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— Ah-ha! Speriamo che non se ne vada sbattendo furibonda la porta davanti al pubblico, dal momento che ancora non le posso promettere niente, per il suo Corbeau. È una situazione delicata, e il ragazzo è un testardo e non si comporta nel modo migliore per facilitarmi.

— A sentire Bel, è una donna intelligente. Non credo che Bel avrebbe organizzato quest’incontro se avesse pensato che potesse causare un disastro in pubblico; ma forse tu hai delle ragioni per pensarla in modo diverso?

— No…

— In ogni caso, sono sicura che sarai in grado di lavorarti senza problemi quella ragazza. Basta che tu sia affascinante come sai essere.

L’opinione che Ekaterin aveva di lui non era esattamente obiettiva. Grazie al cielo. — È tutto il giorno che cerco di affascinare i quad, e non mi sembra di avere avuto successo.

— Se dimostri chiaramente a qualcuno che ti piace, è molto difficile resistere alla tentazione di non ricambiare. E Nicol questa sera suona nell’orchestra.

— Oh. — Miles si raddrizzò. — Questo sì che vale la pena. — Ekaterin era un’astuta osservatrice; senza dubbio in quel pomeriggio aveva percepito vibrazioni che andavano molto al di là dell’assorbire la moda locale in fatto di abbigliamento. — Vada per il balletto quad. — Metterai il tuo vestito nuovo?

— È per quello che l’ho comprato. Si onorano gli artisti vestendosi bene per loro. Ora, mettiti l’uniforme. Bel passerà fra poco a prenderci.

— Farò meglio a restare in grigio. Ho la sensazione che sfilare in parata con un’uniforme barrayarana davanti ai quad, in questo momento, non sia una buona mossa diplomatica.

— Forse era così al Posto di Sicurezza, ma non c’è ragione di far vedere che apprezziamo la loro arte, se dobbiamo essere scambiati per semplici terricoli di passaggio. Stasera entrambi dovremo sembrare il più barrayarani possibile.

E farsi vedere in compagnia di Ekaterin valeva un bel po’ di punti, pensò, non tanto in fatto di propaganda, ma di semplice vanteria. Toccò soprappensiero la cintura dalla quale aveva tolto la spada. — Va bene. — Acconsentì.

CAPITOLO SESTO

Bel arrivò poco dopo al portello della Kestrel: indossava una casacca molto allegra, arancione con maniche blu decorate di stelle, pantaloni che terminavano a sbuffo alla caviglia e lasciavano intravedere la calzamaglia blu e pantofole coordinate di velcro. Sembrava che quella fosse la moda locale adottata sia dagli uomini sia dalle donne, che avessero o no le gambe, a giudicare dalla versione un po’ meno appariscente di Greenlaw.

In sua compagnia si recarono in un ristorante dall’atmosfera serena e tranquilla, nella parte dotata di gravità della Stazione, con la solita vetrata trasparente ampia quanto una parete che si apriva sulle stelle e sulle strutture del complesso. Di tanto in tanto un rimorchiatore o una capsula attraversava lo spazio stellato, rendendo la scena più interessante. Nonostante la gravità, che almeno teneva il cibo sui piatti, il luogo si adeguava ai canoni architettonici quad, e i tavoli avevano un pilastro centrale, di diversa altezza, in modo da sfruttare tutte e tre le dimensioni della stanza. I camerieri guizzavano per la sala usando i flottanti. Il posto piacque a tutti tranne che a Roic, il quale era costretto a piegare il collo nervosamente su e giù, qui e là, per prevenire eventuali pericoli che potessero giungere da tre dimensioni. Ma Bel, che oltre a essere di natura premurosa, era stato addestrato ai protocolli di sicurezza, gli procurò un sedile sopra il loro tavolo, da cui poteva tenere d’occhio l’intera sala. Così Roic poté sistemarsi sulla sua coffa e svolgere più tranquillamente la sua funzione di guardia.

Nicol li aspettava al tavolo da dove si godeva una vista perfetta della finestra a tutta parete. Indossava una tuta nera attillata e una gran quantità di trasparenti sciarpe multicolori; per il resto il suo aspetto non era cambiato di molto da quando Miles l’aveva incontrata per la prima volta, tanti anni e tanti salti iperspaziali prima. Era ancora snella, aggraziata anche nel suo flottante, con pelle d’avorio e capelli d’ebano tagliati corti, e i suoi occhi danzavano ancora nello stesso modo. Lei ed Ekaterin si osservarono con grande interesse, e non ci volle molto perché si mettessero a chiacchierare vivacemente.

