Eppure anche lo spazio tra le oasi non era del tutto privo di vita; esistevano creature più resistenti che ne avevano sfidato i rigori. Spesso, a nuotare più in alto si trovavano quegli esseri che su Europa corrispondevano ai pesci — torpedini idrodinamiche, spinte da code verticali, guidate da pinne disposte lungo il corpo. La somiglianza ai più riusciti abitatori degli oceani terrestri era inevitabile; esistendo gli stessi problemi di ingegneria, l’evoluzione non poteva produrre che soluzioni molto analoghe. Come testimoniano il delfino e lo squalo superficialmente quasi identici, eppure rami molto lontani dall’albero della vita.
Esisteva tuttavia una differenza assai manifesta tra i pesci dei mari di Europa e quelli degli oceani terrestri; i primi non possedevano branchie, in quanto non esisteva quasi traccia di ossigeno estraibile dalle acque nelle quali nuotavano. Come le creature intorno agli sfiatatoi geotermici della Terra, il loro metabolismo si basava sui composti dello zolfo, presenti in abbondanza in quell’ambiente quasi vulcanico.
E pochissimi di essi avevano occhi. A parte il bagliore baluginante delle effusioni di lava e gli occasionali lampi di bioluminescenza da parte di creature in cerca di un compagno per accoppiarsi, o di cacciatori in cerca di preda, quel mondo era privo di luce.
Ed era inoltre un mondo condannato. Non soltanto le sue fonti di energia, oltre ad essere sporadiche, si spostavano di continuo, ma, per giunta, le forze marcali che le rendevano possibili andavano indebolendosi costantemente. Anche se in essi si fosse sviluppata un’autentica intelligenza, gli esseri di Europa sarebbero periti a causa del congelamento ultimo del loro mondo.
Erano intrappolati tra il fuoco e il ghiaccio.
37. ESTRANIAMENTO
«… sono davvero spiacente, vecchio amico mio, di doverti dare notizie così spiacevoli; ma me lo ha chiesto Caroline e tu sai quello che provo nei riguardi di entrambi.
«Inoltre non credo che possano sorprenderti molto. Alcune cose che tu mi dicesti durante l’anno scorso vi alludevano… e per giunta tu sai quanto ella fosse amareggiata quando lasciasti la Terra.
«No, non credo che vi sia qualcun altro. Se vi fosse qualcuno ella me lo avrebbe detto… Ma, prima o poi… be’, è una donna giovane e attraente.
«Chris sta bene, e, naturalmente, ignora quello che accade. Per lo meno non ne soffrirà. È troppo piccolo per capire, e i fanciulli sono incredibilmente… elastici?… un momento solo, dovevo consultare il dizionario… ah, si adeguano alle circostanze.
«E ora passiamo ad argomenti che potranno sembrarti meno importanti. Tutti stanno ancora cercando di spiegare la detonazione della bomba come un incidente, ma, inutile dirlo, nessuno ci crede. Siccome non è accaduto niente altro, l’isterismo generale si è placato; rimane quella che uno dei vostri commentatori ha definito ‘la sindrome del guardarsi alle spalle.
«E qualcuno ha scovato una poesia di cent’anni fa che compendia con tanta esattezza la situazione che tutti la stanno citando. È ambientata negli ultimi giorni dell’Impero Romano, alle porte di una città i cui abitanti stanno aspettando l’arrivo degli invasori. L’imperatore e i dignitari sono tutti schierati con le loro toghe più lussuose, pronti a pronunciare i discorsi di benvenuto. Il senato non si è riunito perché, qualsiasi legge potesse approvare, verrebbe ignorata dai nuovi dominatori.
«Poi, all’improvviso, giunge dalla frontiera una notizia spaventosa. Non vi sono invasori di sorta. Il comitato di accoglienza si disperde, in preda alla confusione; tutti se ne tornano a casa borbottando delusi: ‘E ora che cosa sarà di noi? Quegli invasori erano una sorta di soluzione.’
«Basta appena una piccola modifica per aggiornare la poesia. È intitolata In attesa dei barbari… e questa volta i barbari siamo noi. Non sappiamo che cosa stiamo aspettando, ma senza dubbio non è arrivato.
