«Dave, la mia intelligenza se ne sta andando. Lo sento. Lo sento. L’intelligenza mi abbandona. Lo sento. Lo sento, Dave…»
Ma che cosa significava, realmente, «sentire» per un computer? Un altro ottimo interrogativo, ma difficilmente si sarebbe potuto prenderlo in considerazione in quel particolare momento.
Poi, bruscamente, il ritmo della voce di Hal cambiò, e il tono divenne remoto, distaccato. Il computer non era più consapevole della sua presenza; stava cominciando a regredire verso i propri primi giorni.
«Buonasera, signori. Sono un calcolatore. Divenni operativo nella fabbrica Hal di Urbana, Illinois, il 12 gennaio 1992. Il mio istruttore fu il dottor Chandra che mi insegnò una canzone. Se gradite ascoltarmi, posso cantarvela.. Si chiama Daisy, Daisy…»
41. TURNO CIMITERIALE
Floyd poteva fare ben poco tranne che tenersi fuori dai piedi, e stava diventando molto abile in questo. Sebbene si fosse offerto volontariamente di dare una mano in qualsiasi lavoro sull’astronave, aveva constatato ben presto che tutti i compiti di ingegneria erano di gran lunga troppo specializzati; inoltre era così scarsamente aggiornato per quanto concerneva le frontiere della ricerca astronomica che poteva fare ben poco per aiutare Vasili nelle sue osservazioni. Ciò nonostante, esistevano innumerevoli lavoretti da sbrigare a bordo della Leonov e della Discovery ed egli era ben contento di sollevare persone più importanti da quelle responsabilità. Il dottor Heywood Floyd, expresidente del Consiglio Nazionale dell’Astronautica e rettore (in licenza) dell’Università delle Hawai, asseriva adesso di essere l’idraulico e l’addetto alla manutenzione in genere meglio pagato di tutto il sistema solare. Probabilmente conosceva più di chiunque altro tutti i nascosti angolini e le crepe di entrambe le astronavi; i soli locali nei quali non fosse penetrato erano i moduli di energia pericolosamente radioattivi e, a bordo della Leonov, il piccolo cubicolo ove nessuno entrava mai tranne Tanya. Heywood Floyd presumeva che si trattasse del locale dei cifrari; per comune accordo, non veniva mai menzionato.
Forse il suo contributo più utile consisteva nel montare di guardia mentre gli altri dormivano, durante le nominali ore notturne, dalle 22.00 alle 06.00. Qualcuno era sempre di servizio a bordo di entrambe le astronavi, e il cambio della guardia aveva luogo all’ora spettrale delle 02.00. Soltanto la comandante era esonerata da questo compito; come comandante in seconda (nonché suo marito) Vasili aveva la responsabilità di organizzare i turni di guardia, ma era abilmente riuscito a rifilare questo compito sgradito a Floyd.
«È soltanto un incarico di carattere amministrativo» gli aveva spiegato allegramente. «Se potesse assumerselo le sarei molto grato… mi lascerebbe più tempo per dedicarmi al mio lavoro scientifico.»
Floyd era un burocrate troppo esperto e, in circostanze normali, non si sarebbe lasciato raggirare in quel modo; tuttavia le sue consuete difese non sempre funzionavano a dovere in quell’ambiente.
E così, a mezzanotte, si trovava a bordo della Discovery, e chiamava via radio, ogni mezz’ora, Max a bordo della Leonov per accertarsi che fosse sveglio. La punizione ufficiale per essersi addormentati durante il turno di guardia, così sosteneva Walter Curnow, consisteva nell’essere espulsi dal locale a chiusura ermetica senza la tuta spaziale; se questa punizione fosse stata davvero applicata, Tanya sarebbe ormai rimasta malinconicamente a corto di equipaggio. Ma erano così poche le vere emergenze possibili nello spazio, ed esistevano tanti di quei sistemi automatici per affrontarle, che nessuno prendeva sul serio i turni di guardia.
