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Frank Poole si era sempre vantato di possedere un notevole senso di autocontrollo e non avrebbe mai pensato che, da adulto, avrebbe emesso un urlo di puro terrore. Ma, come ogni ragazzo della sua generazione, aveva visto tutti i film della serie Jurassic e sapeva riconoscere un dinosauro quando se lo trovava di fronte.

«Mi spiace moltissimo», esclamò Indra, con aria decisamente contrita. «Mi sono scordata di avvertirti.»

I nervi scossi di Poole tornarono alla normalità. Era evidente che non poteva esserci pericolo in quel mondo forse anche troppo ordinato, tuttavia…

Il dinosauro gli restituì l’occhiata con disinteresse evidente e totale, poi rientrò nel capanno e ne uscì di nuovo con un rastrello e un paio di cesoie, che infilò in una borsa appesa a una spalla. Si allontanò da loro con un’andatura da uccello senza guardarsi alle spalle mentre spariva dietro alcuni girasoli alti una decina di metri.

«Avrei dovuto spiegartelo», disse Indra con aria dispiaciuta. «Preferiamo usare biorganismi, se appena si può, al posto dei robot… Immagino che si tratti di sciovinismo al carbonio! Insomma, ci sono pochi animali in possesso di abilità manuali e li usiamo tutti in un’occasione o in un’altra.

«E qui c’è un mistero che nessuno è in grado di spiegare. Tu magari pensi che erbivori geneticamente perfezionati come scimpanzé e gorilla sarebbero adatti a questo tipo di lavoro. Be’, non lo sono; non hanno abbastanza pazienza.

«E invece i carnivori come il nostro amico qui sono ottimi ed è facile addestrarli. C’è di più… un altro paradosso!… dopo la modificazione, diventano docili e socievoli. Certo, ci sono almeno mille anni di ingegneria genetica dietro di loro, ma guarda che cosa hanno fatto gli uomini primitivi ai lupi, semplicemente a furia di provarci!»

Indra rise e continuò: «Magari non ci credi, Frank, ma sono anche delle ottime babysitter… i bambini li adorano! C’è una barzelletta vecchia di cinquecento anni: «Affideresti i tuoi figli a un dinosauro? Già… con il rischio di fargli del male!»»

Poole scoppiò a ridere, in parte anche come reazione, per la vergogna di aver avuto paura. Per cambiare argomento, fece a Indra la domanda che ancora lo assillava.

«Tutto questo», affermò, «è magnifico… ma perché cacciarsi in tanti guai, quando chiunque nella Torre può ottenere ciò che gli serve e altrettanto rapidamente?»

Indra lo guardò pensierosa, soppesando le sue parole.

«Non è affatto vero. È scomodo… anzi, pericoloso… per chiunque viva sopra il livello di mezzo g scendere sulla Terra, anche su una poltrona a cuscino d’aria.»

«Questo non vale per me, poco ma sicuro! Sono nato e cresciuto a un g… e non ho mai trascurato di fare i miei esercizi sulla Discovery.»

«Meglio che tu ne parli con il professor Anderson. Forse non dovrei dirtelo, ma è in corso un gran dibattito sull’attuale sistemazione del tuo orologio biologico. Pare che non si sia mai fermato completamente e le supposizioni sulla tua età equivalente vanno da cinquanta a settant’anni. Anche se ti senti bene, non puoi aspettarti di recuperare tutte le tue forze… dopo mille anni!»

Adesso comincio a capire, si disse cupo Poole. Ecco spiegata l’evasività di Anderson e tutti i test di reattività muscolare a cui sono stato sottoposto.

Ho fatto tutta la strada da Giove, sono arrivato a duemila chilometri dalla Terra… ma per quanto la visiti spesso nella realtà virtuale, potrebbe darsi che non possa mai più camminare sulla superficie del mio pianeta natale.

Non so come riuscirò ad affrontare questa situazione…

10. OMAGGIO A ICARO

La depressione passò rapidamente: c’era tanto da fare e da vedere. Un migliaio di vite non sarebbe bastato e il problema era scegliere tra le miriadi dì svaghi che quell’epoca era in grado di offrire. Cercò, non sempre con successo, di evitare le banalità e di concentrarsi sulle cose realmente importanti, in particolare la sua educazione.

