— Faremo come ha suggerito Leo — proseguì Silver, — punteremo contro di loro le saldatrici laser. Non ci conoscono e non potranno sapere se spareremo o no. — E, dopo tutto, come potevano degli sconosciuti sapere quello che neppure lei stessa sapeva? — Il che mi fa venire in mente: come sapremo quale supernave… — annaspò in cerca del termine, — tagliar fuori dal gruppo? Dovrebbe essere più facile ottenere il permesso di salire a bordo se nell’equipaggio vi fosse qualcuno che conosce bene Ti. D’altra parte, potrebbe anche essere più difficile… — si interruppe, cercando di non pensare a quella possibilità, — soprattutto se cercheranno di resistere.
— Jon potrebbe costringerli a cedere — fu il commento di Ti. — Dopo tutto, è per questo che è venuto.
Il robusto Jon gli rivolse un’occhiata afflitta. — Pensavo di essere qui come pilota di riserva del rimorchiatore. Costringili tu, se vuoi, sono amici tuoi. Io impugnerò la saldatrice.
Ti si schiarì la gola. — In ogni caso, se c’è, preferirei prendere il D771. Ma non credo che avremo molta scelta. Probabilmente non ci saranno più di due navi alla volta da questa parte del corridoio. In linea di massima, prenderemo qualunque nave che abbia appena compiuto il balzo da Orient IV, che abbia inoltre sganciato le capsule vuote e non abbia ancora cominciato a caricare quelle piene. Questo ci darà una possibilità di fuga più rapida. Non ci sono da fare grandi piani, semplicemente ci dirigiamo su quella.
— I guai — disse Silver, — cominceranno quando avranno capito che cosa abbiamo in mente di fare in realtà, e allora cercheranno di riprendere il controllo della nave.
Seguì un silenzio tetro e, per una volta, nemmeno Siggy aveva dei suggerimenti.
Leo trovò Van Atta nella palestra per i terricoli, intento a camminare con determinazione sul nastro scorrevole. Il nastro scorrevole era un congegno medico simile ad una ruota di tortura, ma al contrario. Delle cinghie dotate di molle tiravano il soggetto verso la superficie dove i suoi piedi spingevano per un’ora o più al giorno, secondo la prescrizione medica: era un esercizio studiato per rallentare, se non proprio fermare, il decondizionamento della parte inferiore del corpo e la demineralizzazione delle ossa di coloro che vivevano in assenza di peso.
A giudicare dall’espressione del viso di Van Atta, quel giorno egli stava insistendo sull’attrezzo con una notevole dose di rancore personale. Rinfocolare l’irritazione era in effetti un modo per raccogliere le energie necessarie a portare a termine quel dovere noioso ma imprescindibile. Dopo una veloce riflessione, Leo decise che era meglio tentare un approccio obliquo e casuale. Si tolse la tuta e l’attaccò alla striscia di velcro sulla parete, tenendo solo la maglietta e i pantaloncini, poi si spostò, infilandosi nelle cinghie della macchina vuota vicina a quella di Van Atta.
— Hanno lubrificato questi aggeggi con la colla? — sbuffò, aggrappandosi alle maniglie e sforzandosi di mettere in moto il nastro.
Van Atta voltò la testa, con un sorriso sardonico. — Che cosa succede, Leo? Minchenko, il mini-dittatore medico, ha forse ordinato una piccola vendetta psicologica nei suoi confronti?
— Già, qualcosa del genere… — finalmente riuscì a metterla in moto, piegando le gambe per prendere il ritmo. Era davvero fuori esercizio, negli ultimi tempi. — Gli ha parlato da quando è risalito?
— Sì. — Le gambe di Van Atta spinsero contro la macchina e gli ingranaggi risposero con un sordo ronzio.
— Gli ha già detto che cosa ne sarà del Progetto?
— Purtroppo ho dovuto farlo. Avevo sperato di poterlo tenere all’oscuro fino all’ultimo, come gli altri. Minchenko è probabilmente il più arrogante fra quelli della Vecchia Guardia di Cay; non ha mai fatto mistero che sarebbe dovuto toccare a lui succedergli come responsabile del progetto, invece di nominare un estraneo, e cioè me. Se non andasse in pensione tra un anno, avrei già fatto dei passi per liberarmi di lui prima che accadesse questo.
— Ha per caso, ehm, sollevato obiezioni?
