L’uomo batté sul pannello dell’olovideo. — Se quest’affare non funziona, l’unico sistema per scoprire qualcosa è mandar fuori qualcuno con un respiratore.
— Aspettiamo altri cinque minuti. — Maledizione a quello sciocco presuntuoso di Graf. Che cosa aveva combinato? E dov’era? Da qualche parte con un respiratore, sperava Van Atta, o meglio ancora in tuta… per quanto, se davvero era stato Graf a causare tutto quel maledetto casino, Van Atta non era sicuro di volerglielo augurare davvero. Che avesse pure un respiratore, ma sperò si buscasse un brutto caso di embolia per punizione. Idiota!
Ecco dove andavano a finire i record di sicurezza di Graf. Ma non tutti i mali vengono per nuocere, almeno così l’ingegnere non glieli avrebbe più potuti sbandierare davanti al naso. Un po’ di umiltà non poteva che fargli bene.
Eppure… la situazione era così maledettamente anomala. Non avrebbe dovuto essere possibile la simultanea depressurizzazione dell’intero Habitat. C’erano dispositivi di sicurezza, blocchi, aree separate… qualunque incidente su scala tanto vasta non poteva essere solo casuale.
Van Atta si lasciò sfuggire un sibilo e, spalancando gli occhi, si richiuse in se stesso in una subitanea e furiosa concentrazione. Un incidente architettato… poteva essere… era possibile che…?
Quel genio di Graf. Un incidente, un incidente perfetto, proprio l’incidente che Van Atta stesso aveva sempre desiderato ma che non aveva mai osato esprimere ad alta voce. Doveva essere così! Un disastro fatale per i quad, ora, all’ultimo momento, quando erano tutti insieme e si potevano spazzar via in un colpo solo?
Una dozzina di indizi si concretizzarono. L’insistenza di Graf di occuparsi di tutti i dettagli dei piani di recupero, la sua reticenza, la sua ansia per un continuo aggiornamento degli orari di evacuazione… la tendenza a sfuggire i contatti sociali, un fatto che la dottoressa aveva osservato piuttosto contrariata, turni di lavoro ossessivi, e l’aria di un individuo ormai prossimo all’esaurimento con una lista segreta di cose da fare… tutto combaciava.
Era naturale che fosse segreta. Ora che aveva capito la macchinazione, Van Atta non poteva che trovarsi d’accordo. La gratitudine della GalacTech nei confronti di Graf per aver risolto il problema dei quad si sarebbe manifestata indirettamente, con incarichi migliori, promozioni rapide… Bruce doveva anch’egli trovare un modo indiretto di trasmettere la cosa.
Ma d’altra parte… perché dividere? Le labbra di Van Atta si piegarono in un ghigno astuto. Questa non era certo una situazione in cui Graf potesse pretendere una ricompensa, anche se dovuta. Graf era stato abile, ma non abbastanza. Dopo l’incidente, per mantenere le apparenze, qualcuno andava sacrificato. Tutto quello che Bruce doveva fare era tenere la bocca chiusa e… Fu costretto a riportare la propria attenzione al presente.
— Devo tornare dai miei quad! — La ragazza aveva lo sguardo sconvolto. Abbandonò l’interfono e cominciò a farsi strada verso le porte stagne.
— Sì — disse un altro unendosi a lei, — e io devo trovare Wyzak, qui non c’è ancora. Avrà certo bisogno di aiuto. Verrò con lei…
— No! — gridò Van Atta in tono fermo e per poco non aggiunse: rovinerete tutto! - Dovete aspettare il segnale di cessato pericolo. Non intendo assistere a scene di panico. Ce ne staremo qui seduti ad aspettare istruzioni.
La ragazza cedette, ma l’uomo era ancora scettico. — Istruzioni da chi?
— Graf — disse Van Atta. Sì, non era mai troppo presto per cominciare a mettere in chiaro con i testimoni chi fosse il responsabile materiale. Controllò il ritmo del proprio respiro, cercando di darsi un contegno. Ma non troppo, perché doveva apparire sorpreso come tutti gli altri, no, più sorpreso degli altri, quando si fosse scoperta la reale dimensione del disastro.
