Un momento di silenzio in cabina. «Sì, puntiamo a nord.»
«Quanto a nord?»
Il pilota controllò le coordinate. «Circa cinquemila chilometri.»
Rachel si drizzò sul sedile. «Cosa?» Cercò di raffigurarsi una mappa per individuare quale luogo si potesse trovare tanto a nord. «Ma sono quattro ore di volo!»
«Sì, alla nostra attuale velocità. Si tenga forte, prego.»
Prima di darle il tempo di replicare, l'uomo ridusse l'apertura alare dell'F-14 per minimizzare l'attrito. Un istante dopo, Rachel si sentì di nuovo schiacciare contro lo schienale mentre l'aereo schizzava in avanti come se fino a quel momento fosse stato fermo. Nel giro di un minuto viaggiavano a quasi duemilacinquecento chilometri l'ora.
Rachel si sentiva veramente stordita. Mentre il cielo le sfilava accanto a velocità accecante, avvertì un'insopprimibile ondata di nausea. La voce del presidente echeggiò debole alle sue orecchie: "Le prometto, Rachel, che non rimpiangerà di avermi assistito in questa faccenda".
Con un lamento, Rachel prese il sacchetto per il vomito. "Mai fidarsi di un politico."
13
Pur disdegnando lo squallore delle auto pubbliche, il senatore Sedgewick Sexton aveva imparato a sopportare qualche occasionale caduta di stile lungo la strada verso la gloria. Lo sporco taxi della Mayflower che lo aveva appena depositato al piano inferiore del garage del Purdue Hotel gli garantiva quel che la sua lunga limousine gli negava, l'anonimato.
Lo rallegrò notare che il piano era deserto: solo qualche auto in quella foresta di pilastri di cemento. Mentre attraversava il garage a piedi, diede un'occhiata all'orologio.
"Undici e quindici. Perfetto."
L'uomo che stava per incontrare era fissato con la puntualità. In effetti, si disse Sexton, quel tizio, considerando chi rappresentava, poteva avere tutte le fisse che voleva.
Come nei precedenti incontri, la monovolume Ford Windstar era parcheggiata nell'angolo orientale del garage, dietro una fila di bidoni dell'immondizia. Sexton avrebbe preferito che l'incontro avvenisse in una delle suite ai piani superiori, ma comprendeva la prudenza. Gli amici di quell'uomo avevano raggiunto certe posizioni soltanto prestando la massima attenzione ai particolari.
Mentre si dirigeva verso l'auto, il senatore avvertì la tensione che sempre caratterizzava quegli incontri. Sforzandosi di rilassare le spalle, sedette al posto del passeggero salutando con un cordiale cenno della mano il signore bruno al volante, che non sorrise. Quell'uomo aveva quasi settant'anni e la pelle coriacea trasudava una durezza adeguata alla sua posizione di delegato di un esercito di impudenti visionari e aggressivi imprenditori.
«Chiuda la portiera» ordinò con voce ruvida.
Sexton ubbidì, sopportando con garbo il tono burbero. In fin dei conti quell'individuo rappresentava uomini che controllavano enormi somme di denaro, molte delle quali erano state versate di recente per spingere Sedgewick Sexton sulla soglia del più potente ufficio del mondo. Quegli incontri, aveva capito Sexton con il tempo, non erano volti tanto a delineare la strategia mensile quanto a fargli presente il debito di riconoscenza nei confronti dei suoi benefattori. Evidentemente si aspettavano un buon ritorno dai loro investimenti. Il "ritorno", doveva ammettere, era una richiesta di incredibile sfacciataggine, ma era ancora più incredibile che quella richiesta sarebbe rientrata nella sfera decisionale di Sexton, una volta messo piede nello Studio Ovale.
«Deduco che è stato effettuato un altro versamento» esordì il senatore, consapevole che quell'uomo amava andare subito al dunque.
«Infatti… e, come al solito, lei dovrà utilizzare questi fondi esclusivamente per la campagna elettorale. Abbiamo constatato con piacere che dai sondaggi lei risulta favorito e che gli organizzatori della sua campagna spendono bene i nostri soldi.»
«Stiamo conquistando consensi rapidamente.»
