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Secondo il parere personale di Floyd, esistevano almeno cinquanta probabilità contro una che la Discovery riuscisse a tornare sulla Terra. Ma poi Chandra lo avvicinò per fargli una proposta straordinaria.

«Dottor Floyd, posso scambiare qualche parola con lei?»

Dopo tutte quelle settimane di esperienze condivise, Chandra continuava ad essere formale come sempre — non soltanto con Floyd, ma con tutti i membri dell’equipaggio. Nemmeno alla baby dell’astronave, Zenia, si rivolgeva mai senza servirsi del prefisso «signora».

«Ma certo, Chandra. Di che si tratta?»

«Ho virtualmente completato la programmazione per le sei più probabili variazioni sull’orbita Hohmann di ritorno. Cinque di esse sono state provate in una situazione simulata, senza alcun intoppo.»

«Magnifico. Sono certo che nessun altro sulla Terra — anzi nell’intero sistema solare vi sarebbe riuscito.»

«Grazie. Tuttavia, lei sa bene quanto me che è impossibile programmare tutte le eventualità. Hal potrebbe funzionare… anzi, no, funzionare senz’altro… perfettamente, e sarà in grado di far fronte ad ogni emergenza ragionevole. Ma incidenti banali di ogni genere — piccoli guasti degli impianti che potrebbero essere riparati con un cacciavite, fili spezzati, interruttori bloccati — potrebbero lasciarlo impotente e far fallire l’intera missione.»

«È verissimo, naturalmente, e la cosa ha continuato a preoccuparmi, ma che altro possiamo fare al riguardo?»

«In realtà è semplicissimo. Vorrei restare sulla Discovery.»

L’immediata reazione di Floyd consistette nel credere che Chandra fosse impazzito. Ripensandoci, tuttavia, forse egli era soltanto pazzo a metà. Effettivamente, sarebbe potuto essere decisivo, per evitare l’insuccesso, avere a bordo un essere umano — durante il lungo viaggio di ritorno alla Terra della Discovery. Ma le obiezioni erano assolutamente travolgenti.

«È un’idea interessante» rispose Floyd, con estrema cautela, «e apprezzo senz’altro il suo entusiasmo. Ma ha pensato a tutte le difficoltà?» Questa era stata una cosa stupida a dirsi. Chandra doveva avere già archiviato tutte le risposte, in modo da poterle pescare immediatamente.

«Rimarrebbe solo per più di tre anni! Se dovesse capitarle qualche incidente, o se dovesse sentirsi male?»

«Questo è un rischio che sono disposto a correre.»

«E il problema dei viveri, dell’acqua? La Leonov non ne dispone a sufficienza per potersene privare di una parte.»

«Ho controllato l’impianto di riciclaggio della Discovery; può essere reso nuovamente operativo senza troppa difficoltà. Del resto, noi indiani riusciamo a tirare avanti con pochissimo.»

Era inconsueto da parte di Chandra riferirsi alla sua origine, o anche soltanto fare asserzioni di carattere personale; questa «confessione» era il solo esempio che Floyd riuscisse a ricordare. Ma non dubitò affatto di quanto diceva lo scienziato; Curnow aveva fatto osservare, una volta, come il dottor Chandra avesse quel genere di fisico cui si poteva pervenire soltanto dopo secoli di inedia. Anche se la frase sembrava una delle scortesi prese in giro dell’ingegnere, era stata pronunciata senza alcuna malizia anzi con simpatia; sebbene non, naturalmente, alla presenza di Chandra.

«Bene, abbiamo ancora parecchie settimane di tempo per decidere. Ci penserò su e ne parlerò con Washington.»

«Grazie. Le spiace se comincio a fare i preparativi?»

«Ehm… no, affatto, purché non ostacolino i piani attuali. Rammenti… la decisione ultima dovrà essere presa dal Controllo Missione.»

Ed io so esattamente che cosa dirà il Controllo Missione. Era una pazzia, infatti, aspettarsi che un uomo potesse sopravvivere per tre anni solo nello spazio.

Ma, naturalmente, Chandra era sempre stato solo.

36. FUOCO NEL PROFONDO

La Terra era già molto lontana, e le spaventose meraviglie del sistema gioviano andavano ingrandendosi rapidamente dinanzi a lui quando ebbe la rivelazione.

