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Dopo un paio d’ore irrequiete nel suo bozzolo, Floyd rinunciò alla ricerca del sonno e si recò nel ponte di osservazione. Giove era molto più grande e andava scomparendo adagio man mano che le due astronavi si scaraventarono verso il punto di massimo avvicinamento, sopra il lato del pianeta immerso nella notte. Splendente e gibboso disco, Giove rivelava una così infinita ricchezza di particolari — fasce di nubi, chiazze di ogni colore, da un bianco abbacinante al rosso mattone, scuri rigonfiamenti da ignote profondità, e l’ovale ciclonico della Grande Macchia Rossa — che lo sguardo non riusciva a contemplarli tutti. Era in transito la tonda e scura ombra di una luna — probabilmente di Europa, suppose Floyd. Stava assistendo a questo spettacolo incredibile per l’ultima volta; anche se avrebbe dovuto essere in possesso di tutte le sue energie e pronto alla massima efficienza di lì a sei ore, era un delitto perdere quei momenti preziosi dormendo.

Dove si trovava la macchia che il Controllo Missione aveva chiesto loro di osservare? Sarebbe dovuta apparire adesso, ma Floyd non era certo che fosse visibile a occhio nudo. Vasili sarebbe stato di certo troppo impegnato per occuparsene; forse avrebbe potuto dargli una mano lui dedicandosi, da dilettante, a un po’’ di astronomia. Vi era stato, in fin dei conti, un breve periodo, trent’anni prima, durante il quale si era guadagnato da vivere come astronomo professionista.

Attivò i comandi del telescopio principale, da cinquanta centimetri — fortunatamente il campo visivo non era ostacolato dalla mole adiacente della Discovery — e scrutò lungo la zona equatoriale con un ingrandimento medio. Ed ecco la macchia che stava apparendo proprio in quel momento, oltre l’orlo del disco.

Grazie alle circostanze, Floyd era adesso uno dei massimi dieci esperti di Giove esistenti nel sistema solare; gli altri nove lavoravano o dormivano intorno a lui. Si rese subito conto che esisteva qualcosa di molto strano in quella macchia; era talmente nera che sembrava un foro praticato attraverso le nubi. Dal suo punto di osservazione, sembrava essere una ellisse dall’orlo affilato; Floyd suppose che, veduta dalla perpendicolare, sarebbe stata un circolo perfetto.

Registrò alcune immagini, poi passò al massimo ingrandimento. Già la rapida rotazione di Giove aveva reso più nitida la formazione; e quanto più Floyd la fissava, tanto più rimaneva interdetto.

«Vasili» gridò, servendosi dell’impianto di comunicazioni interne, «se ha un momento di tempo dia un’occhiata al monitor del cinquanta centimetri.»

«Che cosa sta osservando? È importante? Sono intento a controllare l’orbita.»

«Si prenda tempo, naturalmente. Ma ho trovato la macchia riferita dal Controllo Missione. Ha un aspetto stranissimo.»

«Diavolo, me n’ero dimenticato. Siamo degli osservatori davvero in gamba se quei tizi sulla Terra devono dirci dove guardare. Mi conceda altri cinque minuti… non fuggirà.»

* * *

Vero, pensò Floyd; in effetti diventerà più nitida. E non v’era alcunché di disonorante nel lasciarsi sfuggire qualcosa che era stato osservato dagli astronomi terrestri, o lunari. Giove aveva dimensioni enormi, loro erano stati impegnatissimi, e i telescopi sulla Luna o in orbita intorno alla Terra avevano una potenza cento volte superiore a quella dello strumento del quale si stava servendo lui adesso.

La macchia, tuttavia, stava diventando sempre e sempre più strana. Per la prima volta Floyd cominciò a provare una netta sensazione di disagio. Fino a quel momento non si era mai sognato di pensare che la macchia potesse essere qualcosa di diverso da una formazione naturale — un qualche fenomeno della meteorologia incredibilmente complessa di Giove. Ma a questo punto cominciò a porsi interrogativi.

La macchia era talmente nera, come la notte stessa. E così simmetrica, con il migliorare della visuale, diveniva ovvio che si trattava di un circolo perfetto. Eppure non era nettamente definito. L’orlo aveva un che di bizzarramente indistinto, come se fosse lievemente sfuocato.

