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Anche troppo presto però sento che il suo respiro si fa più pesante. Marjory è pronta a smettere e a riposare. Ci ringraziamo a vicenda e ci stringiamo la mano. Mi sento felice.

— È stato bello — dice lei. — Però io dovrei smetterla di cercare scuse per non esercitarmi. Se non avessi trascurato tanto i miei pesi non mi farebbe così male il braccio.

— Io mi esercito ai pesi tre volte alla settimana — dico.

— Lo dovrei fare anch'io — dice lei. — E avevo l'abitudine di farlo, ma adesso ho un nuovo impegno che mi sta divorando tutto il tempo.

Probabilmente è la ricerca di cui parlava Emmy.

— Davvero? Che impegno? — domando, e rimango quasi senza respiro in attesa della risposta.

— Sai, il mio campo sono i sistemi di segnalazione neuromuscolari — dice Marjory. — Stiamo lavorando su possibili terapie per alcune malattie genetiche neuromuscolari che si sono rivelate non suscettibili alle terapie genetiche.

Io annuisco: — Come la distrofia muscolare? — chiedo.

— Sì, quella è una — dice Marjory. — È da lì, anzi, che è nato il mio interesse per la scherma.

— Come mai?

— Anni fa stavo andando a una riunione interdipartimentale e passai per un cortile dove Tom stava dando una dimostrazione di scherma. Vedi, fino allora io avevo pensato alle funzioni muscolari da un punto di vista medico, non dal punto di vista di chi esercita i muscoli… Così rimasi lì a guardare gli schermidori e a pensare alla biochimica delle cellule muscolari, quando Tom all'improvviso mi chiese se mi sarebbe piaciuto provare. Credo avesse interpretato la mia aria assorta per interesse alla scherma, mentre invece io stavo osservando la muscolatura delle gambe.

— Pensavo che tu avessi cominciato all'università — dico.

— Ero all'università, infatti. Ero una studentessa allora.

— Oh… e ti sei sempre interessata ai muscoli?

— In un certo senso, sì. Adesso però la ricerca si sta orientando sempre più verso il campo neuromuscolare… o piuttosto ci si stanno orientando i nostri datori di lavoro. Sai, non sono io a dirigere le ricerche. — Mi guarda negli occhi a lungo; io devo distogliere i miei perché non riesco a sostenere le mie sensazioni. — Spero che non ti sia dispiaciuto accompagnarmi all'aeroporto, Lou. Mi sentivo più al sicuro in tua compagnia.

Mi sento arrossire. — Io non… non mi sono sentito… — M'interrompo e inghiotto. — Sono stato contento di venire con te — dico, riprendendo il controllo della mia voce.

— Ne sono stata contenta anch'io — dice Marjory.

Non dice altro. Sediamo vicini, e vorrei tanto rimanere così tutta la notte, se fosse possibile. Mi guardo intorno. Max, Tom e Susan si stanno battendo due contro uno. Don si è seduto su una sedia dall'altra parte del cortile: mi sta fissando, ma distoglie gli occhi quando lo guardo.

Tom salutò con la mano Max, Susan e Marjory che se ne stavano andando insieme. Quando si voltò, Lou era ancora lì.

— C'è una ricerca — disse. — Una ricerca nuova. Forse un trattamento.

Tom percepì più l'imbarazzo e la tensione nella voce di Lou che il significato delle sue parole. Lou aveva paura: usava quel tono solo quando era inquieto.

— È ancora allo stadio sperimentale o è arrivata a quello operativo?

— È sperimentale… ma loro, all'ufficio, vogliono… il mio capo ha detto… vogliono che io mi ci sottoponga.

— A un trattamento sperimentale? Strano. Di solito non sono disponibili ai privati.

— È… vedi… è qualcosa che è stata sviluppata al centro di Cambridge — spiegò Lou, e la sua voce era ancora più meccanica e incolore. — Adesso è di loro proprietà. Il mio capo dice che il suo capo vuole che tutti noi la proviamo. Lui non è d'accordo, ma non riesce a cambiare la situazione.

