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Il redattore di ottant’anni prima doveva avere avuto un certo senso dell’umorismo. Uno scritto sul nucleo dei pianeti esterni non era fatto per attirare l’interesse del lettore casuale; questo però aveva un titolo insolitamente pittoresco. Il suo computer avrebbe potuto dirgli in un tempo ragionevole che si trattava di un riferimento a una canzone allora famosa, ma ciò naturalmente non aveva nessuna importanza.

Comunque, il dottor Paul Kreuger non aveva mai sentito nominare i Beatles e le loro fantasie psichedeliche.

PARTE II

LA VALLE DELLA NEVE NERA

15. RENDEZVOUS

Ed ecco che ora la Cometa di Halley era troppo vicina per poterla vedere; per una strana ironia, gli osservatori della Terra avrebbero avuto una vista di gran lunga migliore della coda, che già si stendeva per cinquanta milioni di chilometri ad angolo retto rispetto all’orbita della cometa, simile a una bandiera che sventolasse sotto la pressione invisibile del vento solare.

La mattina del rendezvous, Heywood Floyd si svegliò presto da un sonno inquieto. Di rado sognava — o ricordava ciò che aveva sognato — e senza dubbio la brutta notte andava attribuita all’eccitazione per ciò che sarebbe accaduto di lì a poche ore. Inoltre era anche un po’’ preoccupato per un messaggio di Caroline in cui lei gli chiedeva se aveva notizie di Chris. Aveva risposto, forse un po’’ troppo laconicamente, che Chris non si era mai preoccupato di dirgli grazie per averlo aiutato a trovare un imbarco a bordo della Cosmos, l’astronave gemella della Universe; forse si era già stancato della rotta TerraLuna ed era andato a cercare avventure da qualche altra parte.

«Come al solito» aveva aggiunto Floyd «ci farà avere notizie quando ne avrà voglia.»

Subito dopo la prima colazione, il capitano Smith aveva radunato passeggeri ed équipe scientifica per le ultime istruzioni. Gli scienziati non ne avevano nessun bisogno, ma nemmeno si offesero, perché una reazione così infantile sarebbe stata impossibile davanti al maestoso spettacolo offerto dallo schermo principale.

Si sarebbe detto che la Universe stesse avvicinandosi a una nebulosa invece che a una cometa, Tutto il cielo a prua era avvolto da una specie di densa nebbia bianca, non uniforme, ma chiazzata da macchie più scure e attraversata da bande luminose e propaggini scintillanti che si irraggiavano da un punto centrale. Con quell’ingrandimento il nucleo era a malapena visibile e appariva come un corpuscolo scuro; eppure era evidente che proprio da lì aveva origine quella fantasmagoria.

«Spegneremo il propulsore tra tre ore» disse il capitano. «Ci troveremo allora a soli mille chilometri dal nucleo, e la velocità sarà praticamente zero. Faremo alcune osservazioni e rileveremo per l’ultima volta il punto d’atterraggio.

«La gravità verrà meno esattamente alle 12.00. Prima di allora gli steward avranno controllato che nelle cabine tutto sia assicurato. Sarà come quando abbiamo effettuato il capovolgimento, con la differenza che l’assenza di peso questa volta durerà tre giorni e non due ore.

«La gravità sulla Cometa di Halley? Del tutto trascurabile… Meno di un centimetro per secondo quadrato: un millesimo della gravità terrestre. Si potrà percepirla solo rimanendo immobili a lungo, ma nulla di più. Lasciando cadere un oggetto sospeso a un metro dal suolo, toccherebbe terra dopo quindici secondi.

«Per maggiore sicurezza desidero che vi troviate tutti qui nell’osservatorio, con le cinture allacciate, durante il rendezvous e l’atterraggio. Da qui si gode di una vista eccellente, e comunque la manovra non durerà più di un’ora. Applicheremo solo spinte molto deboli, per correggere la traiettoria, ma siccome verranno applicate in ogni direzione, può darsi che provochino qualche disturbo.»

