Mentre si avviava con il presidente lungo il corridoio, Gabrielle pensò alle sue foto, che in quel momento venivano sbattute su tutti gli schermi televisivi.
"Il danno sarebbe stato peggiore per il paese" si disse. "Molto peggiore."
Gabrielle, dopo essere andata alla ABC per recuperare le foto e prendere in prestito il lasciapassare della stampa, si era intrufolata di nuovo nell'ufficio di Sexton per assemblare i duplicati delle buste e stampare copie degli assegni che attestavano i finanziamenti illeciti. Poi, dopo l'incontro al Washington Monument, aveva consegnato le copie degli assegni allo sbalordito senatore insieme alle sue richieste. "Dia al presidente la possibilità di spiegare i suoi errori sul meteorite, altrimenti verrà divulgato anche il resto." Sexton aveva dato un'occhiata al fascio di prove, poi si era chiuso nella sua limousine per allontanarsi in fretta. Da quel momento, era scomparso dalla circolazione.
Ora, mentre giungeva con il presidente alla porta sul retro della sala stampa, Gabrielle sentì il mormorio della folla in attesa. Per la seconda volta in ventiquattr'ore, il mondo si riuniva per ascoltare un messaggio speciale del presidente.
«Cosa dirà?» chiese Gabrielle.
Herney sospirò. La sua espressione era straordinariamente calma. «Col passare degli anni, ho notato più volte che…» Le mise una mano sulla spalla e sorrise. «… La verità è sempre la cosa migliore.»
Inaspettatamente, Gabrielle si sentì riempire d'orgoglio mentre lo guardava avanzare a grandi passi verso il podio. Zach Herney stava per ammettere il più grande errore della sua vita, eppure, stranamente, non era mai apparso tanto autorevole.
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Quando Rachel si svegliò, la stanza era buia.
Le ventidue e quattordici, segnalava la scritta luminosa dell'orologio. Non era nel suo letto. Rimase immobile per alcuni momenti, chiedendosi dove si trovasse. Lentamente, tutto cominciò a tornarle alla memoria. Il megapennacchio… la mattinata al Washington Monument… l'invito del presidente di rimanere alla Casa Bianca.
"Sono alla Casa Bianca" si disse. "Ho dormito qui tutto il giorno."
L'elicottero della guardia costiera, su ordine del presidente, aveva trasportato gli esausti Michael Tolland, Corky Marlinson e Rachel Sexton dal Washington Monument alla Casa Bianca, dov'erano stati rifocillati con una sontuosa colazione, sottoposti a visita medica e avevano potuto scegliere di riposare in una delle quattordici camere da letto a disposizione degli ospiti.
Tutti e tre avevano accettato.
Rachel stentava a credere di avere dormito tanto. Accese la televisione e rimase sbalordita nel constatare che il presidente Herney aveva già concluso la conferenza stampa. Rachel e gli altri gli avevano offerto di stare al suo fianco mentre annunciava al mondo la deludente vicenda del meteorite. "Abbiamo commesso questo errore tutti insieme." Ma Herney aveva insistito per caricare l'intero fardello sulle proprie spalle.
«È triste» stava dicendo un analista politico alla televisione «ma purtroppo sembra confermato che la NASA non ha scoperto tracce di vita proveniente dallo spazio. Questa è la seconda volta, in dieci anni, che l'agenzia spaziale proclama erroneamente di avere identificato tracce di vita extraterrestre in un meteorite. In questa occasione, peraltro, sono incorsi nell'equivoco anche parecchi autorevoli scienziati civili.»
«In circostanze normali» intervenne un altro analista «un inganno delle dimensioni che il presidente ha qui descritto questa sera avrebbe un effetto devastante per la sua carriera… tuttavia, considerando gli avvenimenti di questa mattina al Washington Monument, devo dire che le probabilità di Zach Herney di assicurarsi la presidenza non sono mai apparse migliori.»
Il primo analista annuì. «Non c'è vita nello spazio, ma non c'è più vita neanche nella campagna elettorale del senatore Sexton. Infatti, continuano a emergere nuove informazioni sui finanziamenti al senatore, che fanno ipotizzare guai seri…»
Qualche colpetto alla porta attirò l'attenzione di Rachel.
