Con grande sollievo di Leo, quando si tolse la tuta venne informato che Vatel aveva già recuperato il rimorchiatore vagante riportandolo all’attracco del suo modulo dell’Habitat. Il pilota quad che scese dal veicolo era terrorizzato e presentava numerose escoriazioni.
— Si è bloccato, non sono riuscita a manovrarlo — pianse la ragazza. — Che cosa ho colpito? Ho colpito qualcuno? Non volevo liberarmi del carburante, ma è stato l’unico sistema che mi è venuto in mente per spegnere i razzi. Mi spiace averlo sprecato. Non sono riuscita a spegnere…
Non aveva più di quattordici anni, giudicò Leo. — Da quanto sei assegnata a questo turno di lavoro? — le chiese.
— Da quando abbiamo cominciato — rispose lei, tirando su con il naso. Era sospesa in aria a testa in giù accanto a lui e tremava visibilmente… le tremavano tutte e quattro le mani. Leo resistette all’impulso di rimetterla in posizione «ritta».
— Buon Dio, bambina, ma sono più di ventisei ore filate. Fai una sosta. Mangia qualcosa e vai a dormire.
Lei lo guardò sbalordita. — Ma le unità dormitorio sono tutte staccate e legate insieme ai nidi. Non posso andarci da qui.
— È per questo che…? Senti, tre quarti dell’Habitat sono inaccessibili in questo momento. Ancorati in un angolo dello spogliatoio o da qualunque altra parte. — E osservando perplesso le sue lacrime, aggiunse: — È permesso. - Era chiaro che lei voleva la sua amaca, che certo Leo in quel momento non poteva darle.
— Tutta sola? — chiese con una vocina sottile.
Probabilmente non aveva mai dormito in tutta la sua vita in una stanza con meno di sette persone, rifletté Leo. Trasse un profondo respiro per controllarsi… non si sarebbe messo a urlare, anche se quel gesto sarebbe servito magnificamente per dare sfogo ai suoi sentimenti… come aveva fatto a lasciarsi invischiare in quella crociata di ragazzini? Al momento non riusciva a ricordarselo.
— Vieni con me — la prese per mano portandola nello spogliatoio, trovò un sacco per la biancheria da agganciare a una parete, la aiutò ad infilarcisi dentro, e le allungò un panino imbottito. Il suo visetto faceva capolino dall’apertura e per un attimo Leo si sentì come qualcuno sul punto di affogare dei gattini.
— Ecco — disse con un sorriso teso. — Va meglio, eh?
— Grazie, Leo — singhiozzò lei. — Mi spiace per il rimorchiatore e per il carburante.
— Ce ne occuperemo noi. — E le strizzò eroicamente un occhio. — Cerca di dormire, va bene? Ci sarà ancora un mucchio di lavoro da fare quando ti sveglierai, non ti perderai niente. Uh… buona notte.
— ’notte.
Nel corridoio, si sfregò il viso con le mani. — Grr…
Tre quarti dell’Habitat inaccessibili? Era più probabile che a quel punto fossero i nove decimi. E tutti i grappoli di moduli pronti per essere caricati sulla supernave stavano funzionando con le batterie di emergenza, in attesa di essere ricollegati con il generatore centrale. Era vitale per la salvezza e la sopravvivenza di quelli che erano rinchiusi a bordo delle varie sottounità che l’Habitat venisse totalmente riconfigurato e reso operativo il più presto possibile.
Senza contare il fatto che tutti avrebbero dovuto imparare ad orientarsi nel nuovo labirinto. Il disegno era frutto di una serie di compromessi: le unità dei nidi, per esempio, potevano essere ospitate in un grappolo interno, mentre gli attracchi e i portelli esterni dovevano essere rivolti verso lo spazio; era inevitabile che certi scarichi dei rifiuti fossero abbandonati; i moduli dei generatori dovevano venire sistemati solo in quel modo, mentre le unità alimentari, che in quel momento servivano qualcosa come tremila pasti al giorno, richiedevano l’accesso ai magazzini… Per un po’, sarebbe stato uno spaventoso pasticcio per tutti quanti riadattarsi alla routine, anche ammettendo che tutti i moduli venissero caricati dalla parte giusta e collegati correttamente senza la personale supervisione di Leo… o anche quando lui era presente, ammise con se stesso. Si sentiva intontito.
E adesso la domanda cruciale: valeva la pena che continuassero a caricare una supernave che con ogni probabilità non era più in grado di funzionare? Il riflettore di vortice! Perché non era andata a sbattere contro uno dei bracci della normale propulsione spaziale? Perché non era andata addosso a Leo?
