Выбрать главу

Un giorno, mentre ammirava il panorama della città in fondo alla baia, stabilì che si rendeva necessaria un’ulteriore modifica. Da decenni ormai ai piani più bassi del Peninsula la visuale era impedita da un grande edificio rotondo che sembrava una palla da golf schiacciata a metà. Quell’edificio, stabilì sir Lawrence, doveva scomparire.

Ma il direttore del Planetario di Hong Kong — che veniva considerato tra i cinque planetari più belli del mondo — era di diverso avviso, e molto presto sir Lawrence scoprì con piacere che esisteva qualcuno che non era disposto a lasciarsi comprare a nessun prezzo. Tra i due nacque una bella amicizia, ma quando il dottor Hessenstein preparò una proiezione particolare in occasione del sessantesimo compleanno di sir Lawrence, non sapeva che così facendo avrebbe cambiato la storia del sistema solare.

5. FUORI DAL GHIACCIO

Più di cent’anni dopo che, nel 1924 a Jena, la Zeiss ne aveva costruito il prototipo, restava ancora qualche proiettore ottico da planetario che torreggiava maestoso sopra le teste del pubblico. Ma a Hong Kong il proiettore ottico era stato mandato in pensione già da decenni, e lo si era sostituito con un sistema elettronico di gran lunga più versatile. La grande cupola era in pratica un solo gigantesco schermo televisivo costituito da migliaia di schermi più piccoli che potevano mostrare qualsiasi immagine si volesse.

La proiezione iniziò, inevitabilmente, con un omaggio all’ignoto inventore del razzo, apparso in Cina nel XIII secolo. Per cinque minuti si procedette poi a una rapidissima cavalcata attraverso i secoli, durante la quale non si tenne forse nella debita considerazione l’apporto dei russi, dei tedeschi e degli americani, per dare peso soprattutto alla figura del dottor HsueShen Tsien. Era comprensibile che i suoi conterranei, data l’occasione, gli attribuissero un’importanza, nella storia del viaggio aerospaziale, pari a quella di un Goddard, di un von Braun o di un Korolyev. E potevano a buon diritto mostrarsi indignati per la vicenda del suo arresto — in seguito ad accuse palesemente infondate — avvenuto negli Stati Uniti quando, dopo aver contribuito alla fondazione del famoso Jet Propulsion Laboratory ed essere stato nominato docente al CalTech al posto di Goddard, aveva deciso di ritornare in patria.

Si fece solo un rapido accenno al lancio del primo satellite cinese, avvenuto nel 1970 mediante il vettore Lunga Marcia 1, forse perché nello stesso periodo gli americani erano già sbarcati sulla Luna. E si sbrigò in pochi minuti la storia dell’ultimo scorcio del XX secolo per arrivare rapidamente al 2007, l’anno in cui era cominciata segretamente — seppure sotto gli occhi di tutto il mondo — la costruzione dell’astronave Tsien.

Il narratore non indugiò con eccessivo compiacimento sulla costernazione provata dalle grandi potenze quando un presunto satellite artificiale cinese lasciò all’improvviso la sua orbita dirigendosi verso Giove, precedendo così la missione russoamericana a bordo del Cosmonauta Alexei Leonov. Era, quella, una storia così ricca di colpi di scena e così tragica nel finale che non abbisognava di ulteriori abbellimenti.

Purtroppo c’era ben poco materiale visivo originale che la illustrasse: si doveva far affidamento soprattutto su effetti speciali e sulle ricostruzioni effettuate in seguito sulla base di ricognizioni fotografiche eseguite a distanza. Durante la breve permanenza sulla gelata superficie di Europa, l’equipaggio della Tsien aveva avuto ben altro da fare che pensare a girare documentati televisivi o anche solo a montare una telecamera automatica.

Comunque, le registrazioni audio permettevano di ricostruire il dramma di quel primo atterraggio sulle lune di Giove. I commenti trasmessi da Heywood Floyd da bordo della Leonov in fase di avvicinamento servivano benissimo a ricreare l’atmosfera, ed esistevano moltissime fotografie di repertorio di Europa con cui illustrare visivamente la scena:

«In questo momento sto osservando Europa per mezzo del telescopio più potente che abbiamo a bordo: con questo ingrandimento appare dieci volte più grande della Luna così come la vediamo a occhio nudo. Ed è una visione davvero strana e inquietante.

