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— A giudicare da alcune storie che mi raccontava lo zio Vorthys sugli Ispettori Imperiali delle passate generazioni, direi molto più di così.

— No, temo che sarebbero solo ì nostri leali sudditi barrayarani che si morderebbero la lingua. — Le prese la mano e la accarezzò. — Vuoi venire con me?

— A far che? — chiese Ekaterin, con sospetto.

— Per dire ai passeggeri della flotta commerciale che non c’è proprio nulla che posso fare per loro, e che rimarranno bloccati fino a che Greenlaw non decide di ammorbidirsi, grazie a tutti, arrivederci.

— Non suona molto gratificante.

— L’ho intuito, sì.

— Una contessa ha per legge e tradizione il ruolo di assistente del conte, ma la moglie di un Ispettore non è una assistente ispettrice — argomentò Ekaterin con tono fermo che ricordò a Miles sua zia, la professoressa Vorthys, lei stessa sposa di un Ispettore da parecchio tempo e quindi dotata di maggiore esperienza. — Con Nicol e Garnet Cinque avremmo deciso di visitare gli orti dei quad. Se non ti dispiace, andrò con loro. — E addolcì quel ragionevole rifiuto con un bacio.

Miles, colto da una fitta di senso di colpa, fece una smorfia. — La Stazione Graf non è esattamente quello che avevamo in mente come luna di miele, vero?

— Oh, ma io mi sto divertendo moltissimo. Sei tu quello che deve avere a che fare con persone difficili. — Ekaterin fece una piccola smorfia, e a Miles venne di nuovo in mente che quando si sentiva sopraffatta, sua moglie si rifugiava dietro una grande riservatezza. O almeno così gli era sembrato ultimamente. Per lui era stato un piacere vederla acquistare fiducia in se stessa e nel ruolo di Lady Vorkosigan.

— Se per ora di pranzo sarai libero, potremmo incontrarci e così potrai sfogarti con me — si offrì Ekaterin, con il tono di chi propone uno scambio di ostaggi. — Ma non se devo ricordarti continuamente di masticare prima di inghiottire.

— Mi asterrò dal rosicchiare solo la tovaglia. — Scherzò Miles con una risatina; poi le diede un bacio ed entrò nell’armadio per fare una doccia. Era stato fortunato che Ekaterin avesse acconsentito di accompagnarlo in quel viaggio nello Spazio Quad. Però, rifletté, tutti gli altri, a cominciare da Vorpatril fino a Greenlaw erano molto più fortunati.

Gli equipaggi delle navi commerciali komarrane bloccate nelle loro culle d’attracco per l’occasione erano stati riuniti in un grande salone, e tenuti lì sotto chiave.

In precedenza le autorità quad avevano finto di non imporre alcun obbligo ai passeggeri, una variopinta mistura di uomini d’affari galattici che, con le proprie merci, si erano uniti al convoglio come metodo più economico per raggiungere le proprie destinazioni. Ma naturalmente non potevano lasciarli a bordo di navi prive di equipaggio, e quindi erano stati trasferiti in due alberghi.

In teoria erano liberi di circolare per la Stazione senza altre imposizioni che registrare l’uscita e il rientro presso le due guardie della Sicurezza quad (armate solo di storditori, notò Miles) che sorvegliavano l’ingresso degli alberghi. I passeggeri avrebbero anche potuto, del tutto legalmente, lasciare lo Spazio Quad, se non fosse stato per le loro merci ancora sequestrate a bordo delle navi. Perciò restavano prigionieri. Il fatto che si trattasse di alberghi di lusso, si traduceva in un’altra fonte di lucro per i quad, visto che anche se obbligato, il soggiorno veniva messo in conto alla corporazione della flotta komarrana.

L’atrio dell’albergo era terribilmente kitsch, con un alto soffitto a cupola che simulava un cielo mattutino completo di nuvolette in lento movimento, e probabilmente durante il ciclo diurno si alternavano alba, tramonto e notte.

