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Quella tecnica, inventata dalla mafia russa, si chiamava "byelaya smert", la morte bianca. La vittima sarebbe soffocata prima che la neve si sciogliesse, ma il suo corpo sarebbe rimasto caldo abbastanza a lungo per far fondere il blocco gelato. Anche se qualcuno avesse avuto dei sospetti, non avrebbe trovato alcuna arma del delitto, né segni di violenza. Le pallottole di ghiaccio si sarebbero confuse con l'ambiente, sepolte nella neve, e la ferita sulla testa di quella donna sarebbe stata attribuita a una brutta caduta sul ghiaccio, più che naturale con quel vento impetuoso. Prima o poi, forse, il gioco sarebbe stato scoperto, ma intanto loro avrebbero guadagnato tempo.

Gli altri tre sarebbero stati resi inoffensivi e uccisi nello stesso modo. Poi Delta-Uno li avrebbe caricati sulla slitta e trascinati tutti qualche centinaio di metri fuori rotta, avrebbe riallacciato le corde che li legavano e sistemato i corpi, destinati a essere ritrovati congelati nella neve, vittime apparenti dell'ipotermia, nel giro di qualche ora. I soccorritori si sarebbero chiesti come mai si trovassero lontani dalla loro destinazione, ma nessuno sarebbe stato più di tanto sorpreso della loro morte, viste le torce ormai esaurite e il tempo inclemente. Perdersi sulla banchisa di Milne poteva rappresentare una trappola micidiale.

Delta-Uno aveva finito di riempire di neve la gola della donna. Prima di volgere l'attenzione agli altri, sganciò la corda della vittima. L'avrebbe riallacciata agli altri in un secondo momento. Non voleva che i due dietro la slitta la tirassero verso di loro per prestarle soccorso.

Michael Tolland aveva appena assistito al più efferato atto criminale che il lato oscuro della sua mente avesse mai potuto concepire. Dopo avere sciolto Norah Mangor dalla cordata, i tre aggressori stavano per dirigersi verso Corky.

"Devo fare qualcosa!"

Corky era rinvenuto e si lamentava, cercando di mettersi a sedere, quando uno dei soldati lo spinse giù di schiena, si mise a cavalcioni su di lui e gli inchiodò le braccia sul ghiaccio poggiandovi sopra le ginocchia. Corky emise un grido di dolore, immediatamente inghiottito dalla furia del vento.

Preso da un folle terrore, Tolland frugò tra il contenuto sparso della slitta rovesciata. "Deve pur esserci qualcosa! Un'arma! Qualsiasi cosa!" Non vide altro che l'attrezzatura scientifica, quasi tutta spaccata dai proiettili di ghiaccio. Al suo fianco, Rachel, stordita, cercava di mettersi seduta usando la piccozza come appoggio. «Scappa… Mike…»

Tolland vide la piccozza legata al polso di Rachel. Poteva essere un'arma. Si chiese con quali possibilità di successo poteva attaccare tre uomini armati con una minuscola piccozza.

Un suicidio.

Dopo che Rachel si fu messa a sedere, Tolland scorse qualcosa dietro di lei. Una voluminosa sacca di vinile. Pregando disperatamente che contenesse una pistola lanciarazzi o una radio, strisciò fino ad afferrarla. Dentro trovò un grande telo ben ripiegato di tessuto Mylar. Inservibile. Aveva qualcosa di simile sulla sua nave oceanografica. Era un piccolo pallone meteorologico, progettato per trasportare strumenti di osservazione non più pesanti di un personal computer. Non sarebbe servito a nulla in quel posto, tanto più senza una bombola di elio.

Udendo i rumori crescenti della lotta di Corky, Tolland avvertì una sensazione di impotenza che non provava da anni. Cupa disperazione. Sconfitta finale. Come si dice accada poco prima della morte, nella sua mente sfilò una serie di immagini dell'infanzia, da lungo tempo dimenticate. Per un istante si ritrovò in barca a San Pedro, a imparare il vecchio passatempo dei marinai, volare attaccati allo spinnaker: appesi a una cima annodata, si volava sull'acqua e si cadeva dentro tra le risate, come bambini aggrappati alla corda di una campana, il destino determinato dallo spinnaker gonfio di vento e dai capricci della brezza.

I suoi occhi scattarono all'istante sul pallone di Mylar nella sua mano e comprese allora che la mente, lungi dall'essersi arresa, gli suggeriva la soluzione. "Volare attaccati a uno spinnaker."

