E al di là della nostra, aveva pensato spesso Del Marco. Eppure di due cose era sicuro, anche se dubitava che fosse possibile dimostrarle.
Quello era il posto in cui — nel tempo e nello spazio — aveva avuto in realtà inizio la specie umana.
E quel monolito era il primo in assoluto tra tutti i suoi molteplici dèi.
9. SKYLAND
«C’erano topi in camera mia ieri notte», si lamentò Poole, scherzando solo in parte. «C’è qualche possibilità di trovare un gatto?»
La dottoressa Wallace parve sconcertata, poi si mise a ridere.
«Devi aver sentito uno dei microrobot della pulizia… chiederò che li programmino in modo da non disturbarti. Cerca di non schiacciarlo, quando ne cogli uno all’opera; se lo fai, chiederà aiuto, e tutti i suoi amichetti verranno a raccogliere i suoi pezzettini.»
Tante cose da imparare e in così poco tempo! No, non era vero, riflette Poole. Anzi era probabile che avesse davanti a sé almeno un secolo, grazie alla scienza medica di quell’epoca. Ma quel pensiero lo riempì di apprensione invece che di piacere.
Ora era finalmente in grado di seguire con facilità la maggior parte delle conversazioni e aveva imparato a pronunciare le parole in modo che Indra non fosse l’unica in grado di capirlo. Era molto contento che quella specie di inglese, chiamato anglo, fosse ora la lingua più diffusa del mondo, benché si parlasse ancora francese, russo e cinese.
«Ho un altro problema, Indra… e credo che tu sia l’unica a potermi aiutare. Perché, quando dico «Dio», la gente appare imbarazzata?»
Indra non appariva affatto imbarazzata; anzi, si mise a ridere.
«È una storia molto complicata. Come vorrei che il mio vecchio amico, il dottor Khan, fosse qui a spiegartela! Ma è su Ganimede, a guarire ogni Vero Credente che gli riesce di trovare. Quando tutte le antiche religioni furono screditate ricordami di parlarti di papa Pio XX qualche volta, uno dei più grandi uomini della storia ci ritrovammo ad avere ancora bisogno di una parola per la Causa Prima, o il Creatore dell’universo, posto che ce ne sia uno…
«C’erano molte proposte… Deus, Theos, Jovis, Brahma… le avevamo provate tutte e alcune di loro erano ancora usate, in particolare la preferita di Einstein, «il Vecchio». Ma oggi sembra che sia di moda Deus.»
«Cercherò di ricordarlo, ma mi sembra un po'’ sciocco.»
«Ti ci abituerai: ti insegnerò qualche altra imprecazione ragionevolmente educata, da usare quando vuoi esprimere le tue sensazioni…»
«Hai detto che tutte le antiche religioni hanno perso credito. E allora in che cosa crede la gente oggi?»
«Nel meno possibile. Siamo tutti o deisti o teisti.»
«Non ci capisco niente. Dammi qualche definizione, per piacere.»
«Erano leggermente differenti ai tuoi tempi, ma eccoti le ultimissime versioni. I teisti credono che esista non più di un Dio; i deisti che non esista meno di un Dio.»
«Temo che la distinzione sia troppo sottile per me.»
«Ma non per altri. Ti stupiresti se sapessi quante aspre controversie ha suscitato. Cinque secoli fa, qualcuno ha utilizzato quella che era nota come matematica surreale per provare che c’è un numero infinito di gradazioni tra teisti e deisti. Ovviamente, come quasi tutti quelli che si occupano dell’infinito, divenne pazzo. Tra l’altro i deisti più noti erano americani… Washington, Franklin, Jefferson.»
«Un po'’ prima della mia epoca, anche se ti sorprenderebbe sapere quanto poche siano le persone che lo capiscono.»
«E adesso le buone notizie. Joe… il professor Anderson… ha finalmente dato il suo… com’è l’espressione?… il suo OK. Sei abbastanza in forma da spostarti in una sede definitiva.»