La calotta cerebrale — e la tastiera delle dimensioni di un libro che vi si accompagnava, inevitabilmente chiamata il jukebox cerebrale era di enorme utilità in quel posto. Ben presto possedette una piccola biblioteca di tavolette di «sapere istantaneo», ognuna contenente tutto il materiale necessario a un corso di laurea. Dopo averne introdotta una nel jukebox cerebrale, dandole la velocità e gli assestamenti d’intensità che meglio gli si confacevano, appariva un lampo di luce, seguito da un periodo di incoscienza che poteva durare anche un’ora. Ogni volta che si risvegliava, sembrava che si fossero aperte nuove zone della mente, benché lui venisse a conoscenza della loro esistenza solo quando le cercava. Era quasi come essere il proprietario di una biblioteca che avesse improvvisamente scoperto scaffali di libri che non sapeva di possedere.

Nella maggior parte dei casi poteva disporre a suo piacimento del proprio tempo. Per puro senso del dovere — e anche per gratitudine — si sottoponeva a qualsiasi richiesta gli giungesse da parte di scienziati, storici, scrittori e artisti attivi nei media, anche se spesso non ne comprendeva il significato. Inoltre riceveva inviti in continuazione dai cittadini delle quattro Torri, ma in realtà era costretto a declinarli tutti quanti.

Più allettanti — e i più difficili da rifiutare — erano gli inviti che venivano dal magnifico pianeta che si stendeva sotto di lui. «Certo che sopravviverebbe», gli aveva spiegato il professor Anderson, «se vi andasse per un breve periodo con il corretto sistema di supporto, ma non se la spasserebbe. E potrebbe indebolire ulteriormente il suo sistema neuromuscolare. In realtà, non si è mai ripreso pienamente da quel sonno millenario.»

Indra Wallace, l’altra sua guardiana, lo proteggeva dalle intrusioni non necessarie e lo consigliava sulle richieste da accettare e su quelle da rifiutare cortesemente. Da solo, Poole non avrebbe mai capito la struttura sociopolitica di quella cultura incredibilmente complessa, ma ben presto si accorse che c’erano alcune migliaia di supercittadini, anche se in teoria tutte le distinzioni di classe erano state abolite. George Orwell aveva avuto ragione: ci sarebbe sempre stato qualcuno più uguale di altri.

A volte, condizionato dalla sua esperienza del XXI secolo, Poole si era chiesto chi pagasse per quella ospitalità — o forse un giorno gli avrebbero presentato l’equivalente di un enorme conto d’albergo? Ma Indra lo aveva prontamente rassicurato: lui era un pezzo da museo unico e inestimabile, per cui non avrebbe mai dovuto preoccuparsi di considerazioni così banali. Gli avrebbero fornito tutto quello che voleva entro i limiti della ragionevolezza. Poole si chiese quali fossero quei limiti, non immaginando che un giorno avrebbe cercato di scoprirli.

* * *

Le cose più importanti nella vita capitano per caso: aveva predisposto il suo schermo murale sulla scansione casuale e senza suono, quando un’immagine straordinaria aveva attirato la sua attenzione.

«Smetti la scansione! Alza il volume!» esclamò a voce inutilmente alta.

Riconobbe la musica, ma ci vollero alcuni minuti prima che riuscisse a identificarla. Il fatto che la parete fosse piena di esseri umani alati che piroettavano con grazia uno attorno all’altro era d’indubbio aiuto. Ma persino Ciajkowski sarebbe rimasto assolutamente sconcertato nel vedere quella esecuzione del Lago dei cigni — con i ballerini che volavano davvero…

Poole guardò incantato per parecchi minuti fin quando non si convinse completamente che si trattava di realtà e non di simulazione: anche ai suoi tempi non si poteva mai essere del tutto sicuri. Era probabile che il balletto venisse eseguito in uno dei tanti ambienti a bassa gravità — uno molto vasto, a giudicare da alcune immagini. Avrebbe potuto persino essere lì, nella Torre Africana.

Ci voglio provare, decise Poole. Non aveva mai perdonato l’Agenzia spaziale per aver messo al bando uno dei suoi massimi piaceri, il lancio in formazione con paracadute ad apertura ritardata, anche se poteva capire che l’Agenzia non volesse rischiare di perdere un costoso investimento. I dottori avevano decisamente disapprovato il suo precedente incidente con il deltaplano; per fortuna le sue giovani ossa si erano ristabilite del tutto.