Miles girò la testa di scatto. — Cosa?
Bel arrossì e si frugò in una tasca dei pantaloni. — Nicol e io… quando siamo andati dal biogenetista per un consulto, ci ha fatto una proiezione di tutte le possibili combinazioni, in modo che potessimo scegliere. — L’ermafrodita accese un olocubo e lo sollevò. Sei immagini di bambini a figura intera comparvero in aria sopra la sua mano. Erano colti nel momento in cui si esce dall’adolescenza, con già un’idea di quali saranno i lineamenti adulti che traspariranno dalle rotondità dell’infanzia. Avevano gli occhi di Bel, il viso di Nicol, i capelli di un castano scuro con la familiare ciocca che ricadeva sulla fronte. Un ragazzo, una ragazza e un erm con le gambe; un ragazzo, una ragazza e un erm quad.
— Oh — esclamò Ekaterin, — molto interessante.
— I lineamenti del viso sono solo una fusione di quelli di Nicol e miei, non una autentica proiezione genetica — spiegò Bel, cedendo l’olocubo nelle mani di Ekaterin. — Per quello avrebbero bisogno di una vera cellula di un vero concepito, il che, ovviamente, non può essere possibile fintanto che non sarà stato creato quello vero su cui eseguire le modifiche genetiche.
Ekaterin rivoltò da una parte all’altra l’ologramma, esaminando le figure da ogni lato. Miles, guardando da sopra le sue spalle, si convinse che era stato un bene che il suo olovideo con lo stadio blastulare di Aral Alexander e Helen Natalia fosse rimasto a bordo della Kestrel. Ma forse più tardi avrebbe avuto l’occasione di mostrarlo a Bel.
— E avete deciso che cosa volete voi due? — chiese Garnet Cinque a Bel.
— Una piccola quad, tanto per cominciare. Come Nicol. — Il volto di Bel si addolcì, e poi, bruscamente, riprese il suo tono ironico. — Sempre che io decida di prendere la cittadinanza dell’Unione.
Miles immaginò Garnet Cinque e Dmitri Corbeau con una sfilza di aitanti, atletici bimbi quad. O Bel e Nicol, con una nidiata di pargoli intelligenti e predisposti alla musica. C’era di che far girare la testa.
Roic, che osservava con aria stupefatta, scosse la testa quando Ekaterin gli offrì di esaminare i ritratti dei bimbi.
— Ah — disse Bel. — Sta per cominciare lo spettacolo. — Recuperò il suo olocubo, lo spense e lo mise al sicuro in tasca, verificando di chiudere bene e abbottonare il risvolto.
Mentre parlavano l’auditorium si era completamente riempito, e l’alveare di celle adesso ospitava una folla attenta, tra cui c’erano dei terricoli, anche se non era facile per Miles stabilire se fossero cittadini dell’Unione o turisti galattici. In ogni caso, niente uniformi verdi barrayarane.
Le luci si affievolirono: il brusio si smorzò, e gli ultimi quad si affrettarono a raggiungere i loro posti. Un paio di terricoli che avevano mal valutato la spinta da darsi ed erano fermi a mezz’aria, vennero portati al loro posto dalle maschere, guadagnandosi una risatina sommessa da parte dei quad che avevano notato la manovra.
Una tensione elettrizzante riempiva l’aria, quello strano miscuglio di speranza e paura che precede ogni rappresentazione dal vivo, con il suo rischio di errore, con la sua possibilità di grandezza. L’illuminazione si abbassò sempre di più, fino a che solo la luce azzurrina delle stelle si rifletté sull’alveare di celle ormai tutte occupate.
Le luci si accesero all’improvviso, una fontana esuberante di rossi, arancio e oro proveniente da tutti i lati, e i ballerini entrarono. Entrarono tuonando: una fila di maschi quad, aitanti ed entusiasti, con tute attillate rese splendide dai lustrini, che battevano le mani sui loro tamburi.