Tom provò un forte desiderio di prendere a pugni qualcuno. Lou era spaventato: qualcuno stava facendo il prepotente con lui. E Tom era suo amico: ciò gli conferiva una certa responsabilità nella faccenda.

— Sai come funziona il trattamento? — chiese.

— Ancora no. — Lou scosse la testa. — Ne ho avuto notizia per posta elettronica la settimana scorsa. Alla società per l'autismo hanno tenuto una riunione, ma nemmeno loro ne sanno molto… Il signor Aldrin… il mio supervisore… dice che può essere applicata e il signor Crenshaw… il suo capo… vuole che noi la proviamo.

— Non possono costringervi a sottoporvi a cure sperimentali, Lou: è contro la legge.

— Ma loro potrebbero licenziarmi…

— Stanno minacciando di farlo se non collaborate? Non è permesso! — Credeva davvero che non fosse permesso? All'università non lo era, ma il settore privato era diverso. Però… diverso fino a quel punto? — Lou, tu hai bisogno di un avvocato — disse.

— No… sì… non lo so. Sono preoccupato. Il signor Aldrin ha detto che dovevamo cercare aiuto… forse un avvocato…

— E ha ragione. — Tom pensò se dare a Lou qualcosa d'altro a cui pensare lo avrebbe aiutato o no. — Senti, poco fa ti ho parlato di tornei…

— Oh, non sono abbastanza bravo — disse subito Lou.

— E invece lo sei. E io stavo pensando che forse affrontare un torneo potrebbe aiutarti con quest'altro problema… — Tom cercò di mettere ordine nei suoi pensieri e di spiegare chiaramente perché pensava che quella fosse una buona idea. — Se alla fine sarai costretto a fare causa ai tuoi datori di lavoro, sarà un poco come un incontro di scherma. La fiducia in te stesso che puoi ricavare dalla scherma ti aiuterebbe anche in altri generi d'incontri.

— Quando c'è un torneo?

— Il prossimo torneo locale si svolgerà tra un paio di settimane — disse Tom. — Un sabato. Tu potresti venire con noi: io e Lucia ti accompagneremmo per farti coraggio e assicurarci che incontri persone come si deve.

— Perché, ci sono anche persone poco perbene?

— Certo. Ci sono persone poco perbene dappertutto, e alcune di loro riescono a intrufolarsi anche nel campo della scherma. La maggior parte degli schermidori, però, sono gente simpatica. E tu potresti divertirti. — Non doveva insistere troppo, anche se si sentiva sempre più sicuro che Lou dovesse entrare più a fondo nel mondo normale… ammesso che si potessero chiamare normali dei gruppi impegnati in rievocazioni storiche. Be', nella loro vita quotidiana erano normali, solo che si divertivano a indossare costumi di fantasia e a far finta di uccidersi l'un l'altro con armi bianche.

— Io non ho un costume — disse Lou, abbassando lo sguardo sulla sua vecchia giacca di pelle con le maniche tagliate.

— Oh, ti troveremo qualcosa — lo rassicurò Tom. A Lou probabilmente sarebbe andato bene qualcuno dei suoi costumi. Ne aveva tanti. — Ci penserà Lucia.

— Non sono sicuro — disse Lou.

— Be', la settimana prossima mi farai sapere se vuoi provare. Se no, ci saranno altri tornei in seguito.

— Ci penserò — decise Lou.

— Bene. E a proposito dell'altro problema… Sarebbe bene che cercassi informazioni su quali sono i tuoi diritti secondo la legge con un poco di anticipo — disse Tom. — Io di questo non ne so molto. So che le leggi sono cambiate diverse volte, ma nulla nel mio lavoro ha a che fare con soggetti umani, perciò non conosco la situazione legale odierna. A te serve un esperto.

— Temo che costerebbe molto — disse Lou.

— Forse — assentì Tom. — Anche questa è una cosa che è bene sapere. Certamente il Centro potrà fornirti questa informazione.

— Grazie — disse Lou.

Tom lo guardò andar via, calmo, controllato: a volte faceva un po' paura pur nella sua innocuità. La sola idea che qualcuno potesse fare esperimenti su Lou gli dava la nausea. Lou era Lou, ed era a posto così com'era.