Diversamente dalla Grande Macchia Rossa, la Grande Macchia Nera non era una struttura continua; la formava invece una miriade di minuscoli puntini, come quelli di un’immagine stampata che si esamini con una lente d’ingrandimento. Su quasi tutta la superficie della macchia i puntini erano così strettamente disposti gli uni accanto agli altri da toccarsi quasi, ma, lungo i bordi, divenivano sempre più ampiamente intervallati, per cui la macchia stessa terminava con una grigia penombra anziché con un orlo netto.
I puntini misteriosi dovevano raggiungere il numero di quasi un milione ed erano tutti distintamente allungati — ellissi anziché circoli. Katerina sorprese tutti dicendo che era come se qualcuno, preso il riso contenuto in un sacco, lo avesse colorato di nero, per poi spargerlo sulla superficie di Giove.
E ora il Sole stava calando dietro l’arco enorme, che rapidamente andava assottigliandosi, del lato del pianeta esposto alla luce del giorno; poi, per la seconda volta, la Leonov si avventò nella notte gioviana per un appuntamento con il destino. Di lì a meno di trenta minuti vi sarebbe stata l’ultima accensione dei propulsori, e le cose avrebbero cominciato a svolgersi davvero molto rapidamente.
Floyd si domandò se avrebbe dovuto raggiungere Chandra e Curnow, di guardia sulla Discovery. Ma non avrebbe potuto far nulla; in caso di emergenza, sarebbe stato soltanto tra i piedi. Il comando dell’interruttore di disinserimento si trovava nella tasca di Curnow, e Floyd sapeva che i riflessi dell’uomo più giovane di lui erano di gran lunga più rapidi dei suoi. Se Hal avesse manifestato il benché minimo indizio di comportamento scorretto, sarebbe potuto essere disinserito in meno di un secondo; ma Floyd era certo che un provvedimento così estremo non si sarebbe reso necessario. Da quando gli era stato consentito di fare le cose a modo suo, Chandra aveva collaborato nel modo più assoluto, predisponendo le procedure per il passaggio ai comandi manuali, qualora se ne fosse presentata la deprecabile necessità. Floyd era certo che lo scienziato avrebbe compiuto il suo dovere…
Curnow non ne era altrettanto sicuro. Si sarebbe sentito più tranquillo, aveva detto a Floyd, qualora avessero potuto far conto su una multipla sicurezza, sotto forma di un secondo interruttore di disinserimento… per Chandra. Nel frattempo, nessuno di loro poteva fare altro che aspettare e osservare l’avvicinarsi del paesaggio di nubi sul lato immerso nella notte, fiocamente visibili grazie alla luce riflessa delle lune di passaggio, nonché al bagliore delle reazioni fotochimiche e ai frequenti e titanici fulmini di tempeste più vaste della Terra.
Il Sole ammiccò alle loro spalle, eclissato in pochi secondi dal globo immenso al quale andavano avvicinandosi così rapidamente. Quando lo avessero riveduto, si sarebbero trovati sulla traiettoria del ritorno.
«Venti minuti all’accensione. Tutti i sistemi funzionano normalmente.»
«Grazie, Hal.»
Mi domando se Chandra era del tutto sincero quando disse che Hal si sarebbe confuso se gli avesse parlato qualcun altro. Io gli ho parlato abbastanza spesso, quando non c’era nessuno, e mi ha sempre capito perfettamente. D’altro canto, non rimane più molto tempo, ormai, per una conversazione amichevole, anche se contribuirebbe a ridurre la tensione.
Che cosa sta pensando in realtà Hal — ammesso che pensi — della missione? Per tutta la vita, Curnow era rifuggito dagli interrogativi astratti e filosofici; aveva asserito spesso di essere un uomo fatto per i dadi e le viti, sebbene in una astronave non esistesse un gran numero degli uni e delle altre. Un tempo avrebbe riso di questa idea, ma ora cominciò a porsi domande. Intuiva, Hal, che presto sarebbe stato abbandonato, e, in tal caso, se la prendeva per questo? Curnow fece per afferrare il comando dell’interruttore che aveva in tasca, ma si dominò. Aveva già compiuto quel gesto tante di quelle volte che Chandra si sarebbe potuto insospettire.
