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«Uhm. E dove vorrebbe scendere?»

«Il punto migliore è quel geyser estinto alla base di Etna Junior. È inattivo da almeno mille anni.»

«E così dovrebbe restare inattivo ancora per un paio di giorni, immagino. Molto bene. C’è qualcun altro disposto ad accompagnarlo?»

«Sì, Cliff Greenberg… ha fatto parecchia speleologia subacquea alle Bahamas.»

«Io ci ho provato una volta… E mi è bastato. Dica a Cliff che è un elemento troppo prezioso per rischiare di perderlo. Può scendere fino a quando continua a vedere l’entrata, non oltre. E se il contatto con Chant si interrompe, non deve cercare di seguirlo se non dietro mio esplicito ordine.»

Ordine che, aggiunse il capitano dentro di sé, darei con estrema riluttanza.

* * *

II dottor Chant conosceva tutte le solite battute sugli speleologi desiderosi di ritornare nel grembo materno, ed era convinto di poter dimostrare che erano prive di fondamento.

«Dev’essere un posto maledettamente rumoroso là dentro, pieno di gorgoglìi e di tonfi» diceva. «A me piacciono le grotte perché sono silenziose e immobili, ed eterne. In centomila anni non cambia nulla…

Le stalattiti si fanno un poco più grandi, ecco tutto.»

Ma ora, mentre galleggiando si addentrava sempre di più nelle viscere della Cometa di Halley, lasciandosi alle spalle il cavo sottile ma resistentissimo che lo collegava a Clifford Greenberg, si rendeva conto che lì le cose stavano diversamente. Non ne aveva la prova scientifica, ma l’istinto del geologo gli diceva che quel mondo sotterraneo era nato soltanto ieri, nella scala temporale dell’universo. Era più giovane di certe città costruite dall’uomo.

Il tunnel dentro il quale stava scendendo con lunghi balzi fluttuanti aveva circa quattro metri di diametro, e l’assenza di peso gli riportava alla memoria l’esplorazione delle caverne subacquee sulla Terra. La bassa gravità rafforzava l’illusione; era proprio come se si fosse appesantito un po’’ troppo, e così continuasse a scendere lentamente verso il fondo. Solo l’assenza di ogni resistenza gli diceva che si stava spostando nel vuoto, e non nell’acqua.

«Ora comincio a non vederti più» disse Greenberg, a cinquanta metri dall’entrata. «La radio continua a funzionare benissimo. Com’è laggiù?»

«Difficile a dirsi… non mi riesce di identificare nessuna formazione, e così non trovo le parole giuste per poter descrivere quello che vedo. Non è roccia… si sgretola appena la tocco. Mi pare di essere dentro una gigantesca forma di groviera…»

«Vuoi dire che è roba organica?»

«Sì. Non ha nulla a che fare con organismi viventi, naturalmente, ma sarebbe una materia prima adattissima per la nascita della vita. Ogni sorta di idrocarburi… i chimici si divertiranno parecchio con questi campioni. Mi vedi?»

«Vedo solo la luce della torcia, e sta diventando sempre più debole.»

«Ah… Ecco qui della vera roccia. Probabilmente è un’intrusione, qualcosa venuto dallo spazio… Ehi, ho trovato l’oro!»

«Dici sul serio?»

«Ci sono cascati in molti, nel Far West… È pirite. Comune sui satelliti esterni, naturalmente, ma non mi chiedere che cosa ci fa qui…»

«Adesso non vedo più niente. Sei sceso di duecento metri.»

«C’è come uno strato geologico ben definito, qui… Si direbbero detriti meteoritici. Dev’essere successo qualcosa di divertente, tempo fa… speriamo di riuscire a datarlo. Accidenti!»

«Ehi, non fare scherzi!»

«Scusa… ci sono un po’’ rimasto. C’è una grande caverna, qui… proprio non me l’aspettavo. Aspetta che giro la torcia… È quasi sferica… Trenta, quaranta metri di diametro. E… incredibile quante sorprese sulla Cometa di Halley… ci sono stalattiti e stalagmiti.»

«Be’, e che c’è di strano?»

«Non c’è acqua allo stato libero, qui, e non c’è calcare… E con questa gravità così bassa. Sembrano fatte di una specie di cera. Un momento mentre le riprendo. Forme fantastiche… Un po’’ come le sgocciolature di una candela. Strano, però…»

«Adesso che c’è?»

