— Su, su, Tom: essere smemorati è esattamente l'opposto di essere ossessionati. - Non sembrava nemmeno irritato, solo divertito, come se Tom fosse stato un ragazzino ignorante. Tom si chiese se Don si comportasse così anche sul posto di lavoro. Se lo faceva, si spiegava perché cambiasse impiego tanto di frequente.
— Non biasimare Lou per le mie regole — disse. Don fece spallucce ed entrò in casa per prendere il suo equipaggiamento.
Pochi minuti di pace… Tom sedette accanto a Lucia che aveva cominciato gli stiramenti. Marjory si mise dall'altra parte di Lucia e si piegò in avanti, cercando di toccarsi le ginocchia con la fronte.
— Lou dovrebbe venire stasera — disse Lucia dando un'occhiata in tralice a Marjory.
— Mi chiedevo se non lo abbia disturbato chiedendogli di venire con me all'aeroporto — osservò la ragazza.
— Oh, non credo — la rassicurò Lucia. — Direi anzi che era molto contento. È successo qualcosa?
— No. Abbiamo incontrato la mia amica e io poi ho riaccompagnato qui Lou, nient'altro. Don ha detto qualcosa sulla sua attrezzatura…
— Oh, Tom gli aveva fatto riporre un mucchio di cose, e Don si stava preparando a buttare tutto sulle rastrelliere come capitava. Tom gliele ha fatte disporre in ordine. Don lo ha visto fare tante volte che ormai dovrebbe farlo a occhi chiusi, ma… è inutile, non vuole imparare. Adesso che non sta più con Helen, sta ritornando il ragazzotto confusionario che era anni fa. Quanto vorrei che si decidesse a crescere.
Tom ascoltava senza metter bocca. Finì gli esercizi e si alzò proprio mentre Lou arrivava svoltando l'angolo di casa.
Tom guardava Lou che stava eseguendo gli stiramenti: metodico come sempre, preciso. Alcuni potevano giudicare Lou monotono, Tom invece lo trovava estremamente interessante. Trent'anni prima, non avrebbe mai potuto condurre una vita normale: cinquant'anni prima avrebbe passato la vita in un'istituzione. Ma i miglioramenti nell'intervento precoce, nei metodi d'insegnamento e nelle tecniche specifiche di apprendimento guidato gli avevano conferito l'abilità di trovare un buon lavoro, di condurre una vita indipendente e di inserirsi nel mondo normale quasi alla pari.
Era un miracolo di adattamento, e secondo Tom anche un poco triste. Persone più giovani di Lou, nate con lo stesso handicap neurologico, potevano venir curate perfettamente con la terapia genetica nei primi anni di vita. Non dovevano affrontare le faticose terapie che Lou aveva padroneggiato con tanta pena e fatica.
E adesso lui era lì e si esercitava alla scherma. Tom ricordò per quanto tempo era sembrato che la scherma di Lou potesse essere soltanto una parodia della scherma autentica. A ogni stadio di sviluppo lui aveva dovuto affrontare gli stessi inizi lenti ed estenuanti e i progressi altrettanto lenti e ancora più estenuanti… nei passaggi dal fioretto alla spada, dalla spada allo stocco, dall'arma singola alle combinazioni di fioretto e daga, spada e daga, stocco e daga e così via.
Si era impadronito di ciascuna tecnica per puro sforzo, non per talento innato. Eppure, ora che aveva acquisito le capacità fisiche, le attitudini mentali che costavano anni di esercizio agli altri schermidori sembravano diventargli familiari in pochi mesi.
Tom intercettò lo sguardo di Lou e gli fece cenno di avvicinarsi. — Ricorda quel che ti ho detto: da ora in poi dovrai esercitarti solo con i migliori.
— Certo — assentì Lou, ed eseguì il saluto. Lui e Tom si girarono intorno. Tom cambiava direzione, parava, sfalsava, inquartava e fingeva di abbassare la guardia, ma Lou non perdeva una battuta. C'era uno schema nei suoi movimenti, oltre alla risposta a quelli di Tom? Tom non avrebbe saputo dirlo. Ma sempre più spesso vedeva che Lou era vicino a penetrare la sua guardia… e ciò significava, pensò Tom, che lui stesso stava seguendo uno schema e che Lou lo aveva identificato.
— Analisi degli schemi — disse a voce alta, proprio nel momento in cui la lama di Lou eludeva la sua e lo toccava al petto. — Avrei dovuto capirlo!
— Mi dispiace — si scusò Lou. Lo diceva quasi sempre, e assumeva un'aria imbarazzata.
