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Tom e Lucia sembrano ambedue molto in collera, hanno i visi contratti e la pelle lucida. Non avrei dovuto parlare di quelle cose, non era il momento adatto.

— Bastardi - commenta Lucia. Poi mi guarda e il suo viso cambia, si distende. — Lou… Lou, ascolta. Non sono arrabbiata con te. Sono arrabbiata con la gente che ti fa del male o non ti tratta bene… non con te, mai con te.

— Non avrei dovuto dirvi questo — mi scuso, ancora incerto.

— Sì che avresti dovuto — ribatte lei. — Noi siamo tuoi amici e dovremmo saperlo se qualcosa non va nella tua vita, in modo da poterti aiutare.

— Lucia ha ragione — dice Tom. — Gli amici devono aiutarsi reciprocamente. Come hai fatto tu quando ci hai aiutati a costruire le rastrelliere.

— Quelle le usiamo tutti — obietto. — Il mio lavoro invece riguarda solo me.

— Sì e no — dice Tom. — Il tuo problema è individuale, ma ha un interesse generale. Potrebbe riguardare ogni handicappato che lavori in qualsiasi altro posto. Cosa succederebbe se una ditta decidesse che una persona su una poltrona a rotelle non ha bisogno di rampe? A voi serve un legale, Lou. Non avevi detto che il Centro poteva trovarvene uno?

— Prima che arrivino gli altri, Lou, perché non ci dici qualcosa di più su questo signor Crenshaw e sui suoi piani? — chiede Lucia.

Mi accomodo sul sofà e cerco di riferire la storia più chiaramente che posso.

— Esiste un trattamento che loro… cioè qualcuno… ha usato su scimmie adulte — comincio. — Io non sapevo che le scimmie potessero essere autistiche, ma il fatto è che queste scimmie autistiche sono diventate più normali dopo aver ricevuto il trattamento. Adesso il signor Crenshaw vuole che lo facciamo anche noi.

— E voi non volete? — domanda Tom.

— Io non capisco come funzioni o in che modo possa migliorare le nostre condizioni — dico.

— Il tuo dubbio è ragionevole — approva Lucia. — Sai chi ha condotto la ricerca, Lou?

— Non ne ricordo il nome — dico. — Un mio amico mi spedì un'e-mail sull'argomento alcune settimane fa. Mi mandò un articolo e io lo lessi, ma non ne capii un gran che. Non ho studiato mai quel genere di argomenti.

— Hai ancora l'articolo? — chiede lei. — Posso domandare informazioni in proposito.

— Davvero?

— Certo. Almeno al dipartimento potranno dirmi se i ricercatori sono considerati persone affidabili o no.

— Noi avevamo avuto un'idea — dico.

— Noi chi? — domanda Tom.

— Io e le persone con le quali lavoro.

— Gli altri autistici?

— Sì. — Chiudo gli occhi un momento per calmarmi. — Il signor Aldrin ci ha invitati a mangiare una pizza. Ha bevuto birra. Ha detto che non credeva ci fosse profitto sufficiente nel curare autistici adulti… siccome oggi si curano feti e neonati, noi siamo gli ultimi in queste condizioni, almeno in questo paese. Così noi ci siamo chiesti perché erano tanto interessati a sviluppare il trattamento e cos'altro esso potesse fare. Vedete, la cosa somiglia a qualche analisi di schema che mi è capitato di fare. C'è uno schema, che però non è l'unico. Oppure si può pensare di star generando uno schema mentre in realtà se ne generano diversi altri e uno di essi può rivelarsi utile o no, a seconda del problema al quale dovrà essere applicato. — Alzo gli occhi e vedo che Tom mi sta guardando con un'espressione strana. Ha la bocca semiaperta.

Scuote la testa come scrollandola. — Quindi… voi pensate che loro abbiano in mente qualche altra applicazione, qualche scopo di cui voi siete solo un aspetto?

— Può darsi — dico cautamente.

Tom lancia un'occhiata a Lucia che annuisce. — Può darsi davvero — dice. — Provare questo trattamento su di voi fornirebbe loro molti altri dati, e allora… Lasciatemi pensare…

— Io credo che la cosa abbia a che fare con il controllo dell'attenzione — continuo. — Tutti abbiamo modi diversi di percepire gli impulsi sensoriali e… e di stabilire le priorità dell'attenzione. — Non sono sicuro di aver usato i termini giusti, ma Lucia annuisce con vigore.