«Come le ho già accennato al telefono» continuò il suo anziano interlocutore «ho persuaso altre sei persone a partecipare alla riunione di questa sera.»
«Ottimo.» Sexton aveva già appuntato in agenda quell'incontro.
L'altro gli porse una cartellina. «Ecco qui le informazioni. Le studi con attenzione. Vogliono essere sicuri che lei comprenda bene i loro interessi. E, soprattutto, che lei li condivida. Le suggerisco di accoglierli nella sua residenza.»
«A casa mia? Per la verità, di solito…»
«Senatore, questi sei uomini amministrano società che possiedono risorse decisamente maggiori rispetto a quelli che lei ha già conosciuto. Sono pesci grossi, e molto prudenti. Hanno più da guadagnare, e quindi più da perdere. Ho avuto un bel daffare per persuaderli a vederla, ed è necessario un trattamento speciale, un tocco personale.»
Sexton assentì con un cenno del capo. «Capisco. Organizzerò la riunione da me.»
«Ovviamente, desiderano la massima discrezione.»
«Anch'io.»
«Buona fortuna. Se tutto va bene, quello di stasera potrebbe essere il vostro ultimo incontro. Questi uomini da soli possono fornire tutto ciò che serve per imprimere la spinta decisiva alla sua campagna.»
Sexton gradì il suono di quelle parole. Rivolse all'uomo un sorriso fiducioso. «Con un po' di fortuna, amico mio, quando ci saranno le elezioni potremo tutti proclamare vittoria.»
«Vittoria?» L'uomo aggrottò la fronte e rivolse a Sexton uno sguardo torvo. «Insediarla alla Casa Bianca è soltanto il primo passo verso la vittoria, senatore. Spero che non lo dimentichi.»
14
La Casa Bianca è una delle più piccole residenze presidenziali del mondo, con i suoi cinquanta metri di lunghezza e venticinque di profondità, situata in soli sette ettari di terreno. Il progetto dell'architetto James Hoban, una struttura in pietra a pianta rettangolare con tetto a quattro spioventi e fronte colonnata, per quanto chiaramente poco originale, fu scelto attraverso un concorso aperto dai giudici che ne apprezzarono "l'eleganza, la maestosità e l'adattabilità".
Il presidente Zach Herney, anche dopo tre anni e mezzo di permanenza, di rado si sentiva a casa fra tutti quei lampadari a gocce, mobili d'antiquariato e marine armati fino ai denti. Ma in quel momento marciava a passo deciso verso l'ala Ovest, rinvigorito e stranamente a suo agio, i piedi leggeri sulla folta moquette.
Parecchi membri dello staff alzarono lo sguardo nel vederlo. Herney li salutò con un cenno della mano chiamandoli per nome a uno a uno. Le risposte, ancorché educate, furono sommesse e accompagnate da sorrisi forzati.
«Buongiorno, signor presidente.»
«È un piacere rivederla, signor presidente.»
«Buona giornata, signore.»
Si avviò verso il suo ufficio accompagnato da mormorii alle spalle. Era in corso un'insurrezione all'interno della Casa Bianca. Nelle ultime due settimane, il malcontento al 1600 di Pennsylvania Avenue era cresciuto a tal punto che Herney cominciava a sentirsi il capitano Bligh, alla testa di una nave in difficoltà con un equipaggio pronto all'ammutinamento.
Non biasimava i suoi collaboratori, che avevano lavorato fino a ore impossibili per la campagna elettorale e in quel momento, all'improvviso, avevano l'impressione che lui stesse mancando la palla.
"Capiranno presto" si disse. "Presto tornerò a essere il loro eroe."
Gli dispiaceva tenere all'oscuro il suo staff tanto a lungo, ma la riservatezza era troppo importante. E quando si trattava di mantenere un segreto la Casa Bianca era nota come la nave più piena di falle di tutta Washington.
Nella sala d'attesa davanti allo Studio Ovale, Herney salutò calorosamente la segretaria. «Ha un ottimo aspetto stamattina, Dolores.»
«Anche lei, signore» rispose, osservando l'abbigliamento sportivo con malcelata disapprovazione.