Più pesante di qualsiasi roccia della Terra, e, ciò nonostante, sempre liquido, il guscio successivo era formato da composti di silicone e carbonio di una complessità tale da mettere a dura prova per un’intera esistenza i chimici terrestri. Uno strato si susseguì all’altro per migliaia di chilometri, ma, mentre la temperatura saliva fino alle centinaia e poi fino alle migliaia di gradi, la composizione dei vari strati diveniva sempre e sempre più semplice. A metà strada dal nocciolo, la temperatura cominciò ad essere eccessiva per la chimica; tutti i composti venivano separati violentemente, e soltanto gli elementi fondamentali potevano sussistere.
Seguì poi un profondo mare di idrogeno — ma non di idrogeno come quello che fosse mai esistito per più di una frazione di secondo in qualsiasi laboratorio della Terra. Questo idrogeno era assoggettato ad una pressione talmente enorme da essersi tramutato in metallo.
Egli aveva quasi raggiunto il centro del pianeta, ma Giove gli riservava un’ultima sorpresa. Lo spesso involucro di idrogeno metallico, eppur sempre fluido, terminò bruscamente. In ultimo vi fu una superficie solida, sessantamila chilometri più in basso.
Per ere, il carbonio prodotto dalle reazioni chimiche molto più in alto aveva continuato a scendere verso il centro del pianeta. Là si era raccolto, cristallizzandosi a una pressione di milioni di atmosfere. E là, in seguito ad uno dei supremi lazzi della natura, era diventato qualcosa di molto prezioso per l’umanità.
Il nucleo di Giove, in eterno al di là della portata umana, era un diamante grande quanto la Terra.
39. NELLA RIMESSA DELLE CAPSULE
«Walter… Heywood mi preoccupa.»
«Lo so, Tanya… ma che cosa possiamo fare?»
Curnow non aveva mai veduto la comandante Orlova in uno stato d’animo così indeciso; in preda a quel turbamento, sembrava molto più attraente, nonostante il suo pregiudizio contro le donne piccole di statura.
«Gli voglio molto bene, ma non per questo mi cruccio. La sua… presumo che ‘tetraggine’ sia la parola più indicata… sta rendendo tutti infelici. L’atmosfera sulla Leonov è stata fino ad ora di serenità, ed io voglio che rimanga immutata.»
«Perché non gli parla? Heywood la rispetta e sono certo che farà del suo meglio per riprendersi.»
«È proprio quello che intendo fare. E se risultasse inutile…»
«Ebbene?»
«Esiste una soluzione molto semplice. Che altro può fare Heywood nel corso di questo viaggio? Quando ripartiremo verso la Terra verrà comunque ibernato. Potremmo sempre… com’è che dite voi?… anticipare i tempi con lui.»
«Perdiana… lo stesso brutto tiro che mi giocò Katerina. Si adirerebbe, al risveglio.»
«Ma nel frattempo sarebbe anche tornato sano e salvo sulla Terra e avrebbe un’infinità di cose da fare. Sono certa che ci perdonerebbe.»
«Anche se io la sostenessi, a Washington farebbero il diavolo a quattro. E, a parte questo, supponga che accada qualcosa e che egli ci sia assolutamente necessario? Non esiste un periodocuscinetto di due settimane prima che si possa far rivivere una persona senza pericoli?»
«All’età di Heywood occorre almeno un mese. Si, saremmo… vincolati. Ma che cosa potrebbe accadere ormai, secondo lei? Heywood ha svolto l’incarico per il quale è stato mandato qui… a parte il compito di tenerci d’occhio. E io sono certa che anche lei sia stato ben preparato al riguardo, in qualche oscura periferia della Virginia o del Maryland.»
«Non confermo né smentisco. Ma, per essere sincero, sono la negazione di un agente segreto. Parlo troppo e odio lo spionaggio. Ho fatto del mio meglio per tutta la vita affinché non mi considerassero all’altezza. Ogni qual volta si profilava il pericolo di essere classificato tra i papabili nei ranghi degli agenti segreti, mi affrettavo a fare qualcosa di scandaloso. Anche se questo, al giorno d’oggi, sta diventando sempre più difficile.»
«Walter, lei è incorrut…»
«Incorreggibile?»
«Sì, era questo che volevo dire. Ma torniamo a Heywood, la prego. Le spiacerebbe parlargli prima lei?»
