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Spiegare cosa? pensò Poole piuttosto seccato. Ma almeno parla inglese, anche se non riesco a capire con quale accento…

Anderson doveva essere già stato avvertito perché la porta si aprì pochi istanti più tardi — offrendo a Poole la possibilità di dare un’occhiata a una piccola folla di curiosi che sbirciavano. Cominciò a sentirsi come un animale appena esposto in uno zoo.

Il professor Anderson era un ometto azzimato i cui tratti sembravano un miscuglio degli aspetti più caratteristici di diverse razze cinese, polinesiana, nordica mescolate nella più assoluta confusione. Salutò Poole alzando il palmo destro, poi si accorse subito dell’equivoco e gli strinse la mano, ma con una bizzarra esitazione, come se stesse provando a fare un gesto del tutto sconosciuto.

«Lieto di vederla così in forma, signor Poole… La rimetteremo in piedi in un baleno.»

Di nuovo quello strano accento e quel modo di parlare strascicato — ma i modi rassicuranti erano quelli di tutti i medici, in tutti i luoghi e in tutte le età.

«Mi fa piacere saperlo. Ora forse lei può rispondere ad alcune domande…»

«Certo, certo. Solo un minuto.»

Anderson parlò così rapidamente e a voce così bassa alla caposala che Poole riuscì a cogliere solo poche parole, molte delle quali gli erano del tutto sconosciute. Poi la caposala fece un cenno a un’infermiera, che aprì un armadio a muro e ne tirò fuori una stretta striscia di metallo. Dopo di che procedette ad avvolgerla attorno alla testa di Poole.

«A che serve?» chiese Poole, mettendosi a fare il paziente difficile, quelli che infastidiscono tanto i medici perché vogliono sempre sapere tutto quello che si sta facendo. «È per l’elettroencefalogramma?»

Il professore, la caposala e le infermiere apparvero tutti egualmente sconcertati. Poi un lento sorriso si fece strada sul volto di Anderson.

«Ah… elettro… ence… falo… gramma», disse scandendo, come se dovesse pescare la parola dai recessi della memoria.

«Sì, proprio così. Vogliamo solo controllare le sue funzioni cerebrali.»

Il mio cervello funzionerebbe alla perfezione se solo me lo lasciaste usare, brontolò fra sé Poole. Ma almeno sembra che si faccia qualcosa… finalmente.

«Signor Poole», cominciò Anderson, sempre parlando con quella voce curiosamente artefatta, come se si stesse cimentando in una lingua straniera, «lei sa di certo di essere stato… reso inabile… in un grave incidente, mentre lavorava all’esterno della Discovery.»

Poole annuì.

«Comincio a sospettare», disse caustico, «che «reso inabile» non renda interamente l’idea.»

Anderson apparve visibilmente sollevato e un lento sorriso gli si dipinse sul volto.

«Lei ha assolutamente ragione. Mi dica cosa crede che le sia successo.»

«Be’, nella migliore delle ipotesi, dopo che ho perso i sensi, Dave Bowman mi ha salvato e mi ha riportato nell’astronave. Come sta Dave? Non mi dite niente?»

«A tempo debito… e nella peggiore delle ipotesi?»

A Frank Poole sembrò che un vento gelido gli soffiasse delicatamente dietro il collo. Il sospetto che via via si era formato nel suo cervello cominciò a prendere corpo.

«Che sono morto, ma sono stato riportato qui… dovunque sia «qui»… e voi siete stati capaci di farmi rivivere. Grazie…»

«Assolutamente corretto. E lei è tornato sulla Terra. Be’, più o meno.»

Cosa voleva dire quel «più o meno»? C’era sicuramente un campo gravitazionale lì — per cui si trovava probabilmente all’interno della ruota a lenta rotazione di una stazione spaziale orbitante. Ma non importava: c’era ben altro su cui riflettere.

Poole eseguì qualche rapido calcolo mentale. Se Dave lo avesse messo in ibernazione, avesse scongelato il resto dell’equipaggio e portato a termine la missione su Giove — diamine, sarebbe rimasto «morto» almeno per cinque anni!

«Quanti ne abbiamo oggi?» domandò con la maggior calma possibile.

