Non avevo mai sentito Linda parlare tanto di sé. Adesso ha il viso più colorito e i suoi occhi hanno uno sguardo più fermo.
— Non sapevo che ti piacessero le stelle — dico.
— Le stelle sono lontane l'una dall'altra — dice. — Non devono toccarsi per conoscersi. Risplendono l'una sull'altra da lontano.
Io sto per dire che le stelle non si conoscono reciprocamente, che non sono vive, ma qualcosa mi fa tacere. Ho letto in un libro che le stelle sono composte di gas incandescenti e in un altro libro che il gas è materia inanimata. Forse quel libro si sbagliava. Forse le stelle sono fatte di gas incandescenti eppure sono vive.
Linda mi guarda, mi fissa negli occhi. — Lou… tu ami le stelle?
— Sì — rispondo. — E la gravità e la luce e lo spazio e…
— Betelgeuse — dice lei. Sorride e di colpo l'atrio diventa luminoso. Non mi ero accorto che fosse buio prima. Il buio era qui in precedenza, ma infine è arrivata la luce. — Rigel. Antares. Luce e colori. Lunghezze d'onda… — Le sue mani ondeggiano nell'aria e io so che stanno mimando gli schemi che le lunghezze d'onda e le frequenze compongono.
— Binarie — dico io. — Nane brune…
Il viso di Linda si rilassa. — Oh, quelle sono roba vecchia. Chu e Sanderly ne hanno riclassificate molte… — S'interrompe. — Lou… io credevo che tu passassi tutto il tuo tempo con le persone normali… fingendo di essere normale.
— Vado in chiesa — dico. — Frequento un club di scherma.
— Scherma?
— Armi bianche — spiego, ma lei continua a non capire. — È una specie di gioco. Cerchiamo di colpirci l'un l'altro.
— Ma perché? — chiede lei. — Se tu ami le stelle…
— Mi piace anche la scherma — dico.
— Con gente normale — dice lei.
— Sì, mi piacciono.
— È difficile… — dice lei. — Io frequento il planetario. Cerco di parlare con gli scienziati che vengono, ma… la lingua mi s'inceppa. Posso capire che loro non vogliono parlare con me. Si comportano come se io fossi stupida o pazza.
— Le persone che conosco io non sono malaccio — dico. Ma mi sento colpevole di averlo detto, perché Marjory è più di "non malaccio". Tom e Lucia sono qualcosa di meglio di "non malaccio". — Tranne uno che ha cercato di uccidermi.
— Ha cercato di ucciderti? — dice Linda. Sono sorpreso che non lo sappia, ma ricordo di non avergliene mai parlato. Forse lei non guarda i notiziari.
— Ce l'aveva con me — spiego.
— Perché sei autistico?
— Non esattamente… ma… sì. — Su cosa si basava, infatti, l'odio di Don se non sul fatto che io, un disabile, un falso normale, avevo più successo di lui nel suo mondo?
— Era malato — dice Linda enfaticamente. Si stringe nelle spalle e si volta. — Stelle… — dice.
Vado nel mio ufficio, pensando alla luce, al buio e alle stelle, e allo spazio intermedio che è pieno della luce che emana da loro. Come può esserci buio nello spazio quando esso rigurgita di stelle? Se noi possiamo vedere le stelle, ciò significa che c'è luce. E i nostri strumenti che scorgono anche la luce invisibile la registrano in grandi masse indistinte… è dappertutto.
Non capisco perché la gente parli dello spazio come di un posto oscuro e freddo, inospitale. È come se non uscissero mai fuori la notte a guardare il cielo. Il luogo dove c'è l'autentico buio è fuori della portata dei nostri strumenti, è agli estremi confini dell'universo, dove il buio è arrivato prima. Ma la luce lo raggiungerà.
Non sapevo che Linda amasse le stelle, che desiderasse studiare astronomia. Forse voleva anche andare nello spazio, come volevo io. No, come voglio. Se il trattamento funzionasse, forse potrei… Il solo pensiero m'impietrisce, mi gela di felicità… e poi devo muovermi. Mi alzo e mi stiro, ma non basta.
