Выбрать главу

— Lei ha ordinato questo?

— Che cosa? — il supervisore ammiccò, poi i suoi occhi registrarono la scena. — Che… dove sono le mie barre di carburante? Mi hanno detto che erano qui.

— Voglio dire se l’ordine lo ha fatto lei personalmente, con i suoi ditini?

— Sì, me lo ha chiesto lei, ricorda?

— Be’ — Leo trasse un lungo respiro e gli tese il pannello di registrazione, — ha commesso un errore di battitura.

Il supervisore guardò il pannello e impallidì. — Oh, Dio.

— E loro hanno eseguito l’ordine alla lettera — balbettò Leo passandosi una mano fra i pochi capelli che gli restavano, — hanno spedito il carico… non riesco a crederci. Hanno riempito la navetta di tutta questa roba senza nemmeno porsi delle domande, hanno spedito un centinaio di tonnellate di benzina ad una stazione spaziale, senza che nessuno si fermasse a pensare che era completamente assurdo…

— Non riesco a crederci — sospirò il supervisore. — Oh, Dio. Oh, be’, non ci resta che rispedirlo indietro e rifare l’ordine. Ci vorrà una settimana, probabilmente. Le nostre scorte di barre non sono così basse, nonostante il ritmo con cui le usa per quel suo «progetto speciale» sul quale sta tanto abbottonato.

Io non ho una settimana pensò freneticamente Leo. Ho ventiquattr’ore al massimo.

— Non ho una settimana — si trovò ad esclamare infuriato. — Le voglio ora. Faccia un’ordinazione urgente. — Abbassò la voce, accorgendosi di attirare un po’ troppo l’attenzione su di sé.

Il supervisore si sentì offeso quanto bastava per superare il senso di colpa. — Non c’è bisogno di dare in escandescenze, Graf. L’errore è stato mio, e probabilmente ne subirò le conseguenze, ma è decisamente stupido addebitare al mio dipartimento un viaggio straordinario del traghetto oltre a questo, quando possiamo tranquillamente aspettare. È già un bel pasticcio anche così. — Fece un gesto indicando la benzina. — Ehi, ragazzi — proseguì, — smettete di scaricare! Quel carico è sbagliato, deve tornare a terra.

Il pilota del traghetto uscì in quel momento dal portello e lo udì. — Che cosa? — Si diresse verso di loro e Leo gli fece un breve resoconto dell’errore.

— Be’, non potete rispedirlo già con questo viaggio — disse deciso il pilota. — Non ho abbastanza carburante per prendere un carico completo. Dovrà aspettare. — E se ne andò, per godersi il suo obbligatorio intervallo di riposo al bar.

I quad che stavano scaricando assunsero un’espressione risentita, quando le direttive del lavoro vennero nuovamente cambiate, ma limitarono il loro implicito rimprovero a un blando: — Ne è sicuro, adesso, signore?

— Sì — sospirò Leo. — Ma fate il possibile per immagazzinare questa roba in un modulo distaccato, non potete lasciarla qui.

— Sì, signore.

Leo si rivolse di nuovo al supervisore. — Dobbiamo comunque avere quelle barre di carburante.

— Be’, dovrà aspettare. Io non lo farò. Van Atta mi spremerà già abbastanza sangue per questo errore.

— Può addebitarlo al mio progetto speciale. Firmerò io la richiesta.

Il supervisore inarcò le sopracciglia, leggermente sollevato. — Be’… va bene, ci proverò, ci proverò. Ma che ne sarà del suo sangue?

Già venduto, pensò Leo. — Sono affari miei, non crede?

Il supervisore scrollò le spalle. — Immagino di sì. — E se ne andò borbottando. Uno dei quad della squadra rimorchiatori che lo seguiva, lanciò un’occhiata significativa a Leo. Leo rispose scrollando severamente il capo e passandosi un dito davanti alla gola, come per tagliarsela, in un gesto che significava: silenzio!

Si voltò e quasi andò a sbattere contro Pramod, che attendeva paziente alle sue spalle. — Non farmi questi scherzi! — gridò, poi riprese il controllo dei propri nervi un po’ scossi. — Scusami, mi hai spaventato. Che cosa c’è?

— È saltato fuori un problema, Leo.

— Ma certo. Possibile che nessuno mi insegua mai per darmi una buona notizia? Non importa. Che c’è?

— Le morse.

— Le morse?