— Leo! — chiamò una voce maschile piuttosto familiare.
Galleggiando lungo il corridoio, con le braccia conserte in un atteggiamento indispettito, si avvicinava il pilota del balzo, Ti Gulik. Silver si spostava da un appiglio all’altro dietro di lui, seguita da Pramod. Gulik afferrò una maniglia e si fermò accanto a Leo. Questi incrociò lo sguardo di Silver per un saluto silenzioso e troppo breve, prima che il pilota lo inchiodasse alla parete.
— Che cosa hanno fatto i tuoi maledetti quad alle mie barre Necklin? — sbottò Ti. — Ci diamo tanta pena per andare a prendere questa nave, la portiamo qui, e la prima cosa che fate è di ridurla in pezzi… avevo a mala pena finito di parcheggiarla! — Gli mancò la voce. — Ti prego… dimmi che quel piccolo mutante — e indicò Pramod, — ha capito male…
Leo si schiarì la voce. — Uno dei razzi direzionali è rimasto bloccato nella posizione di «acceso», lanciando il rimorchiatore in una vite incontrollabile. Il termine «incidente imprevedibile» non rientra nel mio vocabolario, ma certamente non è stata colpa della quad.
— Oh — disse Ti. — Almeno non stai cercando di dare la colpa al pilota… ma qual è realmente il danno?
— La barra non è stata danneggiata…
Ti emise un sospiro di sollievo.
— … ma il riflettore di titanio sul lato sinistro si è rotto.
Il respiro di Ti si trasformò in un basso ululato. — Ma è peggio che mai!
— Calmati! Forse non è così brutto. Ho già un paio di idee. E comunque dovevo parlarti. Quando ci siamo impadroniti dell’Habitat, c’era un traghetto da carico all’attracco.
Ti gli lanciò un’occhiata carica di sospetto. — Buon per voi. E allora?
— Non è stato un colpo di fortuna, era programmato. Qualcosa che Silver non sa ancora… — Leo colse il suo sguardo, e vide che ascoltava intenta ogni sua parola, — … non siamo riusciti a ricuperare Tony prima di impadronirci dell’Habitat. È ancora in ospedale su Rodeo.
— Oh, no — mormorò Silver. — Non c’è un modo…
Leo si sfregò la fronte dolorante. — Forse. Non sono sicuro che sia una buona strategia militare, il precedente ha a che fare con delle pecore, credo, ma non sarei capace di vivere in pace con me stesso se non facessimo almeno un tentativo per riportarlo tra noi. Anche il dottor Minchenko ha promesso di venire con noi se riusciamo a portar su la signora. Anche lei si trova sul pianeta.
— Il dottor Minchenko è rimasto? — Silver batté le mani, visibilmente eccitata. — Oh, bene.
— Resta solo se riusciamo a recuperare la moglie — la ammonì Leo. — E quindi abbiamo due ragioni per rischiare un’incursione a terra. Abbiamo una navetta, abbiamo un pilota…
— Oh, no — cominciò Ti, — aspetta un minuto…
— Ed abbiamo disperatamente bisogno di un pezzo di ricambio. Se riusciamo a localizzare un riflettore di vortice in uno dei magazzini di Rodeo…
— Non ci riuscirete — lo interruppe Ti in tono sicuro. — Le riparazioni di una nave a balzo vengono effettuate esclusivamente ai cantieri orbitali del Distretto, a Orient IV. Tutto è immagazzinato da quella parte. Lo so perché una volta abbiamo avuto un problema e siamo stati costretti ad aspettare quattro giorni prima che una squadra per le riparazioni arrivasse da lì. Rodeo non ha nulla a che fare con le supernavi, nulla. — E incrociò le braccia.
— Lo temevo — disse Leo a voce bassa. — Be’, c’è anche un’altra possibilità: possiamo tentare di fabbricarne uno qui sul posto.
Ti aveva l’espressione di chi ha ingoiato un limone acerbo. — Graf, quegli aggeggi non si saldano insieme utilizzando dei rottami di ferro. So maledettamente bene che vengono fusi in un pezzo solo, pare che le giunture interferiscano con il flusso del campo… e quel maledetto affare ha un diametro di tre metri nel punto più largo! Lo stampo da cui lo ricavano pesa parecchie tonnellate. E la previsione che richiede… ti ci vorrebbero sei mesi per sviluppare un progetto del genere!