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— Fuori - ripeté Silver, alzando la voce senza riuscire a controllarsi.

Il viso del pilota era teso e concentrato. Spostò le mani dalla cintura e le posò sulle ginocchia, con un gesto rilassato. — E se non esco? — la sfidò senza alzare la voce.

Silver sentì che il controllo della situazione le stava sfuggendo di mano e stava passando a lui, risucchiato dalla sua superiore imitazione di freddezza. Gettò uno sguardo a Ti, ma questi si manteneva al sicuro nel suo ruolo di inerme e inutile vittima: si teneva basso, come dicevano i terricoli.

Passò un secondo, poi un altro, e un altro ancora. Il pilota cominciò a rilassarsi, trasse un profondo respiro e una luce di trionfo scintillò nei suoi occhi. Aveva scoperto il bluff; sapeva che lei non era in grado di sparare. Portò la mano verso le cinghie e ripiegò le gambe sotto di sé, cercando una spinta per lanciarsi.

Aveva provato tante volte la scena nella sua mente, che l’effettiva attuazione fu quasi una delusione. Aveva una visione che era di una chiarezza cristallina, come se lei si stesse osservando a distanza o da un altro tempo, passato o futuro. Il momento determinò la scelta del bersaglio, qualcosa su cui aveva riflettuto a lungo prima, senza giungere a una decisione; puntò la saldatrice verso un punto appena al di sotto delle ginocchia, perché dietro di queste non c’erano importanti pannelli di comando.

Premere il bottone fu sorprendentemente facile, il lavoro di un piccolo muscolo del pollice superiore destro. Il raggio fu di un azzurro spento, al punto di non costringerla neppure a battere le palpebre e una breve fiammata gialla brillò sul bordo del tessuto fuso della tuta teoricamente ininfiammabile, e poi si spense. Le sue narici fremettero all’odore della stoffa carbonizzata, più pungente di quello della carne bruciata. Poi il pilota si piegò su se stesso, urlando.

Ti stava balbettando in tono sconvolto. — Perché l’hai fatto? Era ancora legato al sedile, Silver! — I suoi occhi erano pieni di smarrimento. Il meccanico, dopo un primo movimento convulso, si era immobilizzato raggomitolandosi con aria implorante e con gli occhi che guizzavano da un quad all’altro. Siggy aveva la bocca aperta, quella di Jon invece era serrata in una linea sottile.

Le urla del pilota la spaventarono, scuotendole i nervi fino a trafiggerle il cervello come lame. Puntò di nuovo la saldatrice contro di lui, ordinando: — Basta!

Con sua sorpresa, egli tacque. Il suo respirò fischiò attraverso i denti stretti mentre voltava la testa per guardarla con gli occhi socchiusi per il dolore. La pelle ustionata sulle gambe sembrava cauterizzata, ombreggiata di scuro e piuttosto confusa: Silver provava repulsione e allo stesso tempo un curioso desiderio di guardare più da vicino quello che aveva fatto. I bordi delle ustioni erano gonfi e rossi e da essi usciva un siero giallo che però restava attaccato alla pelle. Non sembrava che il pilota corresse immediato pericolo di vita.

— Siggy, slegalo e fallo uscire dal sedile di controllo — ordinò. E per una volta Siggy si affrettò a obbedire senza discutere, senza nemmeno un suggerimento su come agire, magari preso da uno dei suoi olovideo. E in verità l’effetto della sua azione sui presenti, non solo sui prigionieri, era molto gratificante. Tutti si muovevano più in fretta. Potrebbe darmi assuefazione, pensò Silver. Niente discussioni, niente lamentele…

Qualche lamentela. — Era necessario? — chiese Ti mentre i prigionieri venivano legati e sospinti davanti a loro nel corridoio. — Stava uscendo dal sedile, come avevi chiesto…

— Stava cercando di saltarmi addosso.

— Non puoi esserne sicura.

— Non credo che sarei riuscita a colpirlo se lo avessi lasciato muovere.

— Non è come se tu non avessi avuto altra scelta…

Si volse di scatto verso di lui, facendolo trasalire. — Se non riusciamo ad impadronirci di questa nave, un migliaio di miei amici moriranno. Avevo una scelta. Ho scelto. E sceglierei ancora. Mi hai capito? — E scegli per tutti, Silver, riecheggiò la voce di Leo nella sua memoria.