"Michael" pensò speranzosa, spegnendo velocemente il televisore. Non lo vedeva dalla colazione. Fin dal loro arrivo alla Casa Bianca, Rachel non aveva desiderato altro che addormentarsi tra le sue braccia. Benché fosse chiaro che Michael desiderava la stessa cosa, si era intromesso Corky, che si era piazzato sul letto di Tolland per ripetere all'infinito la storia di come fosse riuscito a salvarsi la vita urinandosi addosso. Alla fine, completamente esausti, Rachel e Tolland avevano gettato la spugna e si erano diretti in stanze separate.
Mentre si avvicinava alla porta, Rachel si guardò allo specchio, divertita dall'abbigliamento improbabile. Tutto quello che era riuscita a trovare, in un cassetto, era un'enorme maglia sportiva dell'università della Pennsylvania, che le arrivava fino alle ginocchia come una camicia da notte.
I colpi alla porta ripresero.
Rachel aprì e restò delusa nel vedere una donna, un'agente dei servizi segreti degli Stati Uniti. Era carina, in forma, e indossava una giacca azzurra. «Signora Sexton, il signore nella Camera di Lincoln ha sentito che lei ha acceso il televisore e mi manda a dirle che, visto che è sveglia…» Fece una pausa, inarcando le sopracciglia. Chiaramente non era nuova agli intrallazzi notturni ai piani superiori della Casa Bianca.
Rachel arrossì, avvertendo un fremito sulla pelle. «Grazie.»
L'agente scortò Rachel lungo il corridoio dall'arredo impeccabile fino a una porta dall'aspetto disadorno.
«La Camera di Lincoln» annunciò l'agente. «E, come è mio compito dire sempre davanti a questa porta: buon riposo e attenzione agli spettri.»
Rachel annuì. Le leggende degli spettri nella Camera di Lincoln erano vecchie come la Casa Bianca. Si diceva che vi avessero visto il fantasma di Lincoln innumerevoli ospiti, tra cui Winston Churchill, Eleanor Roosevelt, Amy Carter, l'attore Richard Dreyfuss, nonché decine di maggiordomi e cameriere. Si racconta che il cane del presidente Reagan abbaiasse per ore davanti a quella porta.
Al pensiero di quegli spettri storici, Rachel si rese conto, improvvisamente, della sacralità di quella stanza. D'un tratto si sentì imbarazzata di trovarsi lì, nella sua lunga maglia da football, a gambe nude, come una studentessa universitaria intenta a sgattaiolare nella stanza di un ragazzo. «Siamo sicuri che sia concesso?» bisbigliò all'agente. «Voglio dire, insomma, questa è la Camera di Lincoln.»
L'agente ammiccò. «A questo piano la regola è: "Non chiedere e non parlare".»
Rachel sorrise. «Grazie.» Fece per impugnare la maniglia della porta, avvertendo un fremito per quello che l'aspettava dall'altra parte.
«Rachel!» La voce nasale tagliò il corridoio come una sega circolare.
Rachel e l'agente si voltarono. Corky Marlinson avanzava verso di loro saltellando sulle stampelle. Sulla sua gamba, una fasciatura professionale. «Neanch'io riuscivo a dormire!»
Rachel si afflosciò, sentendo sfumare il suo appuntamento romantico.
Corky squadrò con attenzione la bella agente dei servizi segreti, quindi le rivolse uno smagliante sorriso. «Adoro le donne in uniforme.»
Lei aprì la giacca e rivelò sotto l'ascella un'arma micidiale.
Corky arretrò. «Capito.» Si rivolse a Rachel. «Mike è sveglio? Stavi andando da lui?» Sembrava impaziente di unirsi alla festa.
«Veramente, Corky…»
«Dottor Marlinson» intervenne l'agente dei servizi segreti, estraendo un foglietto dalla giacca. «Secondo questo appunto, che mi è stato consegnato dal signor Tolland, ho ordini precisi di scortarla in cucina, chiedere al cuoco di prepararle il suo piatto preferito e di farmi spiegare, molto dettagliatamente, come si è salvato da morte certa…» L'agente esitò, con una smorfia mentre rileggeva la nota. «… Urinandosi addosso?»