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Una o due volte, mentre si sentiva realmente sconfortato, si era sorpreso a pensare: se ordinassi ad Hal di aprire i portelli della rimessa delle capsule e uscissi nello spazio come fece Dave Bowman? Mi aspetterebbe lo stesso miracolo cui assistette lui e che Vasili ha intravvisto poche settimane fa? Questo risolverebbe tutti i miei problemi…

Anche se non lo avesse dissuaso il pensiero di Chris, esisteva una ragione eccellente per escludere una mossa così suicida. La Nina era un veicolo molto complicato; egli non sarebbe stato in grado di pilotarlo più di quanto sapesse pilotare un caccia a reazione. Non aveva la stoffa dell’intrepido esploratore: questa particolare fantasticheria sarebbe rimasta non realizzata.

* * *

Di rado Walter Curnow si era accinto a compiere una missione con maggior riluttanza. Compassionava sinceramente Floyd, ma, al contempo, lo sconforto del collega lo spazientiva un poco. La sua vita emotiva era vasta, ma superficiale; non aveva mai messo tutte le uova nello stesso cestino. Più di una volta gli avevano detto che stava disperdendo le sue energie e, sebbene non si fosse mai pentito del proprio passato, stava cominciando a pensare che era tempo di sistemarsi.

Seguì la scorciatoia attraversando il centro di comando del tamburo ruotante e notò che lo strumento indicatore di Velocità Massima stava ancora lampeggiando stupidamente. Un aspetto importante dei suoi compiti consisteva nel decidere quando gli avvertimenti potevano essere ignorati, quando si poteva considerarli con calma… e quando invece occorreva interpretarli come autentiche emergenze. Se avesse prestato la stessa attenzione a tutte le invocazioni di aiuto dell’astronave, non sarebbe mai riuscito a concludere nulla.

Percorse lo stretto corridoio che conduceva alla rimessa delle capsule, sospingendosi con occasionali pressioni sui maniglioni della parete tubulare. L’indicatore della pressione diceva che v’era il vuoto al di là del portello a chiusura ermetica, ma lui la sapeva più lunga. Non esisteva alcun pericolo; non gli sarebbe stato possibile aprire il portello se l’indicatore avesse detto la verità.

La rimessa sembrava vuota, adesso che due dei tre baccelli erano scomparsi da tempo. Soltanto alcune lampade di emergenza rimanevano accese e, dalla parete opposta, una delle lenti di Hal, simili ad occhi di pesce, continuava a fissarlo. Curnow fece un gesto di saluto in quella direzione, ma non parlò. Per ordine di Chandra, tutti gli input audio continuavano ad essere disinseriti eccetto quello di cui si avvaleva soltanto lui.

Floyd sedeva entro la capsula, le spalle voltate al portello aperto, dettando alcuni appunti, e si girò adagio udendo l’avvicinarsi volutamente rumoroso di Curnow. Per un momento i due uomini si fissarono in silenzio, poi Curnow annunciò, con scherzosa pomposità: «Dottor Floyd, ti porto i saluti della nostra diletta comandante. Ella ritiene che sia gran tempo da parte tua rientrare nel mondo civilizzato.»

Floyd gli rivolse un pallido sorriso, poi fece una risatina.

«Ricambiale, te ne prego, i saluti. Mi spiace di essere stato… poco sociale. Vi vedrò tutti al prossimo Soviet delle sei.»

Curnow si rilassò; l’approccio da lui prescelto era stato efficace. In cuor suo, considerava Floyd un pallone gonfiato e, come tutti gli ingegneri, uomini pratici, provava un tollerante disprezzo nei confronti degli scienziati teorici e dei burocrati. Poiché Floyd si trovava su un alto gradino in entrambe le categorie, costituiva un bersaglio quasi irresistibile per il senso dell’umorismo, talora singolare, di Curnow. Ciò nonostante, i due uomini avevano finito con il rispettarsi, e persino con l’ammirarsi a vicenda.

Cambiando discorso con gratitudine, Curnow bussò con le nocche delle dita sul portello nuovo di zecca della capsula Nina, trovato tra le parti di ricambio e in netto contrasto con l’esterno malconcio del «baccello» spaziale.

