Rachel si accodò a lui, confusa. La costruzione davanti a loro era priva di finestre e le enormi porte erano sigillate. L'unico accesso si apriva su un lato. Il presidente guidò Rachel e si fermò a pochi metri da una porta socchiusa.
«Io mi fermo qui. Lei proceda» le disse, indicandole l'ingresso.
Rachel esitava. «Non viene con me?»
«Devo tornare alla Casa Bianca, ma la contatterò presto. Ha un cellulare?»
«Certo, signore.»
«Me lo dia.»
Rachel tirò fuori il telefonino e glielo porse, convinta che lui intendesse programmarvi un numero riservato. Invece, se lo infilò in tasca.
«Ora lei è tagliata fuori da ogni contatto» disse il presidente. «Il suo posto di lavoro è stato coperto da altri. D'ora in poi, non parli con nessuno senza chiedere prima il permesso a me o al direttore della NASA.»
Rachel rimase a bocca aperta. "Il presidente mi ha sequestrato il cellulare?"
«Dopo che le avrà dato tutte le informazioni, il direttore la metterà in comunicazione con me attraverso canali sicuri. Ci sentiamo presto. Buona fortuna.»
Rachel osservò la porta dell'hangar con crescente disagio.
Il presidente Herney le appoggiò una mano rassicurante sulla spalla e accennò con il capo verso la soglia. «Le prometto, Rachel, che non rimpiangerà di avermi assistito in questa faccenda.»
Non aggiunse altro e si avviò di buon passo verso il Pave Hawk che aveva condotto Rachel lì. Senza mai voltarsi indietro, salì a bordo.
12
Rachel Sexton, sola di fronte alla porta dell'hangar di Wallops, scrutava nel buio davanti a sé. Aveva l'impressione di trovarsi in un altro mondo. Una brezza fredda e umida proveniva dal cavernoso interno, come se l'edificio respirasse. «C'è qualcuno?» chiese con voce titubante.
Silenzio.
Con crescente trepidazione, mosse un passo verso l'interno. La vista le si offuscò per un istante mentre gli occhi cercavano di adattarsi all'oscurità.
«La signora Sexton, immagino» disse una voce maschile, a pochi metri da lei.
Rachel sobbalzò prima di voltarsi verso quel suono. «Sì, signore.»
La forma indistinta di un uomo si avvicinò.
Quando la vista le si schiarì, si trovò a faccia a faccia con un giovane aitante dalla mascella quadrata con la divisa della NASA, muscoloso e atletico, il petto coperto di mostrine.
«Capitano di fregata Wayne Loosigian» si presentò. «Scusi se l'ho spaventata, signora. È molto buio, qui dentro, perché non ho ancora avuto modo di aprire le porte.» Prima che Rachel potesse replicare, aggiunse: «Avrò l'onore di essere il suo pilota, stamattina».
«Pilota?» Rachel lo fissò stupita. "Ho già avuto un pilota." «Ma io sono qui per incontrare il direttore.»
«Infatti, ho l'ordine di portarla immediatamente da lui.»
Quando si rese conto del significato di quelle parole, Rachel ebbe la sensazione di essere stata raggirata. Dunque i suoi viaggi non erano ancora finiti. «Dove si trova il direttore?» chiese diffidente.
«Non sono in possesso di questa informazione» rispose il pilota. «Riceverò le coordinate non appena ci leveremo in volo.»
Rachel comprese che l'uomo le stava dicendo la verità. Evidentemente, lei e il direttore Pickering non erano i soli a essere tenuti all'oscuro di qualcosa, quel mattino. Il presidente stava prendendo sul serio la questione della segretezza, e Rachel si sentì imbarazzata al pensiero di quanto aveva fatto in fretta a "tagliarla fuori da ogni contatto". "Sono in campo da mezz'ora, mi è stato tolto ogni mezzo di comunicazione e il mio capo non ha idea di dove mi trovo."
Di fronte all'impettito pilota, comprese che il suo programma per la mattinata era già inesorabilmente deciso. La giostra stava partendo con lei a bordo, che le piacesse o no. La domanda era dove l'avrebbe condotta.
Il pilota si diresse a grandi passi verso la parete e premette un pulsante. Il pannello di fondo dell'hangar cominciò a spostarsi rumorosamente di lato. La luce proveniente dall'esterno rivelò il profilo di una grande sagoma.