Si preparò ad aspettare. I minuti passarono. Un ultimo gruppo di scampati riuscì a passare attraverso le porte stagne; il tasso di depressurizzazione dell’Habitat stava probabilmente rallentando. Uno degli amministratori addetti al controllo dell’inventario (le abitudini sono dure a morire) si affrettò a presentargli un censimento non richiesto dei presenti.
Dentro di sé maledisse colui che se n’era preso la briga, anche se, a voce alta, lo ringraziò: la prova lampante che non tutti erano presenti avrebbe potuto costringerlo a prendere delle iniziative che invece non voleva affatto prendere.
Solo dodici membri del personale terrestre non ce l’avevano fatta. Era il prezzo necessario da pagare, cercò di rassicurarsi Van Atta. Alcuni erano certamente rinchiusi in qualche sacca pressurizzata, o almeno in seguito avrebbe sempre potuto sostenere che quella era stata la sua convinzione. I loro errori potevano essere imputati a Graf.
Un gruppo accanto alle porte stagne si stava preparando a uscire. Van Atta respirò profondamente e si fermò non sapendo come fare per fermarli senza svelare tutto quanto. Ma una donna si lasciò sfuggire un grido costernato: — Il corridoio è completamente privo d’aria, ora! Non possiamo uscire senza le tute! — Van Atta trasse un sospiro di sollievo.
Si fece strada fino ad uno degli oblò del modulo: non si vedeva altro che la fissità delle stelle. Dall’oblò sul lato opposto si riusciva almeno ad avere una visione obliqua dell’Habitat. Un movimento attrasse il suo sguardo e Van Atta schiacciò il naso contro il vetro freddo per distinguere i particolari.
Il lampo argenteo di alcune tute che rimbalzavano sulla superficie esterna dell’Habitat. Scampati? O una squadra di riparazioni? Poteva darsi che, dopotutto, la sua prima ipotesi di un vero incidente fosse corretta? Male, ma in ogni caso si trattava sempre dell’opera di Graf.
Ma c’erano dei quad là fuori, maledizione, quad sopravvissuti, lo vedeva dalle braccia. Graf non era riuscito completamente nel suo intento. Anche due soli quad sopravvissuti, un maschio e una femmina, sarebbero stati un disastro, come mille di loro, dal punto di vista di Apmad. Forse la squadra era composta da soli maschi.
C’era anche Graf, tra quelle figure che trasportavano equipaggiamenti di vario tipo. La visione distorta e ondeggiante del suo angolo di visuale non gli permetteva di capire di che equipaggiamento si trattasse. Allungò il collo, piegandolo il più possibile. Poi la squadra scomparve dietro una curva dell’Habitat. Un rimorchiatore entrò nel suo campo visivo, e poi sparì, sorvolando con una curva aggraziata il modulo conferenze. Altri scampati? Quad o terrestri?
— Ehi! — Una voce eccitata dall’interno interruppe le sue frenetiche osservazioni. — Siamo fortunati, gente. Questo armadio è pieno di maschere di ossigeno. Devono essercene almeno trecento.
Van Atta girò la testa per individuare l’armadio in questione. L’ultima volta che era stato in quel modulo, gli era parso che fosse pieno di materiale audiovisivo. Chi diavolo aveva fatto quello spostamento, e perché?
Un colpo secco con un effetto strano, come quando si ha la testa infilata in un secchio e qualcuno ci batte sopra con un bastone, risuonò per il modulo. Forte. Grida e urla. Le luci si abbassarono, poi ritornarono, ma a un quarto dell’intensità normale. Erano passati al generatore di emergenza del modulo. L’energia proveniente dall’Habitat era stata staccata.
Ma non solo l’energia era stata staccata… Sconvolto, Van Atta vide l’Habitat roteare lentamente davanti all’oblò. No, non era l’Habitat che si stava muovendo… era il modulo. Un grido di sorpresa si levò dalla folla accalcata nel modulo, quando tutti cominciarono ad andare alla deriva ammassandosi verso una parete a causa della debole accelerazione impartita dall’esterno. Van Atta strinse convulsamente le maniglie accanto all’oblò.
E allora comprese. Ma comprese con una sensazione quasi fisica, che si irradiava dallo stomaco, si diffondeva nelle braccia e nelle gambe, e gli rimbombava nel cervello quasi volesse uscire dal cranio.