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Rachel si sentì arrossire. «Ma allora che tipo di intervento aveva in mente?»

«Uno più adeguato alla sua posizione.»

«Cioè?»

«Lei è il referente per l'intelligence alla Casa Bianca. Informa il mio staff su questioni di importanza nazionale.»

«Vuole che io confermi la scoperta al suo staff

Herney sembrò divertito dall'equivoco. «Proprio così. Lo scetticismo che mi trovo ad affrontare fuori dalla Casa Bianca non è nulla in rapporto a quello manifestato dal mio staff in questo momento. È in corso un vero e proprio ammutinamento. Il mio prestigio qui dentro è ai minimi storici. Il mio staff mi ha scongiurato di tagliare i fondi alla NASA. Io l'ho ignorato, ma è stato un suicidio politico.»

«Fino a questo momento.»

«Esatto. Come ci siamo detti questa mattina, la coincidenza temporale della scoperta sembrerà sospetta agli scettici di professione, e nessuno è più scettico del mio staff, in questo periodo. Quindi, mi farebbe piacere che questa clamorosa notizia fosse annunciata da…»

«Non ha ancora parlato ai suoi del meteorite?»

«Solo a pochi consiglieri scelti. Era assolutamente fondamentale mantenere segreta la scoperta.»

Rachel era esterrefatta. "Non c'è da stupirsi se tira aria di ammutinamento." «Ma questo non è il mio campo. È difficile considerare un meteorite una questione che ha a che fare con l'intelligence.»

«Non in senso tradizionale, ma certamente ci sono tutti gli elementi del suo normale lavoro: dati complessi da sintetizzare, conseguenze politiche di vasta portata…»

«Non sono una specialista di meteoriti, signore. Non sarebbe più opportuno che a informare il suo staff fosse il direttore della NASA?»

«Sta scherzando? Qui tutti lo vedono come il venditore di fumo che mi ha fatto concludere un pessimo affare dopo l'altro.»

Rachel comprese la situazione. «Che ne dice di Corky Marlinson, il Premio nazionale per l'astrofisica? È sicuramente più attendibile di me.»

«Rachel, il mio staff è composto di politici, non di scienziati. Lei ha conosciuto il dottor Mailinson. Lo giudico una persona splendida, ma se mettessi in campo un astrofisico con la mia squadra di intellettuali creativi, sempre in cerca di significati reconditi, finirei con un branco di cervi accecati dai fari. Mi serve una persona che sappia parlare in modo chiaro. È lei quella giusta, Rachel. Il mio staff conosce già il suo lavoro e, considerato il suo cognome, lei appare la portavoce più imparziale che io possa presentare.»

Rachel si sentì trascinata dall'affabilità del presidente. «Quanto meno ammette che il fatto che io sia la figlia del suo avversario ha qualcosa a che vedere con la richiesta.»

Il presidente si lasciò andare a una risata imbarazzata. «Naturale. Ma, come può immaginare, il mio staff sarà comunque informato, prima o poi, a prescindere dalla sua decisione. Lei non è la torta, Rachel, ma soltanto la ciliegina. È la persona più qualificata a rivelare l'informazione e, casualmente, è anche una parente stretta dell'uomo che vuole gettare fuori a calci il mio staff dalla Casa Bianca, alla fine del mio mandato. Quindi è credibile per due diverse ragioni.»

«Dovrebbe fare il venditore.»

«È quello che faccio, come pure suo padre. E, in tutta sincerità, mi piacerebbe concludere l'affare, tanto per cambiare.» Sfilò gli occhiali e i suoi occhi si fissarono sullo schermo. Qualcosa, in quello sguardo, le ricordò suo padre. «Glielo chiedo come favore e anche perché lo ritengo parte del suo lavoro. Allora, che mi dice? Sì o no? Ha intenzione di informare il mio staff della scoperta?»

Rachel si sentì intrappolata dentro la minuscola scatola del PSC. "Non c'è nessuno come uno che sappia vendere." Anche a cinquemila chilometri di distanza, percepiva la determinazione di quell'uomo che premeva dallo schermo televisivo. Capiva anche che quella era una richiesta ragionevole, che le piacesse o no. «A una condizione» rispose.

