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«No, ma…» Rachel non aveva visto traccia di grandi attrezzature per scavi all'interno dell'habisfera. «Come diavolo pensano di estrarlo?»

Corky sbuffò. «Nessun problema. Tenga conto che lei si trova in un locale pieno di scienziati spaziali!»

«Balle. Il fatto è che al dottor Marlinson piace provocare. In realtà, non si sapeva bene come fare a tirare fuori il meteorite, ma poi Mangor ha proposto una soluzione praticabile.»

«Non l'ho ancora conosciuto.»

«Facoltà di glaciologia, università del New Hampshire. Il quarto e ultimo civile reclutato dal presidente» precisò Tolland. «E Ming ha ragione; proprio Mangor ha trovato il modo.»

«Bene, che cos'ha escogitato questo tizio?»

«Tizia, per la verità. Mangor è una donna.»

«Questo resta da dimostrare» bofonchiò Corky. Poi, rivolto a Racheclass="underline" «A proposito, sono certo che la dottoressa Mangor la odierà».

Tolland gli lanciò un'occhiataccia.

«Vedrai!» si difese Corky. «Lei si metterà subito in competizione.»

Rachel era smarrita. «Scusate? Quale competizione?»

«Ignoralo» le suggerì Tolland. «Purtroppo la totale imbecillità di Corky è misteriosamente sfuggita al National Science Committee, il Comitato nazionale per la scienza che gli ha conferito il premio. Andrai d'accordissimo con la dottoressa Mangor. È una professionista, una delle migliori nel suo campo. Ha addirittura trascorso alcuni anni in Antartide per studiare i movimenti dei ghiacci.»

«Strano» insistette Corky. «A me risulta invece che la sua università ha usato una donazione per mandarcela, così da poter avere un po' di pace.»

«Ma non sai che per poco non c'è morta, laggiù?» sbottò Ming, prendendo il commento come un'offesa personale. «Si è perduta in una tempesta e ha vissuto di grasso di foca per cinque settimane prima che qualcuno la trovasse.»

«Io ho saputo che nessuno la cercava» sussurrò Corky all'orecchio di Rachel.

26

Gabrielle Ashe trovò interminabile il viaggio di ritorno dagli studi della CNN all'ufficio di Sexton. Il senatore, di fronte a lei, guardava fuori dal finestrino della limousine, visibilmente felice per l'esito del dibattito.

«Se hanno mandato la Tench, questo pomeriggio, significa che sono in agitazione alla Casa Bianca» le disse con un sorriso smagliante.

Gabrielle fece un vago cenno di assenso. Aveva colto un'espressione di maligna soddisfazione sul viso di Marjorie Tench mentre si allontanava in macchina. E ciò l'aveva innervosita.

Il cellulare privato di Sexton squillò, e il senatore affondò la mano in tasca per pescarlo. Come la maggior parte dei politici, aveva una gerarchia di numeri telefonici destinati a persone specifiche, a seconda del Kvello di importanza. Chi lo stava chiamando in quel momento era in cima alla lista, perché la telefonata era sulla sua linea privata, che perfino Gabrielle era tenuta a usare solo in casi estremi.

«Senatore Sedgewick Sexton» rispose in tono squillante, accentuando la musicalità del suo nome.

Gabrielle non riusciva a percepire la voce all'altro capo del telefono, sovrastata dal rumore del motore, ma Sexton ascoltò attentamente prima di rispondere con entusiasmo: «Fantastico. Sono molto felice che mi abbia chiamato. Che ne dice delle sei? Ottimo. Ho un appartamento privato qui a Washington, molto confortevole. Ha l'indirizzo esatto? Bene. Ci vediamo nel tardo pomeriggio, allora». Chiuse la comunicazione con aria compiaciuta.

«Un nuovo fan di Sexton?» chiese Gabrielle.

«Si stanno moltiplicando. Questo è un pezzo grosso.»

«Evidente, visto che lo incontra a casa sua.» Di solito, Sexton difendeva come un leone la sacra privacy del suo appartamento, l'ultimo nascondiglio che gli restava.

Sexton si strinse nelle spalle. «Infatti. Ho pensato di dare un tocco personale all'incontro. Questo tizio potrebbe avere un grosso peso nella volata finale, e quindi è necessario stabilire dei rapporti personali; sai, come sempre si tratta di una questione di fiducia.»

