Delta-Uno fu sorpreso di vedere i tre fuggitivi ancora vivi, ma sapeva che non lo sarebbero stati per molto. Erano caduti su una parte di ghiacciaio che aveva già iniziato l'inarrestabile caduta in mare. Quei tre potevano essere ridotti all'impotenza e uccisi come l'altra donna, ma gli venne in mente una soluzione molto più pulita per far sparire i corpi.
Guardando oltre il bordo, Delta-Uno mise a fuoco il crepaccio che aveva iniziato ad aprirsi tra la parete e il blocco di ghiaccio sospeso. La zona su cui si trovavano i tre fuggitivi era in equilibrio precario… pronta a staccarsi e precipitare nel mare sottostante in qualsiasi momento.
"Perché non adesso, allora?"
Sulla banchisa, spesso nella notte si sentiva un boato assordante, il rumore del ghiaccio che si staccava per cadere in acqua. Chi se ne sarebbe accorto?
Avvertendo la nota scarica di adrenalina che accompagnava la preparazione di un omicidio, Delta-Uno pescò nello zaino un oggetto pesante, a forma di limone. In dotazione a tutte le squadre militari di assalto, la cosiddetta "flash-bang" era una granata a percussione non letale che disorientava temporaneamente il nemico con un lampo accecante e un'assordante onda sonora. Ma Delta-Uno sapeva che quel giorno si sarebbe rivelata sicuramente letale.
Si posizionò vicino al bordo chiedendosi quanto fosse profondo il crepaccio. Dieci o quindici metri? Poco importava. Il suo piano sarebbe riuscito comunque.
Con la calma che gli veniva dall'esperienza di innumerevoli esecuzioni, Delta-Uno impostò il selettore perché la detonazione avvenisse dieci secondi dopo il lancio, tolse la sicura e lanciò la granata nella fenditura. L'ordigno scomparve nell'oscurità.
Delta-Uno e il compagno rimasero in attesa in cima alla berma. Quello era uno spettacolo che non volevano perdersi.
Rachel, per quanto confusa, aveva un'idea molto precisa di quello che gli inseguitori avevano appena buttato nel crepaccio. Forse lo comprese anche Michael Tolland, oppure lesse il panico nei suoi occhi, perché lo vide impallidire, lanciare un'occhiata terrorizzata oltre il lastrone su cui si erano arenati e rendersi conto dell'inevitabile conclusione.
Come una nuvola temporalesca rischiarata all'interno da un lampo, il ghiaccio sotto Rachel si illuminò dal basso. Lo spettrale bagliore si riverberò in ogni direzione. Per una trentina di metri intorno a loro, il ghiacciaio mandò un lampo bianco, subito seguito dal rumore: non un boato come quello del terremoto, ma un'assordante onda d'urto di spaventosa forza che dal ghiaccio penetrava nel suo corpo.
Un istante dopo, come se vi fosse stato inserito un cuneo, il blocco di ghiaccio che li sosteneva si staccò dalla banchisa con un rumore terrificante. Rachel e Tolland si fissarono con un'espressione di orrore. Corky lanciò un urlo.
Sentirono mancare il terreno sotto i piedi.
A Rachel parve di essere priva di peso, sospesa su un blocco gelido di milioni di quintali, prima di precipitare dall'iceberg nel mare gelido.
56
Il rumore assordante del ghiaccio contro il ghiaccio aggredì le orecchie di Rachel quando il massiccio lastrone scivolò lungo la parete della banchisa di Milne, sollevando enormi spruzzi. Rachel, che poco prima si era sentita priva di peso, atterrò violentemente, seguita da Tolland e Corky.
Quando il blocco, acquistata velocità durante la caduta, si immerse in acqua, Rachel vide il mare spumeggiante avanzare verso di lei con una specie di assurdo rallentamento, come il terreno sotto un bungee-jumper con una corda troppo lunga. Saliva… saliva… e poi eccolo. Stava rivivendo l'incubo della sua infanzia. "Il ghiaccio… l'acqua… l'oscurità." Un terrore primordiale l'assalì.
Il bordo superiore del lastrone scivolò sotto il livello dell'acqua, e il gelido mare Artico vi si riversò come un torrente. Circondata da tutte le parti, a Rachel parve di essere risucchiata dalle onde. La pelle del viso era tesa e bruciante. Il basamento di ghiaccio scomparve sotto di lei, che si trovò a lottare per riemergere, aiutata dalla gelatina dentro la tuta. Nel risalire, inghiottì una boccata d'acqua. Vedeva gli altri nuotare vicini, intralciati dall'imbracatura.
