minimamente a volersi fermare. «E anche se si fermasse» disse Bobby «che importerebbe? Se le ragazze del Teatro Subacqueo possono riemergere da cinquanta metri di profondità senza le manichette dell’aria, possiamo fare altrettanto anche noi. Non c’è alcun pericolo.»
Se è così, pensò Dave fuggevolmente, perché non abbiamo detto a Ma’ quello che stiamo facendo, e perché abbiamo aspettato che Pa’ fosse tornato al Cape per il prossimo lancio della navetta? Tuttavia non provò veri rimorsi: Bobby sapeva sempre il fatto suo. Doveva essere meraviglioso avere diciassette anni e saperla lunga su tutto. Anche se desiderava che suo fratello non trascorresse tanto tempo con quella stupida ragazzina, Betty Schultz. Sì, era molto carina, d’accordo… ma, accidenti, si trattava pur sempre di una femmina! Soltanto con le più grandi difficoltà erano riusciti a liberarsi di lei, quel mattino.
Dave era abituato ad essere una cavia; i fratelli minori servivano proprio a questo. Si mise la maschera, infilò i piedi nelle pinne e scivolò nell’acqua cristallina.
Bobby gli porse la manichetta dell’aria con il vecchio boccaglio da sub che vi avevano inserito. Dave trasse un respiro e fece una smorfia.
«Ha un sapore orribile.»
«Ti ci abituerai. Ora immergiti… non più in giù di quella sporgenza rocciosa. Quando sarai là comincerò a regolare la valvola della pressione per non sciupare troppa aria. Risali quando darò uno strattone alla manichetta.»
Dave si immerse adagio sotto la superficie e venne a trovarsi nel paese delle meraviglie. Era un mondo placido, monocromo, molto diverso dalle scogliere coralline dei Keys. Non vi si trovava alcuno dei colori sfarzosi dell’ambiente marino, ove la vita — animale e vegetale — si addobbava con tutte le sfumature dell’arcobaleno. Lì si vedevano soltanto delicate varianti di azzurro e di verde, e pesci che sembravano pesci, e non farfalle.
Discese in profondità, agitando adagio le pinne, trascinandosi dietro la manichetta, soffermandosi per assorbirne la sequela di bolle d’aria ogni qual volta ne sentiva la necessità. La sensazione di essere libero era talmente meravigliosa da fargli quasi dimenticare l’orribile sapore nella bocca. Quando raggiunse la sporgenza — che in realtà era un vetusto tronco d’albero saturo d’acqua e talmente rivestito di alghe da essere irriconoscibile — si mise a sedere e si guardò attorno.
Poteva vedere, al di là della sorgente, i verdi versanti al lato opposto del cratere allagato, lontani almeno cento metri. Non v’erano molti pesci, lì attorno, ma un piccolo banco di pesciolini gli guizzò accanto baluginante, simile a una doccia di monete d’argento nella luce del sole che filtrava dall’alto.
V’era inoltre un vecchio amico appostato, come sempre, nel varco ove l’acqua della sorgente iniziava il suo viaggio verso il mare. Un piccolo alligatore. («Ma abbastanza grande» aveva detto Bobby una volta, allegramente. «È più grosso di me.») Rimaneva sospeso verticalmente, senza alcun punto d’appoggio visibile, con appena la punta del muso fuori dalla superficie dell’acqua. Non lo avevano mai infastidito, né l’animale aveva mai infastidito loro.
Alla manichetta dell’aria venne dato uno strattone impaziente. Dave fu lieto di risalire; non si era reso conto di quanto l’acqua potesse essere gelida a quella profondità fino ad allora irraggiungibile — e inoltre si sentiva decisamente male. Ma la calda luce del sole fece rivivere la sua allegria.
«Nessuna difficoltà» disse Bobby, espansivo. «Continua soltanto a svitare la valvola, in modo che l’indicatore della pressione non scenda sotto la linea rossa.»
«Fino a quale profondità ti immergerai?»
«Fino al fondo, se me la sentirò.»