— Il controllo dell'attenzione… naturalmente. Se si potesse manipolarlo nella genesi e non con mezzi chimici, sarebbe tanto più facile sviluppare una forza-lavoro estremamente motivata.

— Nello spazio — dice Tom.

Mi sento confuso, ma Lucia annuisce di nuovo.

— Già. Per far lavorare la gente nello spazio, il grande problema è fare in modo che si concentri, che non si distragga. Gli impulsi sensoriali lassù non sono quelli ai quali noi siamo abituati, quelli scelti dalla selezione genetica. — Non so come lei faccia a capire cosa sta pensando Tom. Mi piacerebbe tanto leggere nella mente degli altri in questo modo. Lucia mi sorride. — Lou, credo che tu sia inciampato in qualcosa di grosso. Procurami quell'articolo e io mi darò da fare.

Mi sento a disagio. — Io non dovrei parlare del mio lavoro fuori del campus — dico.

— Ma non stai parlando del lavoro — rettifica lei. — Stai parlando del tuo ambiente di lavoro… è diverso.

Mi chiedo se il signor Aldrin sarebbe d'accordo.

Qualcuno bussa alla porta e smettiamo di parlare. Io sono sudato anche senza tirare di scherma. I primi ad arrivare sono Dave e Susan. Raduniamo le nostre cose e usciamo nel cortile posteriore.

Poi arriva Marjory, e mi sorride. Io di nuovo mi sento più leggero dell'aria. Don non è venuto. Suppongo sia ancora in collera con Tom e Lucia perché non si sono comportati da amici con lui.

Sto facendo un combattimento con Dave quando sento un rumore dalla strada e poi un sibilo di gomme che stridono nella corsa. Ignoro il rumore e continuo il mio attacco, ma Dave si ferma e io lo colpisco un po' duramente al petto.

— Chiedo scusa — dico.

— Non ti preoccupare — dice lui. — Pare sia successo qualcosa: non hai sentito niente?

— Sì — rispondo, e cerco di ripercorrere la sequenza dei rumori. Un tonfo, un tintinnio, uno stridore e un rombo. Cosa può essere stato?

— Meglio andare a controllare — dice Dave.

Anche gli altri sono usciti a vedere; li seguo nel cortile anteriore. Alla luce del fanale nell'angolo posso vedere qualcosa che luccica sul marciapiedi.

— È la tua macchina, Lou — dice Susan. — Il parabrezza.

Mi sento gelare.

— La scorsa settimana sono state le gomme… che giorno era, Lou?

— Giovedì — rispondo. Mi trema la voce.

— Giovedì. E adesso questo… — Tom guarda gli altri e loro lo guardano. Posso capire che tutti stanno pensando alla stessa cosa, ma non so quale sia. Tom scuote la testa. — Credo che dovremo chiamare la polizia. Odio interrompere l'allenamento, ma…

— Ti accompagno io a casa, Lou — propone Marjory. Si è avvicinata, è dietro di me. Sobbalzo nel sentire la sua voce.

Tom chiama la polizia perché, spiega, il fatto è avvenuto davanti a casa sua. Mi passa il telefono dopo un poco e una voce annoiata chiede il mio nome, indirizzo e numero telefonico, e il numero di targa della mia macchina.

Poi la voce chiede un'altra cosa, ma le parole si accavallano e non riesco a distinguerle. — Mi dispiace… — dico.

La voce ripete, più alta, separando meglio le parole. Stavolta capisco.

— Ha qualche idea su chi possa aver fatto questo?

— No — dico. — Però qualcuno mi ha tagliato le gomme la settimana scorsa.

— Oh? — Adesso la voce ha assunto un tono interessato. — Ha denunciato il fatto?

— Sì.

— Ricorda il nome dell'agente venuto a investigare?

— Ho un suo biglietto: un momento solo… — Metto giù il ricevitore e tiro fuori il portafogli. Estraggo il biglietto e leggo il nome dell'agente, Malcolm Stacy, e il numero del rapporto.