Per la centesima volta, provò mentalmente la sequenza degli eventi che avrebbero avuto luogo nell’ora successiva. Nel momento in cui il propellente della Discovery si fosse esaurito, avrebbero fermato tutti i sistemi essenziali, precipitandosi poi sulla Leonov attraverso il tubo di collegamento. Il collegamento sarebbe poi stato staccato, le cariche esplosive sarebbero state fatte esplodere, causando l’allontanamento delle due astronavi… e i propulsori della Leonov sarebbero entrati in azione. La separazione avrebbe avuto luogo — se tutto si fosse svolto secondo il piano — nel momento esatto del massimo avvicinamento a Giove; in tal modo si sarebbero avvantaggiati al massimo della formidabile forza gravitazionale del pianeta.
«Quindici minuti all’accensione. Tutti i sistemi funzionano normalmente.»
«Grazie, Hal.»
«A proposito» disse Vasili, dall’altra astronave, «stiamo raggiungendo di nuovo la Grande Macchia Nera. Chissà se riusciremo a vedere qualcosa di nuovo!»
Sono propenso a sperare di no, pensò Curnow; abbiamo già anche troppe cose per le mani, in questo momento. Ciò nonostante, scoccò una rapida occhiata all’immagine che Vasili stava trasmettendo sul monitor del telescopio.
A tutta prima non riuscì a scorgere altro che il lato notturno, fiocamente baluginante, del pianeta; poi vide, all’orizzonte, un disco raccorciato dalla prospettiva e più intensamente nero. Si stavano avventando verso di esso con una velocità incredibile.
Vasili aumentò l’amplificazione della luce, e l’intera immagine si illuminò magicamente. Infine la Grande Macchia Nera si risolse nella miriade di elementi identici…
Dio mio, pensò Curnow, non riesco davvero a crederlo!.
Udì esclamazioni di stupore sulla Leonov: tutti gli altri avevano condiviso nello stesso momento l’identica rivelazione.
«Dottor Chandra» disse Hal «capto forti onde di tensione. V’è una difficoltà?»
«No, Hal» si affrettò a rispondere Chandra. «La missione sta procedendo normalmente. Abbiamo appena avuto una certa sorpresa… ecco tutto. Come interpreti tu l’immagine sul circuito del monitor numero 16?»
«Vedo il lato notturno di Giove. Ve un settore circolare, del diametro di 3.250 chilometri, che è quasi completamente coperto da oggetti rettangolari.»
«Quanti?»
Seguì la più breve delle pause prima che Hal facesse lampeggiare il numero sul display video:
1.355.000 ±1.000
«E li riconosci?»
«Sì. Sono identici, per le dimensioni e la forma, all’oggetto da voi denominato Grande Fratello. Dieci minuti all’accensione. Tutti i sistemi funzionano normalmente.»
Non i miei, pensò Curnow. Sicché il dannato oggetto è disceso su Giove e si è moltiplicato. V’era un che di comico e di sinistro al contempo in un’invasione di monoliti neri; e, non senza un interdetto stupore da parte sua, l’immagine incredibile sullo schermo del monitor, aveva una certa bizzarra familiarità.
Ma certo… ecco di che si trattava! Quella miriade di identici rettangoli neri gli ricordava i pezzi… del domino. Anni prima, aveva veduto un videodocumentario che mostrava come un gruppo di giapponesi lievemente matti avesse pazientemente disposto, ritti in equilibrio su una estremità, un milione di pezzi del domino, in modo che, quando il primo veniva fatto cadere, inevitabilmente cadevano anche tutti gli altri. I pezzi del domino erano stati collocati secondo disegni complicati, alcuni sott’acqua, alcuni su e giù per piccoli gradini, altri ancora lungo piste multiple, per cui, cadendo, formavano trame decorative. Erano occorse settimane per disporli; Curnow ricordò adesso che i terremoti avevano varie volte mandato a monte l’impresa e che, per la caduta definitiva, dal primo all’ultimo pezzo del domino, ci era voluto più di un’ora.