— No, mi hai toccato legittimamente — disse Tom. — Stavo cercando di capire cosa stavi facendo, invece di concentrarmi sull'incontro. Tu stai usando l'analisi degli schemi, vero?
— Sì — disse Lou. La sua voce esprimeva una certa sorpresa, e Tom si chiese se non stesse pensando: "Perché, non è questo che fanno tutti?".
— Io non sono in grado di farlo in tempo reale — spiegò Tom. — A meno che qualcuno usi uno schema proprio elementare.
— Quello che faccio non è giusto, allora? — chiese Lou.
— È giustissimo, se sei capace di farlo — rispose Tom. — Inoltre è la caratteristica del bravo schermidore… o anche del bravo giocatore di scacchi. Tu giochi a scacchi?
— No.
— Be'… allora vediamo se riesco a mantenere la mia attenzione fissa sull'incontro e prendermi la rivincita. — I due ricominciarono, ma Tom trovò difficile concentrarsi. A un certo punto gli parve di trovare una falla nella guardia di Lou e attaccò, ma solo per sentire sul suo petto il colpo di un altro tocco.
— Diamine, Lou, se continui a fare così, dovrò promuoverti ai tornei — disse, scherzando solo a metà. Lou s'irrigidì. — L'idea non ti garba?
— Io… io non credo che dovrei tirar di scherma in un torneo — rispose Lou.
— Dipende solo da te. — Tom eseguì di nuovo il saluto e si chiese perché Lou si era espresso in quel modo. Non aver voglia di entrare nelle competizioni era un conto, pensare che non avrebbe dovuto farlo era un altro. Se Lou fosse stato normale, avrebbe potuto partecipare ai tornei già da tre anni. Tom cercò di pensare solo all'incontro e di rendere i suoi attacchi più casuali.
Infine però gli mancò il fiato e dovette fermarsi, ansimando. — Ho bisogno di un intervallo, Lou. Vieni qui e rivediamo… — Lou lo seguì e sedette sul muretto che bordava il cortile mentre Tom prendeva una delle sedie. Osservò che Lou era sudato, ma non aveva affatto il respiro affannoso.
Tom infine si ferma, ansimando, e si dichiara troppo stanco per continuare. Mi conduce in disparte mentre altri due salgono sulla pedana. Il suo respiro è molto affannoso, tanto che lo costringe a spaziare le parole, così lo capisco meglio. Sono contento che lui mi creda tanto bravo.
— Ma guarda… tu non hai ancora il fiatone. Va' a fare un altro incontro, così io mi riposo un poco e poi potremo parlare.
Guardo Marjory che siede accanto a Lucia; avevo visto che lei mi osservava mentre mi battevo con Tom. Adesso lei ha abbassato gli occhi e ha la faccia rosea. Mi si serra lo stomaco, ma mi alzo e mi avvicino a lei.
— Ciao, Marjory — dico.
Lei alza gli occhi e mi offre un sorriso radioso. — Ciao, Lou — risponde. — Come ti va, stasera?
— Bene — dico. — Vorresti… vuoi fare un incontro con me?
— Ma certo. — Si china a raccogliere la maschera e se la infila. Anch'io rimetto la mia e adesso posso guardarla senza esser visto; il mio cuore riprende a battere normalmente.
Cominciamo con una ricapitolazione di sequenze dal manuale di scherma di Saviolo: passo passo, avanti e indietro, ci giriamo intorno e ci esploriamo. L'incontro è insieme rituale e conversazione. Io compenso le sue stoccate con le mie parate e le sue parate con le mie stoccate. I movimenti di Marjory sono più morbidi e meno scattanti di quelli di Tom. Giro, passo, domanda, risposta, il nostro è un dialogo in acciaio al ritmo di una musica che mi risuona nella mente.
La tocco quando lei fa una mossa che non mi aspetto. Non volevo colpirla. — Mi dispiace — dico. La mia musica esita e tace. Faccio un passo indietro.
— No… era un buon colpo — dice lei. — Non avrei dovuto abbassare la guardia…
— Ti ho fatto male?
— No… continuiamo.
Vedo lampeggiare i suoi denti dietro la maschera: un sorriso. Saluto e lei risponde; riprendiamo la danza. Cerco di muovermi con cautela e attraverso il tocco delle lame sento che lei è più ferma, più concentrata… si muove più in fretta. Io mantengo lo stesso ritmo; lei mi tocca sulla spalla. Dopo di ciò cerco di seguire il suo tempo, in modo che l'incontro duri il più a lungo possibile.