Il professore e la caposala si scambiarono un’occhiata. Di nuovo Poole sentì quel vento freddo alla base del collo.

«È meglio che le dica, signor Poole, che Bowman non la salvò. Credette… e non possiamo rimproverarglielo… che lei fosse inequivocabilmente morto. Inoltre doveva affrontare una crisi di assoluta gravità che minacciava la sua stessa sopravvivenza…

«Per cui lei è andato alla deriva nello spazio, è passato attraverso il sistema di Giove e si è diretto verso le stelle. Fortunatamente lei era talmente al di sotto del punto di congelamento che non c’era alcun metabolismo… ma è quasi un miracolo che siamo riusciti a trovarla. Lei è uno degli uomini più fortunati che esistano. No… che siano mai esistiti!»

Ah sì? si domandò tetro Poole. Cinque anni, che diamine! Avrebbe potuto essere un secolo… o anche più.

«Mi dica tutto», ordinò.

Il professore e la caposala sembrarono consultare un invisibile monitor. Quando si guardarono l’un l’altra e fecero un cenno di assenso, Poole immaginò che fossero tutti inseriti nel circuito di informazioni dell’ospedale, collegato alla striscia di metallo che aveva attorno alla testa.

«Frank», disse il professor Anderson, calandosi tranquillamente nella parte del vecchio medico di famiglia, «sarà uno shock per lei, ma è in grado di sopportarlo… e prima lo sa, meglio è.

«Siamo vicini all’inizio del Quarto Millennio. Mi creda… lei ha lasciato la Terra quasi mille anni fa.»

«Le credo», rispose calmo Poole. Poi, con suo grande fastidio, la stanza cominciò a ruotargli attorno e non seppe più nulla.

Quando ebbe ripreso conoscenza, scoprì di non essere più in una squallida stanza d’ospedale, ma in una lussuosa suite con piacevoli immagini che cambiavano di continuo sulle pareti. Alcune erano quadri famosi che ben conosceva, altre mostravano paesaggi di terra e di mare che parevano provenire dai suoi tempi. Non c’era nulla di estraneo o sconvolgente: quello sarebbe giunto più tardi, immaginò.

Ciò che lo circondava adesso era stato chiaramente programmato con cura; si chiese se ci fosse l’equivalente di uno schermo televisivo da qualche parte (quanti canali aveva il Terzo Millennio?) ma non vide traccia di alcun telecomando vicino al letto. C’erano molte cose che avrebbe dovuto apprendere in questo nuovo mondo: era come un selvaggio che si fosse imbattuto all’improvviso nella civiltà.

Ma prima doveva recuperare le forze — e imparare la lingua; neppure l’avvento della registrazione sonora, vecchia già di un secolo all’epoca in cui era nato Poole, aveva impedito importanti mutamenti nella grammatica e nella pronuncia. E c’erano migliaia di parole nuove, perlopiù nell’ambito della scienza e della tecnologia, benché spesso fosse in grado di indovinarne con perspicacia il significato.

Ma il fatto più frustrante erano le miriadi di nomi propri famosi o meno che si erano accumulati per un millennio e che non significavano niente per lui. Per settimane, gran parte delle sue conversazioni erano state interrotte da succinte biografie, fin quando non aveva deciso di farsi una banca dati.

Mentre Poole riacquistava le forze, il numero di visitatori aumentava in continuazione, benché sempre sotto l’occhio vigile del professor Anderson. Fra questi c’erano specialisti, studiosi di varie discipline e — con grande interesse dello stesso Poole — comandanti di astronavi.

Non c’era molto che potesse raccontare ai medici e agli storici che non fosse registrato da qualche parte della gigantesca banca dati del genere umano, ma spesso era in grado di offrire loro scorciatoie e nuove prospettive riguardo agli eventi della sua epoca. Benché lo trattassero con il massimo rispetto e ascoltassero pazienti quando cercava di rispondere alle loro domande, sembravano restii a rispondere alle sue. Poole cominciò a pensare che lo proteggessero eccessivamente da uno shock culturale e si chiese un po'’ per scherzo e un po'’ sul serio come sarebbe potuto fuggire dalla sua suite. Nelle rare occasioni in cui era rimasto solo, non si meravigliò di scoprire che la porta era chiusa a chiave.