«Vuoi dire… fargli un predicozzo? Preferirei aiutare Katerina ad affondare l’ago. Le nostre psicologie sono troppo diverse. Egli mi giudica un pagliaccio fanfarone.»
«E lo è, non di rado. Ma si comporta così soltanto per nascondere i suoi veri sentimenti. In base alla teoria elaborata da alcuni di noi, nel suo intimo si nasconde una persona simpaticissima che si dibatte per uscire.»
Una volta tanto, Curnow rimase a corto di parole. Infine farfugliò: «Oh, d’accordo… farò del mio meglio. Ma non si aspetti miracoli; nella mia cartella personale risulta che sono al livello zero in quanto al tatto. Dove si sta nascondendo Heywood, in questo momento?»
«Nella rimessa delle capsule. Sostiene che sta lavorando al suo rapporto definitivo, ma io non gli credo. Vuole soltanto restare lontano da noi tutti, e quello è il luogo più tranquillo.»
Non era questo il vero motivo, sebbene fosse effettivamente importante. Diversamente dal tamburo ruotante, ove si stava svolgendo allora quasi tutta l’attività a bordo della Discovery, la rimessa delle capsule era un ambiente a gravità zero.
Sin dagli inizi dell’era spaziale gli uomini avevano scoperto l’euforia dell’assenza di peso e ricordato la libertà perduta allorché si erano allontanati dall’antico utero del mare. Fuori dalla gravità, parte di quella libertà poteva essere riconquistata; insieme alla perdita del peso si dileguavano molte preoccupazioni e molti crucci della Terra.
Heywood Floyd non aveva dimenticato la propria sofferenza, ma lì era più sopportabile. Quando riusciva a prospettarsi la situazione spassionatamente, lo stupiva la violenza della sua reazione a un evento non del tutto inaspettato. Era in gioco qualcosa di più della perdita dell’amore, anche se quest’ultima costituiva il peggio. Il colpo gli era stato inferto in un momento in cui egli si trovava ad essere particolarmente vulnerabile, vale a dire nel momento in cui provava un senso di delusione, addirittura di futilità. E sapeva esattamente perché. Aveva conseguito tutto quello che ci si aspettava egli conseguisse, grazie all’abilità e alla collaborazione dei suoi colleghi (li stava deludendo, lo sapeva, con il suo attuale egoismo). Se tutto fosse andato bene — la solita litania dell’era spaziale! — sarebbero tornati sulla Terra con un carico di conoscenze quale nessun’altra spedizione aveva mai potuto mettere insieme, e per giunta, alcuni anni dopo, anche la Discovery un tempo perduta sarebbe stata restituita ai suoi costruttori.
Ma non bastava. L’enigma intollerabile del Grande Fratello rimaneva là, ad appena pochi chilometri di distanza, schernendo tutte le aspirazioni e tutti i conseguimenti umani. Esattamente come il suo equivalente sulla Luna, un decennio prima, si era animato per un momento appena, ricadendo poi in una ostinata inerzia. Si trattava di una porta chiusa contro la quale avevano bussato invano. Soltanto Dave Bowman, a quanto pareva, era riuscito a trovarne la chiave.
Forse ciò spiegava l’attrazione che egli provava per questo locale silenzioso e talora persino misterioso. Di lì, da quella ormai vuota piattaforma di lancio, Bowman era partito per la sua ultima missione, attraverso il portello che conduceva nell’infinito.
Floyd trovava questa riflessione incoraggiante anziché sconfortante; senza dubbio essa contribuiva a distrarlo dai suoi problemi personali. La scomparsa gemella di Nina faceva parte della storia dell’esplorazione spaziale; si era spinta, stando alle parole del vecchio e scontato cliché che sempre destava un sorriso, ma anche il riconoscimento della sua fondamentale veridicità, «là ove nessun uomo aveva mai osato andare in passato…» Dove si trovava adesso la capsula? Lo avrebbe mai saputo, lui?
A volte sedeva per ore nell’angusta, ma non scomoda capsula rimasta sulla Discovery, sforzandosi di riordinare i pensieri, e talora dettando appunti; gli altri dell’equipaggio rispettavano la sua solitudine e ne capivano la ragione. Non entravano mai nella rimessa, né avevano alcuna necessità di recarvisi. Riattrezzarla era un compito riservato al futuro, e a qualche altro equipaggio.