Non mi aspettavo tamburi. Tutti gli altri spettacoli in caduta libera che Miles aveva visto, fossero di danza o di ginnastica, si erano sempre svolti nel silenzio irreale dei protagonisti, eccetto che per la musica e gli effetti sonori. I quad invece producevano da soli il loro commento musicale, e gli restavano un paio di mani per incontrarsi, afferrarsi, ruotare scambiandosi il posto, poi ritornare a formare un disegno sempre mutevole.
Due dozzine di uomini in caduta libera erano in equilibrio perfetto, in una disposizione sferica al centro dell’auditorium, continuando a scambiarsi posizione in modo tanto perfetto che l’energia sembrava passare da un corpo all’altro nelle rotazioni, rivoluzioni, capovolte e piroette senza permettere alcuno slittamento laterale.
L’aria pulsava al ritmo delle loro mani; tamburi di tutte le dimensioni e forme: rotondi, ovali, doppi, non solo ciascun ballerino suonava il suo, ma spesso venivano scambiati in una fusione di musica e arte da giocoliere che sfidava l’occhio e l’orecchio, e senza mai perdere una presa o mancare un battito.
Anche le luci danzavano. I riflessi rimbalzavano sulle pareti, suscitando lampi nei palchi, dove incontravano braccia, mani, abiti, gioielli, volti incantati.
Poi una dozzina di ballerine quad vestite di azzurro e verde entrarono sulla scena con la forza di un geyser, infilandosi nella sfera dei loro colleghi e unendosi alla danza. Introducevano una nota di contrappunto al flusso delle percussioni: tamburi e nacchere, nient’altro. Non c’era bisogno d’altro. La sala circolare riverberava, quasi sussultava. Miles guardò la moglie: le labbra di Ekaterin erano socchiuse, i suoi occhi spalancati e lucenti, mentre si godeva senza riserve tutto quello splendore tonante.
Miles pensò alle bande marziali barrayarane. Non era sufficiente che gli umani riuscissero a imparare a suonare uno strumento musicale. Dovevano farlo in gruppo. Mentre camminavano; mentre descrivevano figure complicate marciando. E poi dovevano fare delle gare gli uni con gli altri per vedere chi era il migliore. L’eccellenza, questo genere di eccellenza, non avrebbe mai potuto avere una giustificazione economica. Si faceva per qualcos’altro, per l’onore del proprio paese, della propria gente, per la gloria di Dio. Per la gioia di essere umani.
Il brano durò una ventina di minuti, fino a quando i ballerini furono ridotti ad ansimare, mentre il sudore sfuggiva dai loro corpi in minuscole goccioline che svanivano nell’oscurità come scintille. E ancora roteavano e tuonavano. Miles dovette fare uno sforzo per non mettersi a iperventilare per solidarietà, e sincronizzare il suo battito cardiaco con il loro ritmo. Poi ci fu un’ultima grande esplosione di suono gioioso, e in qualche modo la rete di uomini e donne a quattro braccia divenne due catene, che fluirono verso le porte da cui erano entrati prima della rivelazione.
Quindi tutto piombò in una silenziosa oscurità.
Miles sentì dietro di sé Roic che esalava un respiro reverente, nostalgico, come qualcuno che dopo essere stato a lungo lontano da casa riesce a sdraiarsi ancora nel suo letto.
L’applauso scosse l’auditorium. Nessuno nel gruppetto di barrayarani, pensò Miles, aveva bisogno di fingere entusiasmo per la cultura quad, a quel punto.
Poi la sala si fece di nuovo silenziosa, mentre l’orchestra emergeva da quattro diverse direzioni e sfilava per mettersi in posizione davanti alla grande vetrata. La cinquantina di quad che la componeva portava un incredibile assortimento di strumenti. Videro Nicol, assistita da due quad che le sistemavano e assicuravano l’arpa, di una forma quasi normale, con il salterio doppio, che dal loro angolo di visuale aveva semplicemente l’aspetto di una scatola allungata. Ma nel pezzo che seguì era inclusa anche una sezione per salterio solo, durante la quale il volto eburneo di Nicol venne illuminato da un riflettore, e la musica che si riversò dalle sue quattro velocissime mani era eterea e radiosa; elettrizzante e capace di spezzare qualunque cuore.