Dave non prese sul serio queste parole; conoscevano entrambi il pericolo dell’embolia. E in ogni modo la vecchia manichetta da giardino era lunga appena trenta metri. Trenta metri sarebbero stati anche troppi per quel primo esperimento.
Come tante altre volte in passato, stette a guardare con invidiosa ammirazione mentre il diletto fratello maggiore accettava una nuova sfida. Nuotando senza alcuno sforzo, come i pesci che lo circondavano, Bobby scivolò giù in quell’azzurro e misterioso universo. Si voltò, a un certo momento, e additò energicamente la manichetta, facendo capire con inequivocabile chiarezza che gli occorreva un maggior flusso d’aria.
Nonostante il feroce mal di capo che all’improvviso aveva cominciato a tormentarlo, Dave ricordò il proprio dovere. Corse accanto al vetusto compressore e aprì la valvola dell’aria fino al micidiale massimo — cinquanta parti su un milione di ossido di carbonio.
L’ultima visione che ebbe di Bobby fu quella sagoma variegata dal sole che, fiduciosamente, continuava a immergersi, passando per sempre al di là della sua portata. Il corpo cereo esposto nella sala mortuaria dell’impresario di pompe funebri era un assoluto estraneo e non aveva nulla a che vedere con Robot Bowman.
33. BETTY
Perché era venuto lì, tornando come un fantasma inquieto sulla scena dell’antico strazio? Non ne aveva idea; in effetti, non era stato consapevole della propria destinazione finché l’occhio rotondo della Sorgente di Cristallo non lo aveva contemplato dalla foresta sottostante.
Era padrone del mondo, eppure si sentì paralizzato da una sensazione di sofferenza devastatrice che non aveva più provato per anni. Il tempo era riuscito a cicatrizzare la ferita, come fa sempre; eppure gli sembrava di aver pianto appena il giorno prima accanto allo specchio di smeraldo, scorgendovi soltanto le immagini riflesse dei cipressi circostanti, con il loro fardello di muschio. Che cosa gli stava succedendo?
E ora, sempre senza volerlo deliberatamente, ma come se fosse trascinato da una dolce corrente, stava andando alla deriva verso la capitale dello Stato. Cercava qualcosa; ma non avrebbe saputo che cosa fino a quando non fosse riuscito a trovarlo.
Nessuno, né alcuno strumento, si accorse del suo passaggio. Non stava più irradiando con sperpero, ma aveva quasi imparato a padroneggiare il controllo dell’energia, così come un tempo aveva padroneggiato membra perdute, anche se non dimenticate. Affondò come nebbia nei locali corazzati sotterranei a prova di terremoto, finché venne a trovarsi tra miliardi di memorie accumulate e tra reti abbacinanti e baluginanti di pensieri elettronici.
Questo compito era più complicato dell’innescare una rozza bomba nucleare, e gli occorse un po’’ più di tempo. Prima di aver trovato l’informazione che cercava, commise un errore banale, ma non si diede la pena di correggerlo. Un mese dopo, nessuno riuscì mai a capire perché trecento contribuenti della Florida, i cui cognomi cominciavano tutti per «F», avessero ricevuto assegni per un dollaro esatto. Chiarire le cose venne a costare molto di più della somma erroneamente restituita e, in ultimo, gli sconcertati specialisti di computer attribuirono la colpa a una pioggia di raggi cosmici. Spiegazione che, in complesso, non si scostava di molto dalla verità.
In pochi millisecondi egli era passato da Tallahassee al numero 634 di South Magnolia Street, a Tampa. Era sempre lo stesso recapito; avrebbe potuto fare a meno di perdere tempo per cercarlo. Ma, d’altro canto, non aveva mai avuto l’intenzione di cercarlo fino al momento stesso in cui si era decise a tale passo.
Dopo tre parti e due aborti, Betty Fernandez (née Schultz) continuava ad essere una splendida donna. In quel momento era inoltre una donna molto pensierosa; stava seguendo un programma televisivo che evocava ricordi, tristi e piacevoli.