«Cioè?»

«Parlerò con il suo staff in privato. Niente giornalisti. La mia non è una dichiarazione pubblica.»

«Ha la mia parola. L'incontro è già programmato in un luogo molto riservato.»

Rachel sospirò. «D'accordo, allora.»

«Ottimo.» Il presidente parve raggiante.

Rachel constatò con sorpresa che erano già le quattro passate. «Aspetti» disse, perplessa. «Se lei va in onda alle venti, non c'è tempo. Anche su quell'orribile aggeggio su cui mi ha spedito qui, non mi è possibile arrivare alla Casa Bianca in meno di due ore. Devo preparare gli appunti e…»

Il presidente scosse la testa. «Temo di non essermi spiegato. Darà le informazioni da dove si trova in videoconferenza.»

«Ah.» Rachel esitava. «Che ora aveva in mente?»

Herney sorrise. «Che ne dice di subito? Sono già tutti riuniti e fissano un grosso televisore spento. Stanno aspettando solo lei.»

Rachel sentì il corpo entrare in tensione. «Ma, signore, sono assolutamente impreparata, non posso…»

«Mi dica la verità. È proprio così difficile?»

«Ma…»

«Rachel.» Il presidente si sporse verso lo schermo. «Lei si guadagna da vivere raccogliendo dati e rielaborandoli. È il suo mestiere. Si limiti a raccontare quello che ha visto.» Allungò la mano per premere un pulsante su un'apparecchiatura, poi si fermò. «Sarà lieta di sapere che la farò parlare da una posizione di prestigio.»

Rachel non comprese che cosa intendesse, ma non fece in tempo a chiederlo. Il presidente premette l'interruttore.

Lo schermo davanti a lei divenne bianco per un momento, poi, quando riprese a trasmettere, le mandò l'immagine più terrorizzante che avesse mai visto. Proprio davanti a lei, lo Studio Ovale della Casa Bianca. Pieno zeppo. Posti solo in piedi. Lo staff sembrava al gran completo e tutti la fissavano. Rachel si rese conto che la vedevano sopra la scrivania del presidente.

"Parlare da una posizione di prestigio." Stava già sudando.

Dall'espressione sui volti che la osservavano, tutti parevano sorpresi di vederla, quanto lei era sorpresa di vedere loro.

«Signora Sexton?» la chiamò una voce graffiante.

Rachel scrutò in quel mare di visi e scoprì chi aveva parlato: una donna allampanata che si stava sedendo in prima fila. Marjorie Tench. Impossibile non riconoscerla, anche tra la folla.

«Grazie di essere con noi, signora Sexton» disse Marjorie Tench, in tono compiaciuto. «Il presidente ci ha detto che ha una notizia da darci.»

33

Approfittando del buio, il paleontologo Wailee Ming rifletteva tranquillo nella sua postazione di lavoro, i sensi allertati dall'aspettativa per la serata. "Presto sarò il paleontologo più famoso del mondo." Sperava che Michael Tolland fosse stato generoso con lui e nel documentario avesse dato ampio spazio ai suoi commenti.

Mentre pregustava un futuro glorioso, percepì una debole vibrazione nel ghiaccio sotto i suoi piedi. Si alzò di scatto. Vivere a Los Angeles, zona di terremoti, lo aveva reso ipersensibile alla minima oscillazione del suolo. Si diede subito dello sciocco: quel fenomeno era perfettamente naturale. "Una semplice frana" si disse, con un sospiro di sollievo. Ancora non si era abituato. A intervalli di poche ore, un rombo distante risuonava nella notte per la banchisa quando un enorme blocco di ghiaccio si staccava cadendo in mare. Bella la definizione di Norah Mangor per l'evento: "Sta nascendo un nuovo iceberg…".

In piedi, Ming si stirò. In distanza, sotto il bagliore dei riflettori, vide una folla intenta a festeggiare ma, poiché non era il tipo da feste, si diresse verso la parte opposta dell'habisfera.

Il labirinto di postazioni di lavoro appariva come una città fantasma e sotto l'intera cupola aleggiava un'atmosfera sepolcrale. Percorso da un brivido, abbottonò fino in fondo il giaccone di cammello.