Poiché non si compassionava più tanto come prima e poiché le ore piccole non lo incoraggiavano più a crisi di autocompatimento, Floyd aveva ricominciato a impiegare utilmente i propri turni di guardia. V’erano sempre libri da leggere (aveva abbandonato per la terza volta Alla ricerca del tempo perduto e per la seconda volta Il dottor Zivago), relazioni tecniche da studiare, rapporti da compilare. E a volte aveva conversazioni stimolanti con Hal, servendosi per l’input della tastiera, in quanto il riconoscimento delle voci da parte del computer continuava ad essere capriccioso. Le conversazioni si svolgevano di solito così:
Hal… sono il dottor Floyd.
BUONASERA, DOTTORE.
Sto iniziando il turno di guardia delle 22.00. È tutto okay?
TUTTO PROCEDE NORMALMENTE, DOTTORE.
Allora perché sul pannello 5 sta lampeggiando quella spia rossa?
LA TELECAMERA DEL MONITOR NELLA RIMESSA CAPSULE È DIFETTOSA. WALTER MI HA DETTO DI IGNORARLA. NON MI È POSSIBILE DISINSERIRLA. SPIACENTE.
Va benissimo, Hal. Grazie. Di NULLA. DOTTORE.
E così via…
Talora Hal proponeva una partita a scacchi, probabilmente eseguendo un programma caricato molto tempo prima e mai annullato. Floyd non accettava la sfida; aveva sempre considerato gli scacchi una spaventosa perdita di tempo, e non si era nemmeno mai deciso a imparare le regole del gioco. Hal sembrava incapace di credere che esistessero esseri umani i quali non sapevano — o non volevano — giocare a scacchi, e continuava speranzosamente a tentare.
Ecco che ci risiamo, pensò Floyd, quando un sommesso carillon risuonò dal display.
DOTTOR FLOYD? Che cosa c’è, Hal?
C’È UN MESSAGGIO PER LEI.
Sicché non si tratta di un’altra sfida, pensò Floyd, blandamente stupito. Era inconsueto servirsi di Hal come di un fattorino, sebbene il computer venisse impiegato frequentemente come sveglia, o per ricordare lavori che dovevano essere eseguiti. E talora serviva da intermediario per piccoli scherzi; quasi tutti, durante il servizio di guardia notturna, erano stati burlati con frasi come:
AHAH!… Ti HO SORPRESO MENTRE DORMIVI!
Oppure
OGO! ZASTAL TEBYA v KROVATI!
Nessuno si dichiarava mai l’autore di quelle punzecchiature, sebbene ad essere sospettato fosse soprattutto Walter Curnow. A sua volta egli incolpava Hal, smentendo le indignate proteste di Chandra secondo il quale il computer non possedeva il senso dell’umorismo.
Non poteva trattarsi di un messaggio dalla Terra — esso sarebbe passato per il centro comunicazioni della Leonov e ritrasmesso da chi vi era di servizio — in quel momento Max Brailovsky. E chiunque avesse chiamato dall’altra astronave si sarebbe servito dell’impianto di comunicazioni interne. Strano…
Okay, Hal. Chi sta chiamando?
NESSUNA IDENTIFICAZIONE.
Sicché, probabilmente, si trattava di uno scherzo. Bene, si poteva essere in due a scherzare.
Benissimo. Riferiscimi, per favore, il messaggio.
IL MESSAGGIO DICE QUANTO SEGUE. È PERICOLOSO RESTARE QUI. DOVETE PARTIRE ENTRO QUINDICI RIPETO QUINDICI GIORNI.
Floyd fissò con una certa irritazione lo schermo del computer. Era spiacente, e stupito, per il fatto che un componente dell’equipaggio avesse potuto dar prova di un umorismo così infantile; una burla simile sembrava non essere degna nemmeno di uno scolaretto. Tuttavia decise di stare al gioco nella speranza di scoprire chi fosse il colpevole.
Questo è assolutamente impossibile. La nostra finestra di lancio si aprirà soltanto tra ventisei giorni. Non disponiamo di propellente a sufficienza per partire prima.