— Vuol dire se ha ululato come un maiale ferito? Può scommetterci. Si è comportato come se io fossi responsabile dell’invenzione di quella maledetta gravità artificiale. Non ho bisogno di questa cretinata. — Il nastro scorrevole di Van Atta gemette, come se stesse rispondendo alla sue parole.
— Se è nel Progetto fin dall’inizio, allora penso che i quad rappresentino il suo lavoro di tutta una vita — fu il ragionevole commento di Leo.
— Mmm — Van Atta riprese a marciare. — Non gli dà però il diritto di comportarsi in quel modo; persino lei, alla fine, ha dimostrato più buon senso. Se non dà segni di voler assumere un atteggiamento di maggior collaborazione dopo che avrà avuto la possibilità di calmarsi e riflettere sull’inutilità della cosa, allora sarebbe meglio prolungare il turno di Curry e rimandare a terra Minchenko.
— Ah — Leo si schiarì la voce. Questo non pareva certo lo spiraglio favorevole in cui aveva sperato. Ma c’era così poco tempo. — Le ha parlato di Tony?
— Tony! — La macchina di Van Atta ronzò come un calabrone per qualche istante. — Se non vedrò mai più in vita mia quel piccolo farabutto, sarà sempre troppo presto. Non è stato altro che una seccatura, una seccatura e una spesa.
— Speravo di poterlo utilizzare nel mio lavoro — azzardò Leo. — Anche se da un punto di vista medico non è ancora pronto a riprendere il lavoro all’esterno, ho un sacco di lavoro al computer e compiti di supervisione che potrei affidare a lui, se fosse qui. Se potessimo riportarlo quassù.
— Sciocchezze — scattò Van Atta, — sarebbe molto più semplice trasferire qualche altro caposquadra quad, Pramod, ad esempio, o sceglierne un altro qualsiasi. Non mi interessa chi, questa è l’unica autorizzazione che le fornisco. Cominceremo a trasferire giù a terra i piccoli storpi tra due settimane. Non avrebbe nessun senso farne risalire uno che Minchenko potrebbe trattenere in infermeria fino ad allora. Ed è quello che gli ho detto. — Lanciò a Leo uno sguardo di fuoco. — Non voglio più sentire una sola parola a proposito di Tony.
— Ah — disse Leo. Maledizione. Era chiaro che sarebbe stato meglio prendere in disparte Minchenko prima di intorbidare le acque con Van Atta. Adesso era troppo tardi. Non era solo lo sforzo fisico che aveva fatto diventare Van Atta rosso in viso. Leo si chiese che cosa avesse detto in realtà Minchenko… indubbiamente una scelta felice di parole, che sarebbe valsa la pena di ascoltare. Ma un piacere a prezzo troppo alto per i quad. Leo assunse un’espressione che, tra ansiti e sbuffi, sperò potesse sembrare di comprensione.
— Come procede il piano di recupero? — chiese Van Atta dopo un po’.
— Quasi completato.
— Davvero? — Van Atta si illuminò. — Be’, questa è finalmente una buona notizia.
— La stupirà vedere come sia possibile riciclare completamente l’Habitat — asserì in tutta sincerità Leo. — E lo saranno anche gli alti papaveri della Compagnia.
— E tra quanto?
— Appena ci daranno il via. L’ho preparato come un piano di battaglia — e strinse i denti per evitare eccessive allusioni. — Conta sempre di fare il Grande Annuncio al resto del personale domani alle 13.00? — chiese in tono discorsivo. — Nel modulo dell’aula magna? Voglio proprio esserci anch’io, perché ho delle immagini esplicative da mostrare quando lei avrà finito.
— No — disse Van Atta.
— Che cosa? — Leo boccheggiò, sbagliò un passo e le molle lo mandarono a sbattere con un ginocchio sul nastro scorrevole, imbottito proprio per quelle evenienze. Si rimise faticosamente in piedi.
— Si è fatto male? — chiese Van Atta. — Ha un aspetto strano…
— Tra un attimo starò bene. — Una volta rimessosi in piedi, costrinse i muscoli delle gambe a ricuperare l’equilibrio e il passo, a dispetto del dolore e del panico. — Pensavo… che quello fosse il modo che aveva escogitato per far scoppiare la bomba: metterli tutti insieme e spiegare i fatti in una volta sola.