Il capitano intendeva il mal di spazio, naturalmente, ma per consenso generale quel termine era stato messo al bando sulla Universe. Tuttavia molte mani si abbassarono a tastare sotto i sedili, come per controllare che i famigerati sacchetti di plastica fossero a portata di mano in caso di bisogno.

L’immagine sullo schermo prese a zoomare. Per un attimo Floyd ebbe la sensazione di trovarsi a bordo di un aeroplano che si abbassava tra le nuvole, e non a bordo di un’astronave che stava avvicinandosi alla più famosa tra le comete. Il nucleo si faceva più grande e più distinto; ora non era più un punto scuro, ma un’ellisse irregolare — e poi un isolotto corrugato sperso nell’oceano cosmico — e infine un piccolo mondo, un mondo come tanti altri.

Non si aveva nessun senso delle proporzioni. Floyd sapeva che quanto vedeva sullo schermo non aveva un diametro superiore ai dieci chilometri, ma l’impressione era che il nucleo potesse benissimo essere grande quanto la Luna. Però la Luna non aveva nebbie, né getti di vapore — due dei quali piuttosto grandi — che scaturivano dalla superficie.

«Gran Dio!» gridò Mihailovic. «E quello che cos’è?»

Indicava la periferia estrema del nucleo, in basso. C’era inequivocabilmente una luce, laggiù; una luce sulla faccia oscura della cometa che lampeggiava con un ritmo perfettamente regolare: acceso, spento, acceso, spento, ogni due o tre secondi.

Il dottor Willis se ne uscì con quella sua tossettina che voleva dire «Ora te lo spiego in due parole», ma arrivò prima il capitano Smith.

«Mi spiace deluderla, signor Mihailovic. È solo il segnale della Sonda Due. È lì da un mese circa, in attesa che noi scendiamo a recuperarla.»

«Che peccato! Avrei preferito che ci fosse laggiù qualcuno, o qualcosa, in attesa di darci il benvenuto.»

«Niente da fare, ho paura; siamo completamente soli. Quel segnale luminoso indica solo il punto dell’atterraggio… è vicino al Polo Sud della cometa, e per qualche tempo rimarrà al buio. L’impianto di climatizzazione avrà meno da faticare. Sulla faccia illuminata la temperatura raggiunge i 120 gradi: ben sopra il punto di ebollizione dell’acqua, dunque.»

«Non mi stupisce che la cometa abbia un aspetto così scostante» disse Dimitri. «Quei getti di vapore hanno un’aria che non mi piace affatto. Siamo sicuri che non c’è pericolo?»

«Questa è un’altra ragione per prendere terra sulla faccia non illuminata: lì non c’è nessuna attività. Ora, se mi vogliono scusare, devo tornare in plancia. È la prima volta che mi capita di scendere su un altro mondo… E non credo che avrò un’altra occasione.»

L’uditorio del capitano Smith si disperse lentamente, mantenendo un insolito silenzio. L’immagine sullo schermo tornò normale, e ancora una volta il nucleo tornò a essere una macchiolina a malapena visibile. Eppure anche durante quei pochi minuti parve essersi fatto un poco più grande, e probabilmente non era un’illusione ottica. A meno di quattro ore dal rendezvous, l’astronave filava ancora verso la cometa a una velocità di cinquantamila chilometri all’ora.

Se a questo punto fosse capitato qualcosa al propulsore principale, si sarebbe formato un cratere ben più grande di quelli che ornavano il nucleo della Cometa di Halley.

16. ATTERRAGGIO

L’atterraggio fu privo di emozioni e di sorprese così come il capitano Smith aveva sperato. Fu impossibile riconoscere il momento esatto in cui la Universe prese contatto con il nucleo; passò un minuto intero prima che i passeggeri si rendessero conto che l’atterraggio era avvenuto, e che levassero, in ritardo, un applauso.

L’astronave aveva preso terra all’estremità di una bassa valle circondata da rilievi alti non più di un centinaio di metri. Chi si fosse aspettalo di trovarsi di fronte a un paesaggio lunare sarebbe rimasto deluso; quelle formazioni non assomigliavano in nulla alle dolci pendici lunari, levigate da miliardi di anni dal bombardamento delle micrometeoriti.