— Ma avete bisogno di me — ribatté Minchenko.
— Lei deve… che cosa? — Leo non riuscì a proseguire.
— Avete bisogno di me. Non potete liquidarmi — gli occhi di Minchenko si posarono per un frazione di secondo sulla saldatrice.
— Be’… — balbettò Leo, — non posso certo sequestrarla.
— E chi glielo sta chiedendo?
— Lei, mi sembra… — si schiarì la voce. — Senta, non credo che lei abbia capito. Io porterò via questo Habitat, e non torneremo più indietro, mai più. Ce ne andremo il più lontano possibile, al di là di ogni mondo abitato. È un biglietto di sola andata.
— Mi sento più sollevato. Per un attimo avevo pensato che volesse tentare qualche pazzia.
Leo si sentì invadere da emozioni contrastanti, sospetto, gelosia?… un senso di grande aspettativa… che sollievo sarebbe stato non dover portare da solo tutto il peso. — Ne è sicuro?
— Sono i miei quad… — Minchenko strinse i pugni e subito li riaprì. — Miei e di Daryl. Non credo che lei abbia la minima idea del lavoro che abbiamo fatto. È stato un buon lavoro, creare questa gente. Sono perfettamente adattati al loro ambiente. Superiori in tutto. Trentacinque anni di lavoro… e dovrei lasciare che un perfetto sconosciuto li trascini per la Galassia verso chissà quale destino? E poi, la GalacTech mi avrebbe mandato in pensione tra un anno.
— Perderà la pensione — gli fece notare Leo, — forse anche la libertà… e la vita.
Minchenko sbuffò. — Non me ne è rimasta molta.
Non è vero, pensò Leo. Il biogenetista poteva vantare un’esistenza invidiabile, oltre tre quarti di secolo di esperienze. Alla morte di quell’uomo, un intero universo di conoscenze sarebbe morto con lui. Gli angeli avrebbero pianto quella perdita. A meno che… — Grazie al suo aiuto, potremmo avere un giorno dei dottori quad?
— Certo lei non potrebbe mai riuscirci. — Minchenko si passò la mano tra i corti capelli bianchi, con un gesto che era in parte di esasperazione e in parte di preghiera.
Leo rivolse lo sguardo verso i quad, sospesi tutt’attorno e intenti ad ascoltare… ascoltare mentre ancora una volta degli uomini muniti di gambe decidevano della loro sorte. Non era giusto… le parole gli uscirono di bocca prima che la cautela e il ragionamento potessero fermarle: — Cosa ne pensate, ragazzi?
Un coro di voci si levò immediatamente a favore del dottor Minchenko… anche negli occhi dei quad si leggeva un senso di sollievo. La familiare autorità del dottore sarebbe stata di immenso conforto per loro mentre si accingevano a inoltrarsi in un universo completamente sconosciuto. All’improvviso, Leo ricordò come l’universo fosse diventato per lui un luogo estraneo e diverso, il giorno in cui era morto suo padre. Il fatto di essere adulti non significa automaticamente che siamo in grado di salvarvi… ma questa era una cosa che ogni quad avrebbe scoperto da solo quando fosse arrivato il momento. Trasse un profondo respiro. — Va bene… — Come era possibile sentirsi di colpo più leggeri di cento chili quando già ci si trovava in assenza di peso? Placenta praevia, Dio!
Ma la reazione immediata di Minchenko non fu di compiacimento. — C’è solo una cosa — esordì, cercando di assumere un’espressione di umiltà che era orribilmente fuori posto sul suo viso.
Perché sta sudando, adesso? si chiese Leo, nuovamente sospettoso. — Che cosa?
— La signora Minchenko.
— Chi?
— Mia moglie. Devo andare a prenderla.
— Non… non sapevo che lei fosse sposato. Dove si trova?
— Giù. Su Rodeo.
— Al diavolo… — Leo represse l’impellente desiderio di strapparsi i pochi capelli che gli ancora restavano.
Pramod, che aveva ascoltato tutto, gli ricordò: — Anche Tony è laggiù.
— Lo so, lo so… e ho promesso a Claire… non so come faremo.