Eric sta scendendo dal trampolino quando entro nella palestra. Stava rimbalzando al suono della Quinta Sinfonia di Beethoven, che però è troppo forte per quello su cui voglio pensare. Eric mi saluta con un cenno e io cambio musica, facendo scorrere le varie possibilità finché mi fermo sulla suite orchestrale della Carmen. Sì, è la musica adatta.
Ho bisogno di questa effervescenza, di questa esplosione di ebbrezza. Rimbalzo sempre più in alto, sento la deliziosa leggerezza della caduta libera prima di avvertire la compressione dei muscoli, ugualmente meravigliosa, che si preparano a darmi lo slancio per rimbalzare ancora più in alto. Gli opposti sono la stessa cosa in direzioni diverse. Azione e reazione. Gravità e… non so quale sia l'opposto di gravità, ma l'elasticità del trampolino ne crea uno. Numeri e schemi mi volteggiano nella mente, formandosi, sciogliendosi, riformandosi.
Ricordo quando avevo paura dell'acqua, della sua instabilità, di come ondeggiava e si spostava appena la toccavo. Ma ricordo la gioia esplosiva di quando finalmente riuscii a nuotare, di quando mi resi conto che l'acqua continuava a essere instabile, però io potevo ugualmente stare a galla e muovermi nella direzione che preferivo. Ricordo quando avevo paura della bicicletta, della sua imprevedibilità e mancanza di equilibrio; e poi la stessa gioia quando imparai a guidarla, a usare la mia volontà per vincere la sua tendenza al caos. Anche adesso ho paura, più di prima, perché capisco di più… potrei perdere tutti gli adattamenti che mi sono costruito e allora non mi rimarrebbe niente… ma se riesco a cavalcare quest'onda, questa bicicletta biologica, allora sarò incomparabilmente più ricco.
Le mie gambe si stancano. Eseguo rimbalzi sempre più bassi, più bassi ancora, e infine mi fermo.
La compagnia non vuole renderci sciocchi e inefficienti, non vuole distruggere la nostra mente: vuole usarla.
Io non voglio essere usato. Voglio essere io a usare la mia mente per quello che desidero fare.
Penso che potrei voler provare questo trattamento. Non devo farlo per forza, non ne ho bisogno: sto bene anche come sono. Ma credo di cominciare a desiderarlo perché forse, se cambierò, se sarà secondo la mia idea e non quella di altri, allora forse potrò imparare ciò che desidero e fare ciò che voglio. Non si tratta di una cosa soltanto, ma di tutte le cose insieme, di tutte le possibilità. "Non sarò lo stesso" mi dico, abbandonando il conforto della gravità, volando fuori delle sue certezze nell'incertezza della caduta libera.
Uscendo dalla palestra mi sento più leggero in ambedue i modi, ancora in gravità meno che normale, ancora più pieno di luce che d'ombra. Ma la gravità ritorna quando penso di dire ai miei amici cosa mi dispongo a fare. Credo che a loro non piacerà più di quanto piaccia agli avvocati del Centro.
20
Il signor Aldrin viene a dirci che la compagnia non accetta di fornirci il trattamento Lungavita per ora, benché non è escluso… e lui tiene a sottolineare che questa è solo una possibilità… che acconsenta ad assistere quelli di noi che vorranno sottoporvisi dopo il presente trattamento, se esso avrà successo. — È troppo rischioso sottoporsi contemporaneamente a tutti e due — spiega. — E poi se qualcosa non dovesse funzionare la sua durata sarebbe più lunga.
Credo che dovrebbe dirlo chiaro e tondo: se il trattamento dovesse causare danni maggiori, noi subiremmo un grosso peggioramento delle nostre condizioni e la compagnia dovrebbe mantenerci più a lungo. Ma io so che le persone normali non parlano mai chiaro.
Non parliamo tra di noi dopo che lui è uscito. Gli altri mi guardano, ma nessuno dice niente. Spero che Linda accetti comunque il trattamento. Lei mi chiede se sono sicuro di ciò che faccio. Non sono sicuro, sono soltanto abbastanza sicuro. Poi chiamo il signor Aldrin e glielo dico. Anche lui chiede se sono sicuro. — Sì — dico, e poi chiedo: — Lo farà anche suo fratello? — Ho pensato spesso anche al fratello.