— Fuori ci sono moltissime connessioni a ganascia. Stavamo scorrendo il diagramma per lo smembramento dell’Habitat per, uh, domani, sai…

— Lo so, non dirlo.

— Abbiamo pensato che un po’ di pratica avrebbe accelerato le cose.

— Sì, bene…

— Quasi nessuna delle ganasce si apre, nemmeno con gli attrezzi elettrici.

— Uh… — Leo si interruppe, preso alla sprovvista, poi capì di che cosa si trattasse. — Ganasce di metallo?

— La maggior parte.

— E dal lato del sole è peggio?

— Molto peggio. Non siamo riusciti ad aprirne neanche una di quelle. Alcune erano visibilmente fuse. Qualche idiota deve averle saldate.

— Saldate, sì. Ma non è stato qualche idiota: è stato il sole.

— Leo, non diventa mai così caldo…

— Non direttamente. Quella che avete visto è una saldatura spontanea a diffusione nel vuoto. Le molecole di metallo evaporano dalla superficie del pezzo se questo si trova nel vuoto. Lentamente, certo, ma è un fenomeno misurabile. Dall’area delle morse emigrano sulle superfici vicine e alla fine stabiliscono un legame solido. Un po’ più in fretta per le parti calde esposte al sole e un po’ più lentamente per le parti in ombra… ma scommetto che alcune di quelle ganasce sono lì da vent’anni.

— Oh! Ma cosa possiamo fare?

— Devono essere recise.

Pramod strinse le labbra preoccupato. — Questo rallenterà le cose.

— Già. E dovremo anche avere un sistema di ripiego per riagganciare tutti i collegamenti nella nuova configurazione… ci serviranno altre ganasce o qualcosa che si possa usare allo scopo. Vai a radunare tutta la tua squadra fuori servizio. Faremo una riunione d’emergenza.

Leo si fermò, chiedendosi dapprima se sarebbe sopravvissuto alla Grande Ribellione, mentre poi cominciò a chiedersi se sarebbe sopravvissuto fino alla Grande Ribellione. Pregò con fervore perché almeno a Silver le cose andassero un po’ meglio.

Dal canto suo, Silver sperava ardentemente che le cose a Leo andassero meglio che a lei.

Si rigirò nella cuccetta di accelerazione, sempre più a disagio dopo le prime otto ore di volo, e appoggiò la guancia sull’imbottitura per osservare il suo equipaggio, ammassato nella cabina del rimorchiatore. Gli altri quad erano abbattuti e provati come lei; solo Ti sembrava a suo agio nell’accelerazione costante, con i piedi sollevati e la schiena appoggiata all’indietro nel sedile.

— Ho visto quel grandioso olovideo — Siggy agitò entusiasta un po’ di mani, — sì, quello con la scena d’abbordaggio. I marines usavano le mine magnetiche per bucare come un formaggio svizzero i fianchi dell’astronave madre e poi si precipitavano dentro. — Aggiunse un ululato micidiale a mo’ di colonna sonora. — Gli alieni scappavano da tutte le parti e poi oggetti di ogni tipo venivano risucchiati insieme all’aria nel vuoto…

— L’ho visto anch’io — disse Ti, — Distruzione nel Covo, giusto?

— Ce l’hai procurato tu — gli ricordò Silver.

— Lo sapevi che c’è un seguito? — disse Ti rivolto a Siggy: — La vendetta del Covo.

— No, davvero? Pensi…

— Prima di tutto — disse Silver, — nessuno ha ancora scoperto creature aliene intelligenti, ostili o no, e in secondo luogo, noi non abbiamo mine magnetiche, grazie al cielo, e, in terzo luogo, non credo che Ti voglia vedere bucherellati i fianchi della sua nave.

— Be’, no — ammise Ti.

— Entreremo attraverso il portello — proseguì Silver in tono fermo, — che è stato progettato proprio a questo scopo. Penso che l’equipaggio dell’astronave sarà già abbastanza spaventato quando li infileremo tutti quanti nella capsula di salvataggio e la lanceremo, senza bisogno di terrorizzarli a morte con urla selvagge. Anche se nell’olovideo il colonnello Wayne ha condotto le sue truppe in battaglia con il grido dei ribelli che risuonava negli auricolari, non credo che i marines veri facciano altrettanto. Interferirebbe con le comunicazioni. — E guardò Siggy con un cipiglio severo, costringendolo a rientrare nei ranghi.