«La superficie è di un color rosa uniforme, con qualche chiazza bruna. Essa è tutta ricoperta di un intricato intreccio di linee sottili che si estendono ovunque. Direi che assomiglia molto a una di quelle fotografie che si vedono nei libri di medicina e che mostrano la rete delle vene e delle arterie.

«Alcune di queste linee sono lunghe centinaia, o forse migliaia, di chilometri, e ricordano i canali immaginari che a Percival Lowell e agli altri astronomi dell’inizio del secolo scorso pareva di scorgere su Marte.

«Ma i canali di Europa non sono illusori, sebbene ovviamente non siano artificiali. Inoltre, sono davvero pieni d’acqua — o, per lo meno, di ghiaccio. Infatti questo satellite di Giove è completamente ricoperto da un oceano profondo in media una cinquantina di chilometri.

«Europa è molto lontana dal Sole, e quindi la temperatura alla superficie è molto bassa — diciamo centocinquanta gradi sotto zero. Dunque ci saremmo aspettati di trovarla tutta ricoperta da un immenso strato di ghiaccio.

«Invece non è così per via dell’intenso calore generato all’interno del satellite dal gioco delle attrazioni gravitazionali. È questa l’origine dei grandi vulcani che troviamo su un altro satellite di Giove, Io.

«Ecco quindi che il ghiaccio si scioglie, si rompe, si ricongela in continuazione, formando spaccature e crepacci simili a quelli che vediamo nel pack dei poli terrestri. È questa intricata rete di crepacci che ora sto guardando; per la maggior parte si sono formati molto tempo fa, forse milioni di anni fa, e questi appaiono più scuri. Ma altri sono di un bianco purissimo: sono quelli che si sono aperti recentemente, e questi sono ricoperti da una crosta di ghiaccio spessa solo qualche centimetro.

«La Tsien è atterrata proprio accanto a uno di questi crepacci di recente formazione — quello lungo millecinquecento chilometri che abbiamo battezzato Grande Canale. Immagino che i cinesi intendano rifornire d’acqua i serbatoi di propellente, in modo da poter esplorare i satelliti di Giove e quindi ripartire per la Terra. L’operazione potrebbe non essere facile, ma sicuramente avranno studiato con grande cura il luogo scelto per l’atterraggio e sanno quello che fanno.

«È chiaro, adesso, perché hanno voluto correre un simile rischio — e perché avanzano pretese su Europa. Europa è un ottimo punto di rifornimento, e potrebbe rappresentare la chiave di tutto il sistema solare…»

Ma era andata in tutt’altro modo, pensò sir Lawrence sistemandosi più comodamente nella poltrona sotto il gran disco pieno di macchie scure e di linee che riempiva tutto il cielo artificiale del planetario. Gli oceani di Europa erano ancora inaccessibili all’umanità, e per motivi che continuavano a restare misteriosi. E non solo inaccessibili, ma invisibili; da quando Giove si era trasformato in sole, entrambi i satelliti interni erano scomparsi dietro una coltre di vapori che salivano ribollendo dalle loro viscere. L’Europa che stava guardando in quel momento era come appariva nel 2010. Ora era tutta diversa.

A quel tempo lui era ancora un bambino o quasi, ma ricordava bene con che orgoglio — malgrado egli non approvasse affatto le scelte politiche della Cina — aveva saputo che i suoi compatrioti stavano per mettere piede per la prima volta su un mondo inesplorato.

Su Europa non c’erano telecamere, naturalmente, a riprendere l’atterraggio; ma ne era stata fatta una ricostruzione veramente eccellente. La scena sembrava vera: l’astronave condannata scendeva silenziosa dal cielo nero verso la ghiacciata superficie di Europa, e si posava accanto alla striscia biancastra di ghiaccio fresco cui era stato imposto il nome di Grande Canale.