«Mi domando quand’è che la faremo uscire di nuovo» disse. «E chi viaggerà su di essa questa volta. È stata presa qualche decisione?»

«No. Washington è diventata prudente. Mosca dice: corriamo il rischio. E Tanya vuole aspettare.»

«Tu come la pensi?»

«Sono d’accordo con Tanya. Non dovremmo infastidire Zagadka finché non saremo pronti a partire. Questo aumenterebbe, sia pur lievemente, le nostre probabilità di cavarcela, se qualcosa dovesse andare storto.»

Curnow parve cogitabondo e insolitamente esitante.

«Che cosa c’è?» domandò Floyd, intuendo il suo cambiamento d’umore.»

«Non andarlo a dire a nessuno, ma Max stava pensando a una piccola spedizione con un solo uomo.»

«Non posso credere che dicesse sul serio. Non oserebbe… Tanya lo metterebbe agli arresti.»

«È quello che gli ho detto io, più o meno.»

«Sono deluso: credevo che fosse un po’’ più maturo; in fin dei conti ha trentadue anni!»

«Trentuno. In ogni modo sono riuscito a dissuaderlo. Gli ho ricordato che questa è la realtà e non uno di quegli stupidi videodrammi nei quali l’eroe si allontana nello spazio senza avvertire i compagni, e fa la Grande Scoperta.»

Toccò ora a Floyd sentirsi un po’’ a disagio. In fin dei conti anche lui l’aveva pensata all’incirca allo stesso modo.

«Sei sicuro che non tenterà nulla?»

«Sicuro al duecento per cento. Rammenti le tue precauzioni con Hal? Be’, io ho adottato precauzioni analoghe per quanto concerne Nina. Nessuno uscirà con essa nello spazio senza la mia autorizzazione.»

«Ancora non riesco a crederlo. Sei certo che Max non ti stesse prendendo in giro?»

«Il suo senso dell’umorismo non è sottile fino a questo punto. E del resto, era molto infelice in quel momento.»

«Oh… ora capisco. Deve essere stato quando aveva avuto quel litigio con Zenia. Presumo che volesse far colpo su di lei. In ogni modo, sembra che si siano riappacificati.»

«Temo di sì» rispose Curnow malinconicamente. Floyd non poté fare a meno di sorridere. Curnow se ne accorse e cominciò a ridacchiare, il che fece ridere Floyd, la qual cosa…

Fu un magnifico esempio di feedback positivo con circuito ad alto guadagno. Dopo pochi secondi, stavano ridendo entrambi in modo incontrollabile.

La crisi era passata. Non solo, ma entrambi avevano mosso il primo passo verso un’autentica amicizia.

Si erano scambiati vulnerabilità.

40. «DAISY, DAISY…»

La sfera di consapevolezza nella quale era racchiuso avvolgeva l’intero nucleo di diamante del pianeta Giove. Egli era fiocamente conscio, entro i limiti della sua nuova comprensione, del fatto che ogni aspetto dell’ambiente circostante veniva sondato e analizzato. Si stavano acquisendo quantità immense di dati, non semplicemente per memorizzarli e contemplarli, ma per agire. Piani complessi venivano presi in considerazione e valutati; si prendevano decisioni che avrebbero potuto influenzare il destino di interi mondi. Egli non faceva ancora parte del processo, ma così sarebbe stato.

ORA STAI COMINCIANDO A CAPIRE.

Fu il primo messaggio diretto. Sebbene remoto e fioco, come una voce attraverso una nube, era inequivocabilmente destinato a lui. Ma, prima di aver potuto porre una qualsiasi della miriade di domande che gli turbinarono nella mente, provò una sensazione di allontanamento, e, una volta di più, rimase solo.

Ma soltanto per un momento. Più vicino e più chiaro giunse un nuovo pensiero e, per la prima volta, egli si rese conto che non una sola entità lo stava dominando e manovrando. Era coinvolto in una gerarchia di intelligenze, alcune delle quali sufficientemente vicine al suo livello primitivo per poter fungere da interpreti. O forse erano tutti aspetti di un singolo essere.