Dovette accorgersi che lui la stava osservando, poiché si voltò e sorrise, poi gesticolò verso il paesaggio di nubi che andava scorrendo in basso.
«Guardi!» gli gridò. «Giove ha una nuova luna!»
Che cosa sta cercando di dire? si domandò Floyd. Continua a non parlare molto bene l’inglese, ma non è possibile che abbia sbagliato pronunciando una frase così semplice. Ed io sono sicuro di aver sentito bene… eppure sta indicando verso il basso e non verso l’alto…
Poi si rese conto che lo scenario immediatamente sottostante era diventato molto più luminoso; poteva persino vedere gialli e verdi in precedenza del tutto invisibili. Qualcosa che era di gran lunga più brillante di Europa stava splendendo sulle nubi gioviane. La stessa Leonov, molte volte più luminosa del sole di mezzogiorno su Giove, causava una falsa alba sul mondo dal quale si stava allontanando per sempre. Un pennacchio, lungo cento chilometri, di plasma incandescente seguiva l’astronave, mentre il getto del propulsore Sakharov disperdeva le sue residue energie nel vuoto dello spazio.
Vasili stava facendo un annuncio, ma le parole risultarono del tutto inintelligibili. Floyd sbirciò l’orologio; sì, il momento doveva essere arrivato. Avevano raggiunto la velocità di fuga da Giove. Il gigante non avrebbe più potuto catturarli.
E poi, migliaia di chilometri più avanti, un arco immenso di vivida luce apparve nel cielo — la prima avvisaglia della vera alba gioviana, colma di promesse quanto ogni arcobaleno sulla Terra. Alcuni secondi dopo, il Sole spuntò salutandoli — il vivido Sole che ormai sarebbe divenuto ogni giorno più luminoso e più vicino.
Qualche minuto ancora di costante accelerazione, e la Leonov sarebbe stata irrevocabilmente lanciata sul suo lungo viaggio di ritorno verso la Terra. Floyd provò una sensazione travolgente di sollievo e di distensione. Le leggi immutabili della meccanica celeste lo avrebbero guidato attraverso il sistema solare interno, al di là delle intricate orbite degli asteroidi, al di là di Marte… nulla avrebbe più potuto impedirgli di raggiungere il pianeta ove era nato. Nell’euforia del momento, aveva dimenticato completamente la misteriosa macchia nera che andava espandendosi nel cielo di Giove.
49. DIVORATORE DI MONDI
La rividero al mattino, ora dell’astronave, mentre veniva avanti sul lato di Giove illuminato dalla luce del giorno. Il nero disco si era ormai ampliato fino a ricoprire una frazione apprezzabile del pianeta.
«Sa che cosa mi ricorda?» disse Katerina. «Un virus che aggredisce una cellula. Il modo con il quale il virus inietta il suo DNA in un batterio e poi si moltiplica fino a distruggerlo.»
«Vorresti dire» domandò Tanya, incredula, «che Zagadka sta divorando Giove?»
«Senza dubbio, sembra che sia così.»
«Non ci si può stupire se Giove sta cominciando ad assumere un aspetto malaticcio. Ma l’idrogeno e l’elio non costituiranno una dieta molto nutriente, e non esiste un granché d’altro in quell’atmosfera. Appena una minima percentuale di altri elementi.»
«Il che equivale ad alcuni quintilioni di tonnellate di zolfo, di carbonio, di fosforo e di ogni altro elemento con peso atomico leggero esistente nella tavola di Mendeleiev» fece rilevare Sascia. «In ogni modo, stiamo parlando di una tecnologia la quale, probabilmente, non fa altro che sfidare le leggi della fisica. Disponendo dell’idrogeno, che altro occorre? Mediante l’opportuno knowhow si può sintetizzare con esso ogni altro elemento.»
«Stanno risucchiando Giove, questo è certo» disse Vasili.
Un’immagine estremamente ravvicinata di uno della miriade di identici rettangoli apparve a questo punto sul monitor del telescopio. Anche a occhio nudo appariva ovvio che flussi di gas stavano scorrendo entro le due facce più piccole; le linee della turbolenza erano assai simili alle linee di forza rivelate dalla limatura di ferro e raggruppate intorno ai due poli di un magnete.