Miles si chiese quali costellazioni comparissero nel cielo notturno, se erano quelle di un pianeta in particolare o venivano adattate agli ospiti presenti. L’ampio spazio dell’atrio era circondato da una balconata, un piano più su, dove c’erano il bar, il ristorante e un salottino dove gli ospiti si potevano incontrare. Al centro della sala, una serie di colonne di marmo rastremate sostenevano uno spesso vetro su cui poggiava una complicata decorazione floreale. Chissà dove sulla Stazione Graf riuscivano a coltivare quei fiori. Magari Ekaterin, proprio in quel momento, stava visitando il luogo di provenienza.

Oltre ai soliti ascensori a levitazione, un’ampia scalinata portava al piano dove si trovavano le sale per riunioni. Bel accompagnò Miles nel salone affollato da un’ottantina di individui di tutte le razze, tutte le mode, tutte le nazionalità e tutti i generi del Complesso Iperspaziale, e tutti furibondi.

Mercanti galattici con un senso molto preciso del valore del proprio tempo e senza la minima traccia di soggezione culturale barrayarana di fronte a un Ispettore Imperiale, scatenarono su Miles la loro ira, accumulata in diversi giorni di frustrazione. Quindici lingue venivano tradotte da diciannove diversi traduttori automatici, alcuni dei quali dovevano essere stati acquistati a prezzo di realizzo da fabbricanti che stavano per chiudere bottega. Non che le sue risposte a quel fuoco di sbarramento di domande mettesse a dura prova i traduttori, visto che per il novanta per cento consistevano in: ’Non lo so ancora’, oppure ’dovete chiederlo alla Sigillatrice Greenlaw’. Quest’ultima risposta di Miles venne accolta da un irritato coro unanime: — Glielo abbiamo chiesto, ma ha risposto di rivolgersi a lei.

Miles riuscì a farsi indicare discretamente da Bel tutti coloro che avevano cercato di corromperlo perché permettesse loro di recuperare la merce e andarsene con altri mezzi. Poi chiese a tutti i passeggeri dell’Idris che avevano incontrato Solian di restare e raccontargli le loro esperienze. Quest’ultima iniziativa sembrò dare l’illusione che le Autorità-Stessero-Dandosi-Da-Fare, così la gente se ne uscì borbottando, ma in buon ordine.

Tutti salvo un individuo che Miles identificò, dopo un momento di incertezza, come un ermafrodita betano. Era troppo alto per essere un ermafrodita, l’età suggerita dai suoi capelli argentei era smentita dal suo portamento eretto e dai movimenti elastici. Se fosse stato barrayarano, Miles lo avrebbe classificato per un sessantenne sano e atletico, ma per un betano probabilmente voleva dire che aveva raggiunto il secolo di vita. Era di bell’aspetto, il volto aquilino, gli occhi scuri e acuti. Possedeva un’eleganza straordinaria che Miles credette di riconoscere, ma non riuscì a mettere a fuoco il vago senso di familiarità che l’ermafrodita gli ispirava.

Maledetta criogenia… non poteva nemmeno dire se si trattava di una memoria confusa dal trauma neurale del processo di risuscitamento, oppure di un falso ricordo.

— Lei è il portomastro Thorne? — chiese l’ermafrodita con una morbida voce di contralto.

— Sì? — anche Bel, naturalmente, studiò il suo compatriota betano con un interesse particolare. Nonostante la dignitosa anzianità dell’ermafrodita, non era possibile non ammirarne la bellezza, e Miles notò con divertimento che gli occhi di Bel fissarono il tradizionale orecchino betano. Purtroppo era dello stile che proclamava: Sentimentalmente impegnato, non in cerca di compagnia.

— Temo di avere un problema con la mia merce. — Disse il betano avvicinandosi a Miles.

L’espressione di Bel si tese, in attesa di sentire raccontare un’altra pietosa storia, condita o meno da tentativi di corruzione.

— Sono un passeggero dell’Idris. Trasporto diverse centinaia di feti di animali geneticamente modificati in replicatori uterini che richiedono manutenzione costante. E adesso è il momento di effettuarla. Non posso aspettare. Se non vengono prese le misure del caso, molte di quelle creature potrebbero essere danneggiate o perfino morire. — Si tormentava le mani dalle lunghe dita. — Peggio ancora, molte stanno per arrivare a termine. Non mi aspettavo un tale ritardo nella tabella di marcia. Se vengono trattenute qui ancora a lungo, dovranno essere estratte dai replicatori e distrutte, così perderò tutto il valore della mia merce e del mio tempo.