Ti capitolò subito. — Si, signora.

Sì, signora? Silver batté le palpebre e si spinse avanti per evitare di mostrare la propria espressione confusa. Adesso le tremavano le mani per la tensione. Entrò per prima nella capsula di salvataggio, apparentemente per disattivare tutti i pannelli di comunicazione tranne il segnale direzionale di emergenza e per controllare la cassetta del pronto soccorso (c’era e non mancava niente), ma in realtà per restare sola un attimo, lontana dagli sguardi sorpresi dei suoi compagni.

Era questo il brivido del potere che Van Atta sperimentava quando tutti si inchinavano alle sue decisioni? Era chiaro quello che aveva fatto al pilota sparando; ma che cosa aveva fatto a se stessa? Per ogni azione, una reazione uguale e contraria. Questa era una verità somatica, una conoscenza viscerale instillata in ogni quad fin dalla nascita, chiara e dimostrabile in ogni movimento.

Uscì dalla capsula. Il pilota si lasciò sfuggire un gemito rauco quando la gamba sbatté contro il portello mentre lo infilavano insieme al meccanico nella capsula. Poi la sigillarono e la lanciarono lontano dall’astronave.

L’agitazione di Silver si trasformò in fredda determinazione dentro di lei, anche se le mani continuavano a tremarle per l’angoscia causatale dal dolore del pilota. Allora i quad non erano diversi dai terricoli, dopo tutto. Dunque anche i quad erano in grado di compiere le stesse azioni malvagie perpetrate dai terricoli. Se sceglievano di farlo.

Ecco. Sistemando i tubi di crescita con quell’angolo, e calcolando una rotazione di sei ore, potevano fare a meno di quattro luci a spettro nel modulo di idroponica e proiettare ugualmente una quantità di luce sufficiente sulle foglie per ottenere la fioritura in quattordici giorni. Claire inserì l’ordine nel suo computer portatile e fece scorrere ad alta velocità tutto il modello analogico, per maggior sicurezza. Secondo i suoi primi calcoli, la nuova configurazione di crescita avrebbe ridotto il consumo di energia del modulo di almeno il dodici per cento. Bene: perché fino a quando l’Habitat non raggiungeva la sua nuova destinazione e non si dispiegavano i delicati pannelli solari, l’energia andava risparmiata.

Spense il computer e sospirò. Quello era l’ultimo compito di programmazione che poteva portare a termine mentre era ancora rinchiusa nel Circolo. Era un ottimo nascondiglio, ma era troppo tranquillo. Concentrarsi era stato orribilmente difficile, ma non avere nulla da fare era ancora peggio, se ne rese conto mentre i secondi scivolavano via. Galleggiò fino alla credenza, prese un pacchetto di uvette e se le mangiò una per volta. Quando ebbe finito, il silenzio opprimente la circondò di nuovo.

Immaginò di avere di nuovo Andy tra le braccia, con le piccole dita calde che stringevano le sue, in un’intimità che donava sicurezza ad entrambi, e desiderò che Silver si sbrigasse a mandare il segnale. Si figurò Tony, imprigionato sul pianeta e, angosciata, desiderò che Silver ritardasse, in modo da poter ricuperare Tony all’ultimo momento, per qualche miracolo. Non sapeva se sperare che i minuti scorressero veloci o si fermassero, sapeva solo che ogni istante era come un colpo fisico vibrato contro di lei.

Le porte stagne sibilarono e lei trasalì, ansiosa. L’avevano scoperta?… No, erano solo tre ragazze quad, Emma, Patty e Kara, l’assistente dell’infermeria.

— È ora? — chiese Claire con voce rauca. Kara scosse il capo.

— Perché non comincia, che cosa trattiene Silver… — Claire si interruppe. Poteva immaginare fin troppi drammatici contrattempi in grado di causare il ritardo di Silver.

— È meglio che il segnale arrivi presto — disse Kara. — Ti stanno dando la caccia per tutto l’Habitat. Il signor Wyzak, supervisore della Manutenzione Sistemi di Aerazione, ha pensato di guardare dietro le pareti. Adesso sono nella sezione delle stive di attracco. Tutta la squadra che lavora con lui è stata colta da un improvviso attacco di goffaggine — un mezzo sorriso si disegnò sul suo volto, — ma prima o poi arriveranno anche da questa parte.