Greenberg aveva percepito una nota di eccitazione nella voce del dottor Chant.

«Qualcuna di queste colonne è stata spezzata. Si vedono i pezzi lì per terra. Quasi come se…»

«Và avanti!»

«… come se qualcosa ci fosse finito addosso.»

«Sciocchezze. Potrebbe averle rotte un terremoto.»

«Non ci sono terremoti, qui. Solo microsismi, per via dei geyser. Ci sarà stata magari qualche soffiata più robusta, chissà quando. Comunque, è successo secoli fa. Anche sulle colonne spezzate c’è uno strato di cera… spesso parecchi millimetri.»

Il dottor Chant stava gradualmente recuperando il suo sangue freddo. Non era un individuo particolarmente incline alle fantasie — la speleologia elimina molto in fretta questo tipo di persone — ma l’atmosfera di quel luogo aveva fatto scattare in lui uno strano stato d’animo. E poi quelle colonne spezzate sembravano proprio le sbarre di una gabbia, rotte da chissà quale mostro per fuggire…

Naturalmente era una cosa del tutto assurda — ma il dottor Chant aveva imparato a non trascurare le premonizioni e ogni segnale di pericolo finché non vi avesse visto chiaro. Ciò gli aveva salvato la vita più di una volta; e non sarebbe andato oltre quella caverna fin quando non avesse capito perché provava quella sensazione di paura. Ed era onesto con se stesso quanto basta per riconoscere che «paura» era proprio il termine giusto.

«Bill! Tutto a posto? Che succede?»

«Sto ancora riprendendo. Queste forme mi ricordano le sculture di certi templi indiani. Sono quasi erotiche.»

Il dottor Chant stava deliberatamente pensando ad altro, ignorando il senso di paura che provava e sperando così di coglierlo di sorpresa, per così dire con la coda dell’occhio della mente. Nel frattempo le azioni puramente meccaniche di riprendere con la telecamera e di raccogliere campioni occupavano gran parte della sua attenzione.

Non c’era nulla da temere, si disse, da una salutare paura; solo quando la paura diventava panico poteva uccidere. Era stato preso dal panico solo due volte in vita sua (una volta in montagna, e un’altra sott’acqua) e ancora rabbrividiva ripensandoci. Ma, fortunatamente, era ben lontano dal panico in quel momento, e per una strana ragione: sebbene non capisse perché aveva paura, trovava la paura stessa stranamente rassicurante. C’era, in quella situazione, un elemento comico.

E a un tratto scoppiò a ridere, non una risata isterica, ma di sollievo.

«Hai mai visto quel vecchio film, Guerre stellari?» chiese a Greenberg.

«Certo. L’ho visto cinque o sei volte.»

«Bene, adesso ho capito perché ero preoccupato. Ti ricordi quando l’astronave di Luke entra nell’interno di un asteroide… e si scopre che è finita dentro una specie di rettile gigantesco che si nasconde nelle caverne?»

«Guarda che non è l’astronave di Luke… è la Millennium Falcon di Han Solo. E io mi sono sempre chiesto come facesse quella povera bestia a tirare avanti. Doveva avere sempre fame, lì ad aspettare che le arrivasse qualche boccone dallo spazio. E comunque la principessa Leia sarebbe stata non più di uno stuzzichino.»

«Rischio che io certamente non corro» disse il dottor Chant, ora perfettamente a proprio agio. «Anche se, cosa incredibilmente improbabile, qui esistessero forme di vita, la catena alimentare sarebbe troppo breve. Quindi difficilmente potrei trovare qualcosa più grosso di un topolino. O, più probabilmente, di un fungo… Vediamo un po’’ dove si può andare da qui. Ci sono due uscite, dall’altra parte della grotta. Quella di destra è la più grande. Allora prenderò quella…»

«Quanto cavo ti resta?»

«Oh, mezzo chilometro buono. Ora mi muovo. Sono in mezzo alla grotta… Dannazione, sono rimbalzato contro la parete. Ora ho trovato un appiglio… entro a testa avanti. Le pareti sono lisce, è vera roccia tanto per cambiare. Peccato, però…»