Rachel rimase a bocca aperta. "Dio mi aiuti."
Al centro dell'hangar c'era un aereo da combattimento nero, dall'aspetto minaccioso. Era il velivolo più aerodinamico che Rachel avesse mai visto. «Ma lei scherza?» sbottò.
«È una reazione comune, signora, ma le assicuro che l'F-14 Tomcat è un aereo assolutamente sicuro.»
"Un missile con le ali."
Il pilota guidò Rachel verso il caccia e le indicò la cabina a due posti. «Lei sta dietro.»
«Sul serio?» Rachel gli rivolse un sorriso tirato. «Credevo che volesse mettere me alla guida.»
Dopo avere indossato una tuta termica sopra gli abiti, Rachel dovette arrampicarsi nella cabina. Con una certa difficoltà riuscì a infilarsi nello stretto sedile. «È evidente che la NASA non assume piloti dai fianchi larghi» commentò.
Con un sorriso, il pilota la aiutò ad allacciare la cintura, poi le mise in testa un casco.
«Voleremo ad alta quota» le disse «quindi avrà bisogno di ossigeno.» Estrasse una maschera da uno sportello laterale e gliela passò intorno al casco.
«Posso fare da sola.»
«Prego, signora.»
Rachel armeggiò con il boccaglio finché non riuscì a sistemarlo. Era tremendamente scomodo e fastidioso.
Il comandante la fissò a lungo con un'espressione divertita.
«Qualcosa non va?» si informò lei.
«Assolutamente no, signora.» Sembrò reprimere una risata. «I sacchetti per il vomito sono sotto il sedile. La maggior parte delle persone si sente male la prima volta che vola su un F-14.»
«Non dovrei avere problemi» lo rassicurò Rachel, la voce attutita dalla maschera troppo stretta. «Non soffro di mal d'aria.»
Il pilota si strinse nelle spalle. «Molti incursori della marina hanno detto la stessa cosa, e poi mi sono ritrovato a ripulire la cabina dal loro vomito.»
Lei annuì debolmente. "Splendido."
«Qualche domanda prima di partire?»
Rachel esitò un momento e poi batté sul boccaglio che le premeva sul mento. «Mi blocca la circolazione. Come fate a portare questi aggeggi nei lunghi voli?»
Il pilota le rivolse un sorriso indulgente. «Be', signora, di solito non li indossiamo al contrario.»
In fondo alla pista, con i motori che fremevano sotto di lei, Rachel si sentiva come una pallottola di fucile in attesa che qualcuno premesse il grilletto. Quando il pilota spinse le manette del gas, i motori del Tomcat rombarono e l'intero mondo parve scuotersi. Tolto il freno, Rachel fu sbattuta contro lo schienale del sedile. Il jet percorse in fretta la pista e si sollevò in una manciata di secondi. All'esterno, la terra sprofondò a velocità vertiginosa.
Rachel chiuse gli occhi mentre l'aereo si impennava verso il cielo. Si chiese dove avesse sbagliato, quel mattino. Avrebbe dovuto essere alla sua scrivania a scrivere rapporti, e invece stava cavalcando su un missile alimentato a testosterone e respirava attraverso una maschera di ossigeno.
Quando il Tomcat si stabilizzò alla quota di quindicimila metri, cominciò ad avvertire un senso di nausea. Si sforzò di concentrare altrove la mente. Osservando l'oceano, quindici chilometri sotto di lei, si sentì all'improvviso molto lontana da casa.
Davanti a lei, il pilota stava parlando via radio. Terminata la conversazione, virò repentinamente a sinistra. Il Tomcat si inclinò quasi in verticale e Rachel sentì lo stomaco fare una capriola. Infine, l'aereo tornò in volo livellato.
Rachel gemette. «Grazie di avermi avvisata, Topgun.»
«Scusi, signora, ma mi hanno appena comunicato le coordinate riservate del suo incontro con il direttore.»
«Mi lasci indovinare: andiamo a nord?»
Il pilota parve confuso. «Come lo sa?»
Rachel sospirò. "Bisogna comprenderli, questi piloti addestrati al computer." «È mattino, amico, e il sole si trova alla nostra destra, quindi siamo diretti a nord.»