Come poteva essere stato così cieco, così stupido? Si sarebbe detto che avesse camminato nel sonno; ora stava cominciando a destarsi.

Chi siete? gridò. Cosa volete? Perché mi avete fatto questo?

Non vi fu alcuna risposta, eppure aveva la certezza di essere stato udito. Intuiva una… presenza, così come può intuirla un uomo, sebbene abbia gli occhi strettamente chiusi, e si trovi in una stanza e non in uno spazio vuoto e aperto. Intorno a lui v’era la fioca eco di una vasta mentalità, di una volontà implacabile.

Gridò ancora nel silenzio risonante, e di nuovo non vi fu alcuna risposta diretta — ma soltanto quella sensazione di una vigile compagnia. Benissimo, avrebbe trovato le risposte per proprio conto.

Alcune di esse erano ovvie: chiunque o qualsiasi cosa essi fossero, erano interessati al genere umano. Avevano attinto alle sue memorie, per accumularle ai loro imperscrutabili fini. E ora facevano la stessa cosa con i suoi sentimenti più intimi, a volte con la sua stessa collaborazione, a volte senza.

Non che se ne risentisse; anzi, il processo stesso attraverso il quale era passato rendeva impossibili queste reazioni infantili. Era al di là dell’amore e dell’odio, del desiderio e della paura… ma non aveva dimenticato questi stati d’animo e riusciva ancora a capire come potessero governare il mondo del quale un tempo aveva fatto parte. Era forse questo lo scopo? E in tal caso, quale poteva essere la meta ultima?

Era diventato il giocatore in una partita degli dèi, e doveva imparare le regole man mano che il gioco andava svolgendosi.

* * *

Le rocce frastagliate delle quattro minuscole lune esterne, Sinope, Pasiphae, Carme e Ananke, baluginarono fuggevolmente nel campo della sua consapevolezza; poi vennero Elara, Lysithea, Himalia e Leda, situate a una metà della distanza delle prime da Giove. Egli le ignorò tutte; aveva adesso davanti a sé la faccia butterata di Callisto.

Una volta, due volte orbitò intorno al globo martoriato, più grande della Luna della Terra, mentre sensi dei quali era stato ignaro ne sondavano gli strati esterni di ghiaccio e di polvere. La sua curiosità venne soddisfatta ben presto: quel mondo era un fossile congelato e ancora portava i segni di collisioni che, epoche prima, dovevano essere arrivate quasi al punto di frantumarlo. Uno degli emisferi non era altro che un gigantesco occhio di bue, una serie di anelli concentrici, là ove la roccia compatta si era un tempo deformata formando ondulazioni alte un chilometro sotto l’urto di qualche antica mazzata giunta dallo spazio.

Alcuni secondi dopo, stava ruotando intorno a Ganimede. Era questo un mondò di gran lunga più complesso e interessante; sebbene così vicino a Callisto, del quale aveva all’incirca le stesse dimensioni, presentava un aspetto completamente diverso. V’erano, questo sì, numerosi crateri, eppure quasi tutti sembravano, proprio letteralmente, essere stati riaffondati nel suolo. Ma la caratteristica più straordinaria del paesaggio ganimediano consisteva nella presenza di striature tortuose, formate da decine di solchi paralleli, distanziati l’uno dall’altro di alcuni chilometri. Quel suolo così inciso sembrava essere dovuto alle fatiche di eserciti di ebbri aratori che avessero zigzagato avanti e indietro sulla superficie del satellite.

Con poche rivoluzioni, egli vide, di Ganimede, più di quanto avessero veduto tutte le sonde spaziali lanciate dalla Terra e accantonò nella propria memoria queste conoscenze per utilizzarle in futuro. Un giorno sarebbero state importanti; era sicuro di questo, sebbene non sapesse perché — così come non capiva l’impulso che lo stava ora conducendo con tanta determinazione da un mondo all’altro.

E che, a questo punto, lo condusse fino ad Europa. Pur continuando ad essere in vasta misura uno spettatore passivo, divenne consapevole di un crescente interesse, di un accentrarsi dell’attenzione… di un concentrarsi della volontà. Sebbene fosse un pupazzo nelle mani di un padrone invisibile e affatto comunicativo, alcuni pensieri dell’entità che lo dominava filtravano anche nella sua mente.