Minchenko aspettava con espressione tesa: non era un uomo abituato a pregare. Solo i suoi occhi imploravano. Leo si sentì commosso. — Tenteremo. Tenteremo. È tutto quello che posso promettere.
Minchenko annuì, con dignità.
— Ma cosa penserà la signora Minchenko di tutto questo?
— Sono venticinque anni che odia Rodeo — asserì Minchenko, con aria un po’ troppo disinvolta, pensò Leo. — Sarà felicissima di potersene andare. — Non aggiunse spero, ma Leo lo capì ugualmente.
— Va bene. Forza, dobbiamo ancora radunare i dispersi e sbarazzarci di loro… — e si chiese malinconicamente se fosse possibile morire per un attacco d’ansia, stramazzando a terra senza un gemito. Condusse il suo piccolo esercito fuori dallo spogliatoio.
Ormai incapace di aspettare oltre, Claire volava da un appiglio all’altro, attraversando il labirinto di corridoi. Il suo cuore esultava. Le porte stagne che immettevano nella palestra, da cui proveniva un rauco rumore di voci, erano affollate di quad e dovette trattenersi dall’impulso di aprirsi la strada a viva forza. Una delle sue vecchie compagne di camerata, che indossava la maglietta e i pantaloncini rosa degli addetti all’asilo, la riconobbe, le sorrise e allungò una delle mani inferiori per aiutarla a farsi largo tra la folla.
— I più piccoli sono vicini alla Porta D — le disse. — Ti stavo aspettando… — Dopo un rapido controllo visivo per accertarsi che il suo piano di volo non collidesse con quello di qualcun altro che aveva imboccato la stessa scorciatoia, la sua compagna la aiutò a lanciarsi verso la strada più breve, e cioè tagliando dritta attraverso la grande stanza.
La prosperosa figura in tuta rosa che Claire stava cercando era praticamente sommersa da uno sciame di mocciosi eccitati, spaventati e piangenti. Claire sentì una fitta di rimorso al pensiero che, per mantenere segreta la cosa, si fosse giudicato troppo pericoloso mettere al corrente i più piccoli dei cambiamenti che li attendevano. I piccoli non possono votare, pensò.
Andy era agganciato a Mamma Nilla e stava piangendo a dirotto. Mamma Nilla stava disperatamente tentando di calmarlo con un biberon a pressione che teneva in una mano, mentre con l’altra premeva una pezza di garza insanguinata sulla fronte di un altro bambino di cinque anni, anche lui in lacrime. Altri due o tre piccoli cercavano conforto aggrappati alle sue gambe, mentre lei cercava di istruire un sesto perché aiutasse un settimo, il quale aveva inavvertitamente aperto un pacchetto di proteine in compresse che si erano sparse in aria. E in mezzo a tutto quel bailamme, nel tono calmo e strascicato della sua voce si avvertiva appena una punta di tensione, finché non vide Claire. — Oh, Dio — disse allora debolmente.
— Andy! — esclamò Claire.
Il bambino girò il capo verso di lei e si lanciò lontano da Mamma Nilla con frenetiche movenze natatorie, ma fu costretto a fermarsi perché trattenuto dal guinzaglio e finì per ritrovarsi di nuovo a fianco della madre del nido. A quel punto cominciò a gridare con quanto fiato aveva in gola, e il bambino ferito gli fece eco, mettendosi a piangere come un disperato.
Claire scivolò accanto alla parete e si avvicinò.
— Claire, tesoro, mi spiace, ma non posso lasciartelo — disse Mamma Nilla ondeggiando i fianchi per nascondere Andy. — Il signor Van Atta ha detto che mi avrebbe licenziata in tronco, nonostante i miei vent’anni di servizio… e Dio solo sa chi prenderebbe il mio posto… sono così pochi quelli di cui posso fidarmi perché riescono a tenere la testa sulle spalle… — Andy interruppe le sue parole agitandosi di nuovo, poi diede un colpo violento al biberon che gli veniva offerto e questo finì per sfuggire di mano alla donna, cominciando a roteare, mentre minuscole goccioline di latte si aggiungevano alla degradazione generale dell’ambiente. Claire tese le mani verso di lui.