La conversazione spaziava liberamente su molti argomenti, mentre del cibo squisito arrivava in un flusso costante, portato dai camerieri efficienti e discreti. Musica, giardinaggio e tecniche di riciclaggio li condussero infine a discutere delle dinamiche demografiche della popolazione quad e delle metodologie, tecniche, economiche e politiche, impiegate nella moltiplicazione di habitat in quella collana vitale che si andava allungando nella fascia degli asteroidi del sistema. Solo le reminiscenze di vecchie battaglie, per tacito accordo, non entrarono mai nella conversazione.

Quando Bel accompagnò Ekaterin alla toilette fra l’ultima portata e il dessert, Nicol aspettò che fossero abbastanza lontani, poi si chinò e mormorò a Miles: — Sono contenta per lei, ammiraglio Naismith.

Miles si portò brevemente un dito alle labbra. — Sia contenta per Miles Vorkosigan. Io di certo lo sono. — Esitò, poi chiese: — Dovrei essere altrettanto lieto per Bel?

Il sorriso della quad si smorzò. — Questo solo Bel può dirlo. Io ormai ho viaggiato abbastanza. Ho trovato il mio posto, alla fine, qui a casa. Anche Bel sembra star bene qui, per lo più, ma… be’, Bel è un terricolo. E tutti mi dicono che prima o poi gli pruderanno i piedi dalla voglia di tornare a terra. Lui dice di voler diventare un cittadino dell’Unione, ma… per un motivo o per l’altro, non ha ancora fatto domanda.

— Sono sicuro che lo vorrebbe — la rassicurò Miles.

Nicol scrollò le spalle, e finì la sua bibita al limone; doveva suonare, perciò aveva rinunciato al vino. — Forse il segreto della felicità è vivere per l’oggi e non pensare al futuro. Forse Bel non la pensa così, abituato com’è sempre stato a vivere nel pericolo e ad affrontare costantemente i rischi. Non sono sicura che lui possa cambiare la sua natura, o quanto male gli possa fare tentare. Forse troppo.

— Mm… — fece Miles ricordando quello che gli aveva detto l’amico: Se decido di prendere la cittadinanza e fare il giuramento, voglio farlo onestamente. Non posso giurare il falso, o continuare a tenere il piede in due scarpe.

Neppure Nicol, a quanto pareva, sapeva quale fosse il secondo lavoro di Bel… e la sua seconda fonte di rischi. — Però avrebbe potuto trovare impiego come portomastro in molti luoghi. Invece ha viaggiato a lungo per arrivare proprio qui.

Il sorriso di Nicol si addolcì. — È vero. Lo sa che quando Bel è arrivato alla Stazione Graf aveva ancora quel dollaro betano che io gli avevo infilato in uno scomparto del portafoglio che gli avevo regalato sul Complesso Jackson?

Miles riuscì a non fare la domanda ovvia: Come puoi sapere che si tratta proprio dello stesso dollaro? Quelli betani, dopo tutto, erano tutti uguali. Ma se Bel le aveva detto che era quello, non sarebbe stato proprio Miles a metterlo in dubbio.

Dopo cena uscirono dal ristorante e andarono alla stazione della Linea a bolle, l’arteria di comunicazione recentemente modificata per collegare ogni posto di quel labirinto tridimensionale che era diventata la Stazione Graf. Nicol lasciò il suo flottante in una rastrelliera sulla banchina passeggeri, prima di salire sulla vettura che impiegò circa dieci minuti per portarli alla loro destinazione. Durante il viaggio, non appena entrati nella sezione senza gravità, Miles sentì lo stomaco rivoltarsi, e fu costretto a ingerire una pastiglia antinausea, che offrì discretamente anche a Ekaterin e Roic.

L’entrata dell’Auditorium Madame Minchenko non era né grande né imponente, era semplicemente uno dei tanti portelli stagni che si aprivano su diversi livelli della Stazione. Nicol salutò Bel con un bacio e scappò via.