Gabrielle annuì mentre tirava fuori l'agenda di Sexton. «Vuole che glielo metta in agenda?»

«Non c'è bisogno. Avevo comunque in mente di passare la serata a casa.»

Gabrielle trovò la pagina di quel giorno e notò che sullo spazio dedicato alla serata era già stata tracciata una riga e Sexton vi aveva scritto di suo pugno le lettere IP, la sigla per Incontro Personale o Impegno Privato. Di tanto in tanto, il senatore annotava una serata IP per rintanarsi in casa, staccare il telefono e fare quello che più gli piaceva: sorseggiare brandy con vecchi amici e fingere di dimenticare la politica per qualche ora.

Gabrielle parve sorpresa. «Sul serio permette che gli affari le mandino a monte una serata IP? Sono davvero esterrefatta.»

«Avevo del tempo libero. Gli parlerò per sentire che cos'ha da dire.»

Gabrielle avrebbe voluto chiedergli chi fosse l'interlocutore misterioso, ma Sexton appariva intenzionato a lasciare la cosa nel vago, e lei sapeva quando non era il caso di fare domande.

Mentre imboccavano l'uscita della tangenziale per tornare verso l'ufficio di Sexton, l'occhio di Gabrielle cadde di nuovo sulla riga e la sigla IP tracciate sull'agenda. In quell'attimo ebbe la strana sensazione che il senatore fosse stato in attesa di quella telefonata.

27

Il ghiaccio al centro dell'habisfera della NASA era dominato da un traliccio alto cinque o sei metri poggiato su tre piedi, una via di mezzo fra una torre di trivellazione e un modellino della Tour Eiffel. Nell'osservare quella struttura, Rachel si chiese come potesse essere usata per estrarre l'enorme meteorite.

Sotto la torre, parecchi verricelli erano stati posizionati su piastre d'acciaio fissate sul ghiaccio con bulloni massicci. Alcuni cavi di ferro, avvolti sui verricelli, si innalzavano verso una serie di pulegge poste in cima alla struttura. Da lì, i cavi scendevano verticalmente in fori praticati nel ghiaccio. Diversi uomini robusti si davano il turno per azionare i verricelli. A ogni nuovo giro, i cavi risalivano di qualche centimetro, come se salpassero un'ancora.

"Evidentemente mi sfugge qualcosa" si disse Rachel, mentre gli altri si avvicinavano. Sembrava che gli uomini intendessero estrarre il meteorite direttamente dal ghiaccio.

«Niente strattoni, accidenti!» urlò una voce femminile, con la grazia di una motosega.

Rachel si voltò e vide una donna bassa in tuta termica giallo acceso macchiata di grasso. Le voltava la schiena, ma si capiva chiaramente che era lei a dirigere l'operazione. Prendeva appunti su un blocco e camminava avanti e indietro come un allenatore infuriato.

«Non ditemi che siete stanchi, signorine!»

«Ehi, Norah, smetti di maltrattare questi poveri ragazzi della NASA e vieni ad amoreggiare con me!» le gridò Corky.

La donna non accennò neppure a voltarsi. «Sei tu, Marlinson? Riconoscerei ovunque la tua vocina. Torna quando avrai raggiunto la pubertà.»

Corky si rivolse a Rachel. «Norah ci scalda con il suo fascino.»

«Ho sentito, figlio dello spazio» ribatté la dottoressa Mangor, continuando a prendere appunti. «E se per caso mi stai guardando il culo, tieni conto che questi pantaloni imbottiti mi ingrassano di quindici chili.»

«Non preoccuparti. Non è il tuo lanoso culo da mammut a eccitarmi, ma il tuo carattere seducente.»

«Vaffanculo.»

Corky rise di nuovo. «Grandi novità, Norah. A quanto pare non sei più l'unica donna reclutata dal presidente.»

«Non dire stronzate, aveva già reclutato te.»

Tolland interruppe lo scambio di frecciate. «Norah? Hai un minuto per conoscere una persona?»

Al suono della voce di Tolland, la Mangor interruppe quello che stava facendo e si voltò. L'atteggiamento da dura si ammorbidì all'istante. «Mike!» gli corse incontro, estasiata. «Non ti vedo da qualche ora.»