«Questa è davvero una buona notizia. Tutti qui mi hanno trattato benissimo, ma sono contento di avere un posto tutto per me.»
«Avrai bisogno di abiti nuovi e di qualcuno che ti mostri come indossarli. E ti aiuti con le centinaia di piccole incombenze quotidiane che possono far perdere un sacco di tempo. Per cui ci siamo presi la libertà di cercarti un assistente. Vieni pure, Danil…»
Danil era un ometto dal colorito marrone chiaro sui venticinque anni, che colse di sorpresa Poole evitando il solito saluto palmo a palmo con l’automatico scambio di informazioni. E presto apparve subito chiaro che Danil non possedeva una Identità; ogni volta che ce n’era bisogno, esibiva un rettangolino di plastica che all’apparenza serviva allo stesso scopo delle «carte intelligenti» del XXI secolo.
«Danil sarà anche la tua guida e il tuo… com’era quella parola? Non riesco a ricordarmela mai… fa rima con «balletto». È stato addestrato appositamente per questi compiti. Sono sicuro che lo troverai del tutto soddisfacente.»
Benché Poole apprezzasse quel gesto di cortesia, nondimeno si sentì un po'’ a disagio. Un valletto, perbacco! Non ricordava nemmeno di averne mai visto uno; ai suoi tempi erano già una specie rara e in via d’estinzione. Cominciò a sentirsi come un personaggio di un romanzo inglese dei primi del XX secolo.
«E mentre Danil organizza il tuo trasloco, noi faremo un viaggetto di sopra… al Livello Lunare.»
«Splendido. Quant’è lontano?»
«Oh, circa dodicimila chilometri.»
«Dodicimila chilometri! Ci vorranno ore!»
Indra apparve stupita da quella osservazione; poi sorrise.
«No, non quanto pensi. Non abbiamo ancora un trasportatore di persone come in Star Trek, anche se credo che ci stiano già lavorando. Per cui puoi scegliere, benché io sappia già che cosa deciderai di prendere. Possiamo salire con un ascensore esterno e ammirare il panorama… oppure con uno interno e goderci un buon pranzo e qualche cosa di divertente.»
«Non riesco a concepire che si possa voler usare quello interno.»
«Ti sorprenderebbe. Da le vertigini a molti… specie ai visitatori che vengono da sotto. Anche alpinisti che dicono di non soffrire di vertigini possono cominciare a diventare verdastri quando le altezze sono misurate in migliaia di chilometri invece che di metri.»
«Rischierò», rispose Poole con un sorriso. «Sono stato più in alto.»
Dopo essere passati attraverso un duplice insieme di camere a tenuta stagna nella parete esterna della Torre (era la sua immaginazione, o provava uno strano senso di disorientamento?), entrarono in quella che avrebbe potuto essere la platea di un piccolissimo teatro. File di dieci sedili erano allineate su cinque ordini, e tutte erano rivolte verso una delle enormi finestre panoramiche che Poole continuava a trovare sconcertanti. Non gli riusciva proprio di dimenticare le centinaia di tonnellate di pressione interna che lottavano per uscire con un botto nello spazio.
La dozzina circa di passeggeri, che probabilmente non aveva mai pensato a queste cose, sembrava perfettamente a proprio agio. Tutti sorrisero quando lo riconobbero, annuirono cortesemente, poi si misero ad ammirare il panorama.
«Benvenuti nel Salone del Cielo», disse l’inevitabile voce impersonale. «La salita comincerà tra cinque minuti. Troverete rinfreschi e toilette al piano di sotto.»
Ma quanto durerà questo viaggio? si chiese Poole. Stiamo per percorrere più di ventimila chilometri, fra andata e ritorno: nulla a che vedere con qualsiasi salita in ascensore che abbia sperimentato sulla Terra.
Mentre aspettava che la salita iniziasse, si godette lo stupefacente panorama che si estendeva duemila chilometri più sotto. Nell’emisfero settentrionale era inverno, ma il clima era ovviamente cambiato in modo drastico, perché c’era poca neve a sud del Circolo Polare Artico.