«Un milione di aspirapolvere» disse Curnow «che succhiano l’atmosfera di Giove. Ma perché? E che cosa se ne fanno?»
«E come si riproducono?» domandò Max. «Ne avete mai sorpreso uno nell’atto della riproduzione?»
«Sì e no» rispose Vasili. «Siamo di gran lunga troppo lontani per scorgere i particolari, ma è una sorta di fissione… come nelle amebe.»
«Vuoi dire… che si suddividono in due e le due metà raggiungono le dimensioni normali?»
«Nyet. Non esistono piccoli Zagadka… sembra che crescano finché raddoppiano il loro spessore, poi si separano dando luogo a gemelli identici, aventi esattamente le stesse dimensioni dell’originale. E il cielo ricomincia approssimativamente dopo due ore.»
«Due ore!» esclamò Floyd. «Non ci si può stupire se si sono estesi su una metà del pianeta. È un esempio classico di crescita esponenziale.»
«So che cosa sono!» esclamò Ternovsky, in preda a un’improvvisa eccitazione. «Sono macchine di Von Neumann!»
«Credo che tu abbia ragione» disse Vasili. «Ma questo non spiega ancora quello che stanno facendo. Applicare loro un’etichetta non serve a un granché.»
«E che cos’è» domandò Katerina, in tono lamentoso, «una macchina di Von Neumann? Spiegate, per favore.»
Orlov e Floyd presero a parlare contemporaneamente. Si interruppero un po’’ confusi, poi Vasili rise e fece cenno all’americano di continuare.
«Supponiamo che lei dovesse fare un enorme lavoro di ingegneria, Katerina… e dico proprio immenso, come ad esempio estrarre minerali dall’intera superficie della Luna. Potrebbe costruire milioni di apposite macchine, ma per riuscirci ci vorrebbero secoli. Se lei ne fosse capace, costruirebbe una sola macchina… ma in grado di riprodursi attingendo ai materiali grezzi circostanti. Darebbe così l’avvio a una reazione a catena, e, in brevissimo tempo avrebbe… creato un numero di macchine sufficiente per eseguire il lavoro di decenni, anziché di millenni. Con un ritmo di riproduzione sufficientemente elevato, potrebbe fare virtualmente qualsiasi cosa in un periodo di tempo breve quanto lo desiderasse. La Space Agency si sta trastullando da anni con questa idea… e mi risulta che altrettanto fate voi, Tanya.»
«Sì: le macchine esponenziali. È un’idea alla quale nemmeno Tsiolkovski pensò.»
«Su questo non sarei disposto a scommettere» disse Vasili. «Sicché sembra, Katerina, che la tua analogia avesse colto nel segno o quasi. Un batteriofago è una macchina di Von Neumann.»
«Non lo siamo tutti?» domandò Sascia. «Sono certo che Chandra lo affermerebbe.»
Chandra espresse con un cenno del capo il suo assenso.
«Questo è ovvio. In effetti, Von Neumann ebbe l’idea studiando gli organismi viventi.»
«E queste macchine viventi starebbero divorando Giove!»
«Sembra senz’altro così» disse Vasili. «Ho eseguito alcuni calcoli e non riesco a credere al risultato… sebbene si tratti di aritmetica elementare.»
«Può essere elementare per te» disse Katerina. «Ma cerca di farci capire, senza tensori e senza equazioni differenziali.»
«No… è proprio elementare» insistette Vasili. «In effetti si tratta di un esempio perfetto dell’esplosione demografica a causa della quale voi medici non facevate che sbraitare il secolo scorso. Ogni Zagadka si riproduce in circa due ore. Pertanto, in appena venti ore, ve ne sono altri dieci che a loro volta si riproducono. Per cui da uno Zagadka ne derivano mille.»
«Milleventiquattro» disse Chandra.
«Lo so, ma cerchiamo di semplificare. Dopo quaranta ore saranno un milione… dopo ottanta ore un milione di milioni. E all’incirca il punto al quale ci troviamo adesso, e, ovviamente, la moltiplicazione non può continuare all’infinito. Un paio di giorni ancora, con questo ritmo di crescita, e peseranno più di Giove!»