Si trattava di immaginazione o la macchia era andata ingrandendosi nel momento stesso in cui la osservava? Fece una rapida valutazione e decise che la cosa doveva avere adesso un diametro di duemila chilometri. Era appena un poco più piccola dell’ombra ancora visibile di Europa, ma talmente più scura che non poteva esistere alcun pericolo di confonderla.

«Diamo un’occhiata» disse Vasili, in tono alquanto condiscendente. «Che cosa ritiene di aver trovato? Oh…» La voce di lui si perdette nel silenzio.

Ci siamo, pensò Floyd, con una improvvisa, gelida convinzione. Di qualsiasi cosa possa trattarsi…

47. SORVOLO ULTIMO

Eppure, riflettendo meglio, una volta superato lo stupore iniziale, era difficile capire come una macchia nera che si espandeva nell’atmosfera di Giove potesse rappresentare un qualsiasi pericolo. Si trattava di un fenomeno straordinario, inesplicabile, ma non importante quanto gli eventi critici che si sarebbero determinati di lì a sette ore appena. Una riuscita accensione dei propulsori intorno a Giove era la sola cosa che contasse; avrebbero avuto tutto il tempo di studiare le misteriose macchie nere durante il ritorno verso la Terra.

Quanto a dormire, Floyd aveva rinunciato ad ogni tentativo di addormentarsi. Sebbene la sensazione del pericolo — per lo meno di un pericolo noto — fosse assai minore di quella provata durante il loro primo approccio a Giove, un misto di eccitazione e di apprensione lo teneva completamente desto. L’eccitazione era naturale e comprensibile; l’apprensione aveva cause più complesse. Floyd si atteneva alla norma di non preoccuparsi a causa di eventi che egli non poteva influenzare assolutamente in alcun modo; ogni minaccia esterna si sarebbe rivelata a tempo debito, e soltanto allora egli avrebbe potuto affrontarla. Tuttavia non poté ora fare a meno di domandarsi se davvero avessero fatto tutto il possibile per salvaguardare le astronavi.

A parte possibili guasti meccanici a bordo, esistevano due cause principali di preoccupazione. Sebbene i nastri di fibre di carbonio che tenevano insieme la Leonov e la Discovery non avessero mostrato alcuna tendenza a scivolare, dovevano ancora superare la prova più difficile. Quasi altrettanto critico sarebbe stato il momento della separazione, quando le più piccole delle cariche esplosive destinate in precedenza a scuotere il Grande Fratello sarebbero state impiegate a una distanza sgradevolmente ravvicinata. E poi, naturalmente, v’era Hal…

Egli aveva eseguito la manovra per sottrarsi all’orbita con una precisione squisita. Aveva calcolato le simulazioni del sorvolo di Giove, sino all’ultima goccia di propellente della Discovery, senza fare commenti né obiezioni. Ma sebbene Chandra, come convenuto, gli avesse spiegato minuziosamente che cosa stessero cercando di fare, si era reso realmente conto, Hal, di quello che stava accadendo?

Floyd aveva una preoccupazione dominante, che nei pochi giorni precedenti era divenuta quasi ossessiva. Poteva raffigurarsi ogni cosa andare nel migliore dei modi, le astronavi nel momento intermedio della manovra finale, l’enorme disco di Giove che riempiva il cielo poche centinaia di chilometri sotto di loro… e poi Hal che si schiariva elettronicamente la gola e diceva: «Dottor Chandra, le spiace se le pongo una domanda?»

Le cose non andarono esattamente in questo modo.

* * *

La Grande Macchia Nera, come inevitabilmente l’avevano denominata, veniva ora sottratta alla vista dalla rapida rotazione di Giove. Di lì a poche ore, le astronavi, che continuavano ad accelerare, l’avrebbero nuovamente raggiunta sul lato del pianeta immerso nella notte, ma questa era l’ultima possibilità di una osservazione ravvicinata alla luce del giorno.

La macchia continuava ad espandersi con una rapidità straordinaria; nelle ultime due ore aveva più che raddoppiato la propria superficie. A parte il fatto che continuava a rimanere intensamente nera espandendosi, somigliava a una macchia d’inchiostro allargatesi nell’acqua. Il suo contorno — che si spostava adesso ad una velocità quasi sonica nell’atmosfera gioviana — continuava ad apparire indistinto e sfuocato; con il massimo ingrandimento del telescopio dell’astronave, la ragione di tale fenomeno divenne infine manifesta.