«Oh, un’altra notizia. Hai saputo che la madre del comandante Bowman è morta appena pochi giorni dopo l’arrivo della ‘cosà sulla Terra? Sembra una coincidenza davvero strana, ma il personale della clinica dice che non si era mai minimamente interessata alle notizie e pertanto la cosa non può avere influito.»
Floyd spense il registratore. Dimitri aveva ragione: non era stato colto di sorpresa. Ma questo non faceva la benché minima differenza; la notizia lo addolorava ugualmente.
Del resto, in quale altro modo avrebbe potuto regolarsi? Se si fosse rifiutato di partecipare alla missione — come Caroline aveva così ovviamente sperato — si sarebbe sentito in colpa e inappagato per tutto Il resto della sua esistenza. E questo avrebbe avvelenato il loro matrimonio; meglio quella netta separazione, mentre la lontananza attenuava la sofferenza del distacco. (Ma era davvero così? Sotto certi aspetti, la lontananza peggiorava la situazione.) Più importanti erano il dovere e la sensazione di far parte di un gruppo dedito ad un unico scopo.
Sicché Jessie Bowman era morta. Anche questo gli causava rimorso. Aveva contribuito a sottrarle l’unico figlio rimastole e questo doveva aver affrettato il suo tracollo mentale. Inevitabilmente, Floyd ricordò una discussione iniziata da Walter Curnow, proprio a quel proposito.
«Perché scegliesti proprio Dave Bowman? Mi dava sempre l’impressione di essere un uomo gelido… non ostile, a dire il vero; ma, ogni qual volta entrava lui in una stanza, la temperatura sembrava abbassarsi di dieci gradi.»
«Fu proprio questa una delle ragioni per le quali lo scegliemmo. Non aveva stretti legami familiari, a parte la madre, che non andava a trovare molto spesso. Era pertanto il tipo di uomo che potevamo assegnare all’impresa di un viaggio lungo e dall’esito incerto.»
«Come mai era diventato così?»
«Ritengo che questo potrebbero dirtelo gli psicologi. Lessi il suo rapporto personale, naturalmente, ma ne è passato del tempo. Aveva un fratello morto affogato… e il padre di lui morì a sua volta non molto tempo dopo, in seguito a un incidente su una delle prime navette. Questo non dovrei rivelartelo, ma senza dubbio ormai la cosa non riveste più alcuna importanza.»
No, non rivestiva importanza; ma era interessante. Floyd, adesso, invidiava quasi David Bowman, giunto fino a quello stesso punto dello spazio come un uomo libero, esente da legami emotivi con la Terra.
Ma no… stava ingannando se stesso. Anche mentre la sofferenza gli serrava il cuore come una morsa, quel che provava nei riguardi di David Bowman non era invidia, ma compassione.
38. PAESAGGIO DI SCHIUMA
L’ultima bestia che vide, prima di allontanarsi dagli oceani di Europa, era di gran lunga la più grande. Somigliava molto a un albero banian dei tropici terrestri, le cui decine di tronchi consentono a un singolo esemplare di dar luogo a una piccola foresta estendentesi a volte per centinaia di metri quadrati. Questa creatura, tuttavia, stava camminando, a quanto pareva lungo una pista tra le oasi. Se anche non apparteneva alla stessa specie dell’animale che aveva distrutto la Tsien, senza dubbio le era strettamente imparentato.
Ormai egli aveva saputo tutto quel che doveva sapere — o piuttosto tutto quello che «loro» dovevano sapere. Rimaneva ancora una luna da visitare; pochi secondi dopo, l’ardente paesaggio di Io si trovava sotto di lui.
Era come aveva previsto. Energia e cibo esistevano laggiù in abbondanza, ma i tempi non erano ancora maturi per la loro unione. Intorno ad alcuni dei laghi di zolfo meno caldi, i primi passi erano già stati percorsi sul cammino della vita, ma, prima che venisse a determinarsi una qualsiasi misura di organizzazione, tutti quei tentativi coraggiosamente prematuri venivano rigettati nel crogiuolo. Soltanto dopo che le forze marcali dalle quali venivano alimentate le fornaci di Io avessero perduto la loro energia, di lì a milioni di anni, vi sarebbe potuto essere qualcosa di interessante per i biologi su quel mondo rovente e sterile.