Tolland gridò. «Sta risalendo!»
Mentre le sue parole riecheggiavano al di sopra del rumore, Rachel si sentì sollevare. Come una gigantesca locomotiva che sforzi per cambiare direzione, il blocco di ghiaccio si era fermato un momento sotto la superficie e ora ricominciava a riemergere.
Nelle profondità, un boato a bassa frequenza risuonò nell'acqua quando il gigantesco lastrone sommerso prese ad avanzare su per la parete del ghiacciaio.
Emerse in fretta, accelerando sempre più nel buio. Rachel si sentì sospingere in alto. Il mare gorgogliava rabbioso quando il ghiaccio urtò contro il suo corpo. Si dibatté invano, cercando di trovare l'equilibrio, ma fu spinta verso il cielo insieme a milioni di ettolitri di acqua di mare. La spessa lamina sobbalzava, alzandosi e abbassandosi, in cerca del suo centro di gravità. Rachel si affannò, immersa fino alla vita, per trovare un appiglio, ma quando l'acqua cominciò a scorrere via, fu inghiottita dalla corrente e trasportata verso il bordo. Scivolò di stomaco, sempre più vicina al limite.
"Non mollare!" La voce di sua madre le ripeteva le parole che le aveva detto quando, da bambina, era caduta in una pozza gelata. "Non mollare! Non andare sotto!"
Un forte strattone alla sua imbracatura le fece espellere la poca aria che le rimaneva nei polmoni. Si fermò di botto a pochi metri dal bordo. Si voltò. A dieci metri di distanza, anche il corpo inerte di Corky, ancora legato a lei, si era arrestato. Erano scivolati giù per il lastrone in direzioni opposte, e il peso di Corky l'aveva frenata. L'acqua cominciò a scorrere via, e allora un'altra forma scura apparve vicino a Corky: carponi, aggrappato all'imbracatura dell'amico, Michael Tolland stava vomitando acqua salata.
Quando tutta l'acqua ebbe lasciato l'iceberg, Rachel, paralizzata dal terrore, rimase in silenzio ad ascoltare il rumore del mare. Si sentì aggredire da un freddo spaventoso e si mise carponi. L'iceberg continuava a sobbalzare, come un gigantesco cubetto di ghiaccio. Dolorante, sconvolta, arrancò verso gli altri.
In alto, sulla banchisa, Delta-Uno guardò attraverso il visore notturno le onde rabbiose intorno al neonato iceberg tabulare del mare Artico. Non vide corpi nell'acqua, ma non ne fu sorpreso. Il mare era scurissimo e le tute con cappuccio delle sue prede erano nere.
Passò in rassegna la superficie dell'enorme lastra di ghiaccio fluttuante ed ebbe difficoltà a tenerla a fuoco. Si stava allontanando velocemente verso il mare aperto, spinta dalle forti correnti di terra. Stava per rivolgere lo sguardo verso il mare quando notò qualcosa di inatteso. Tre macchie nere sul ghiaccio. "Sono cadaveri?" Cercò di mettere a fuoco.
«Vedi qualcosa?» chiese Delta-Due.
Delta-Uno non rispose, concentrato sulla regolazione del duplicatore di focale. Nella luce pallida dell'iceberg, lo stupì vedere tre forme umane immobili sull'isola di ghiaccio. Non aveva idea se quei tre fossero vivi o morti, ma non importava. Anche con quelle tute per climi estremi, sarebbero deceduti nel giro di un'ora. Si stava avvicinando una tempesta, erano bagnati, alla deriva su uno dei mari più infidi del pianeta. I loro corpi non sarebbero mai stati ritrovati.
«Soltanto ombre» disse Delta-Uno, voltandosi. «Torniamo alla base.»
57
Nell'appartamento di Westbrooke, il senatore Sedgewick Sexton posò il bicchiere di Courvoisier sulla mensola del camino e attizzò il fuoco per qualche momento, raccogliendo le idee. I sei ospiti sedevano in silenzio… e aspettavano. Le chiacchiere di cortesia erano finite e a quel punto toccava a Sexton parlare. Lo sapevano loro e lo sapeva anche lui.