Corky continuava a lottare contro il suo aggressore quando Tolland strappò la custodia del pallone. Non si faceva illusioni; il suo era un tentativo disperato, ma restare lì significava morte certa per tutti. Afferrò il telo di Mylar. Sulla fibbia, un avvertimento: ATTENZIONE, NON USARE CON VENTO SUPERIORE AI DIECI NODI.

"Al diavolo!" Stringendolo con forza perché non si aprisse, avanzò verso Rachel, appoggiata su un fianco. Lesse lo stupore nei suoi occhi quando le gridò: «Tieni!».

Le porse il tessuto piegato e finalmente, con le mani libere, assicurò la fibbia del pallone a uno dei moschettoni appesi alla sua imbracatura. Rotolò sul fianco e lo agganciò anche a un moschettone di Rachel.

A quel punto erano uniti.

"Legati per l'anca."

In mezzo a loro, la corda molle si estendeva sulla neve fino a Corky che si dibatteva… e poi, dieci metri oltre, al moschettone sganciato al fianco di Norah Mangor.

"Norah è già morta" si disse. "Per lei, non si può più fare nulla."

Gli aggressori erano accovacciati sul corpo di Corky che continuava a lottare, e stavano prendendo una manciata di neve, pronti a cacciargliela in gola. Tolland capì che non c'era più tempo da perdere.

Prese il pallone piegato dalle mani di Rachel. Il tessuto era leggero come carta e praticamente indistruttibile. "Non c'è altro da fare." «Reggiti forte!»

«Mike?» Rachel non capiva. «Cosa…?»

Tolland lanciò il telo di Mylar in aria, sopra le loro teste. Il vento ululante lo trascinò in alto e lo allargò come un paracadute catturato dall'uragano. L'involucro si riempì all'istante, spalancandosi con un rumore secco.

Tolland sentì strattonare l'imbracatura e capì all'istante di avere sottovalutato la violenza del vento catabatico. Nel giro di un secondo, lui e Rachel furono quasi sollevati da terra, trascinati giù per il ghiacciaio. Un momento dopo, un altro strattone: era entrata in tensione la corda che lo legava a Corky Marlinson. Venti metri dietro, il suo amico terrorizzato sgusciò via da sotto i suoi sbalorditi aggressori, mandandone uno a gambe all'aria. Corky lanciò un urlo di terrore quando cominciò ad accelerare sul ghiaccio, mancando di poco la slitta rovesciata e poi procedendo a zigzag. Una seconda corda pendeva molle al fianco di Corky… quella che lo aveva legato a Norah Mangor.

"Non potevi fare nulla per lei" ripeté Tolland fra sé.

Come una massa aggrovigliata di marionette umane, i tre corpi scivolarono giù per la banchisa, inseguiti da proiettili di ghiaccio. Ma Tolland comprese che gli aggressori avevano perduto la loro occasione. Dietro di lui, i soldati vestiti di bianco scomparvero alla vista, rimpicciolendo fino a diventare puntini luminati dal bagliore delle torce.

Tolland sentiva il ghiaccio lacerare l'imbottitura della tuta, e il sollievo della fuga durò poco. A tre chilometri davanti a loro, la banchisa di Milne terminava bruscamente in una ripida scogliera e, al di là di quella, un salto di trenta metri giù tra le onde furiose e letali del mare Artico.

52

Marjorie Tench scese con aria soddisfatta all'ufficio comunicazioni della Casa Bianca, la struttura computerizzata che diffondeva gli annunci predisposti al piano superiore, nell'ufficio stampa. L'incontro con Gabrielle Ashe era andato bene. Non era sicura di ottenere da lei una confessione firmata, ma era valsa la pena tentare.

"Gabrielle farebbe meglio a mollarlo" si disse. Quella povera ragazza non aveva idea di quanto sarebbe stata rovinosa la caduta di Sexton.

Ancora poche ore, poi il presidente avrebbe annunciato il ritrovamento del meteorite, mettendo in ginocchio il senatore. Ormai era fatta. Se Gabrielle Ashe avesse collaborato, avrebbe assestato a Sexton un colpo tale da farlo strisciare via pieno di vergogna. L'indomani mattina, lei avrebbe consegnato alla stampa la dichiarazione di Gabrielle insieme alla registrazione della smentita del senatore.